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    LA SCATOLA “NERA” DELLA STORIA - DALLE MOTO DI CORONA ALLA JAGUAR DI PIERSILVIO BERLUSCONI, VIAGGIO NELLA CITTADELLA DEI SEQUESTRI DI MILANO - TRANNE ARMI E DROGA, NELLE CIVICHE DEPOSITERIE È FINITO TUTTO IL MATERIALE SOTTOPOSTO A SEQUESTRO PENALE – E QUALCUNO SI RICORDA DI QUELLA ANZIANA SIGNORA CHE FINO A UNA DECINA DI ANNI FA ARRIVAVA UNA VOLTA AL MESE. DI MESTIERE FACEVA LA MAÎTRESSE...


     
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    Maurizio Giannattasio per corriere.it

    Civiche depositerie di milano Civiche depositerie di milano

     

     

    Da qui è passato di tutto. Dalle moto sequestrate a Fabrizio Corona alla Jaguar di Piersilvio Berlusconi, dal divano letto assassino allo stock di grucce per piccoli falsi invalidi, dai finti videoregistratori alle piume di struzzo sequestrate a una maîtresse. Da via Gregorovius, sede delle Civiche depositerie, è sfilata tanta della cronaca che ha riempito le pagine dei quotidiani milanesi. Qui, tranne armi e droga, è finito tutto il materiale sottoposto a sequestro penale. Adesso il deposito si è ristretto.

     

    Ospita solo — si fa per dire — la merce posta sotto sequestro amministrativo. Dei quattro piani occupati da un milione di oggetti, ne resiste solo uno, il secondo: duemila metri quadrati per 20.900 «beni» censiti. I «ricordi» di cronaca stanno lasciando lo spazio ad altri «ricordi». La Cittadella degli Archivi avanza e con i suoi faldoni occupa quelli che un tempo erano gli spazi destinati agli oggetti della «nera».

     

    Cavi, cuffie, custodie per telefonini. A migliaia. Ombrelli, un’infinità, di tutti i colori. Caschi. Tutti non omologati. E poi giochi, tanti giochi. Quelli sequestrati perché contraffatti e pericolosi. Su un altro pianale ci sono gli occhiali. Tutta roba da prendere e buttare perché pericolosa. Vuoi mettere con la «merce» variopinta che pochi anni fa faceva mostra di sé sugli scaffali?

     

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    Come quelle altalene di metallo con due uncini alle estremità. Non era uno gioco per i bambini, ma lo strumento usato dai ladri per passare da un balcone all’altro. O quel maledetto divano letto che per un difetto di fabbrica si richiuse come una morsa soffocando la povera signora che ci dormiva.

     

    Non che gli oggetti di oggi non sappiano più raccontare storie, ma sono quasi sempre le stesse: ambulanti, spesso stranieri, a cui viene sequestrata la merce, portata in via Gregorovius, quella illegale buttata, il resto viene messo all’asta e comprato da quegli stessi che poi li rivendono agli ambulanti in un eterno ritorno dell’identico.

     

     

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    Basta però girare lo sguardo tra gli scaffali e la monotonia scompare grazie anche al cicerone che ci accompagna, Francesco Martelli, responsabile e deus ex machina della Cittadella degli Archivi. Che ci fa un frigorifero da bar che pubblicizza una marca di birra dal nome leggermente allusivo (Minchia Tosta, birra artigianale prodotta in Sicilia, ndr)? O quel furgoncino per la vendita di «hot dog con salse»? C’è poi il reparto sfratti. Qui vengono raccolte le masserizie di chi ha subito uno sfratto o uno sgombero. E qui sono finiti letti, scrivanie, armadi e anche lavabi dello sgombero del palazzo di via Isimbardi affittato a studenti e la cui demolizione è stata bloccata in extremis dal Consiglio di Stato.

     

    Peccato che insieme alle masserizie siano finiti in Gregorovius anche i computer dei ragazzi che quest’estate si sono presentati in massa per riavere indietro i loro portatili. C’è anche roba di modernariato. Come quella pila di materassi che sta qui dal 2005. «Reparto acari» scherzano i dipendenti. E qualcuno si ricorda di quella anziana signora che fino a una decina di anni fa veniva in Gregorovius una volta al mese. Di mestiere faceva la maîtresse. In quelle casse c’era tutta la sua vita. Letti, materassi, specchi, piume di struzzo. Ogni oggetto portava il nome della ragazza che esercitava la professione. La signora si fermava per ore e accarezzava i suoi ricordi.

     

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    Oggi, da accarezzare c’è poco. Un motore Mercury da 25 cavalli, un altro marcato Yamaha. Entrambi trovati su un furgoncino rubato. Sono lì da anni. Arrugginiti. La larga terrazza che ospitava tonnellate di materiale ferroso è vuota. C’era un’intera scaffalatura dedicata ai maestri della «sola», quelli che ti vendevano il videoregistratore tarocco nel piazzale di sosta. Un lavoro di alto artigianato: un frontalino con tanto di lucette rosse e il classico mattone per appesantire il pacco. Altri tempi. Qualcosa da accarezzare però c’è ancora. È nel reparto sfratti: un triciclo viola e rosa. Nessuno è venuto a riprenderselo. Verrà messo all’asta.

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