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     1. E’ MORTO A ROMA OLIVIERO BEHA. AVEVA 68 ANNI. LA FIGLIA GERMANA: “E’STATO UN MALE MOLTO VELOCE. PAPA’ SE NE E’ ANDATO ABBRACCIATO DALLA SUA FAMIGLIA ALLARGATA DI PARENTI E AMICI  2.VOCE CONTROCORRENTE DEL GIORNALISMO ITALIANO, BEHA INIZIO’ A “PAESE SERA” PER APPRODARE POI A “REPUBBLICA” DOVE RUPPE CON SCALFARI PER IL CASO ITALIA-CAMERUN DEL 1982 -  IL SUCCESSO ALLA RADIO CON “RADIOZORRO 3131" E IN TV  - LA LETTERA A DAGOSPIA IN MORTE DI GIANNI BONCOMPAGNI E L’ULTIMO POST DEDICATO A TOTTI…- VIDEO 


     
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    Da www.ilfattoquotidiano.it

    E’ morto a Roma Oliviero Beha. Aveva 68 anni. Lo annuncia la figlia Germana. “E’ stato un male molto veloce. Papà se n’è andato abbracciato da tutta la sua grande famiglia allargata di parenti e amici”. Giornalista, scrittore, saggista, conduttore televisivo e radiofonico, Beha era nato a Firenze il 14 gennaio 1949.

    BEHA BEHA

     

    Un inizio a Tutto Sport e a Paese Sera per poi approdare, nel 1976, a Repubblica. Editorialista e commentatore anche politico per Il Messaggero e Il Mattino, nel 1987 inizia la sua attività televisiva con Andrea Barbato dando vita a Va’ Pensiero, un contenitore culturale in onda su RaiTre tutte le domeniche. Alla stampa e alla tv affianca anche la radio e il suo programma Radio Zorro raggiunge un enorme successo tanto che, dopo tre stagioni di programmazione breve, nel 1995 si fonde con lo storico “3131” e diventa il caso radiofonico dell’anno. Autore di testi teatrali rappresentati, in stagione e festival, di numerosi saggi e di raccolte di poesie, che hanno vinto diversi premi.

     

    2. "GIANNI, NO, CHE BRUTTA COSA…!”

    Riceviamo e pubblichiamo - Lettera di Oliviero Beha a Dagospia

     

    Se ne va a 84 anni un signore che ha riempito  di ciò che faceva molto più di ciò che era per una vita i media e  prima ancora i giornali, che però oggi crudelmente non escono…E’ Pasquetta, lui era “comunista” di un comunismo surreale e fiabesco, e amava la musica come pochi, da Beethoven al jazz americano. Era aretino il quale (absit iniuria per tutti i loschi compatrioti dei dintorni che specie politici o parapolitici o bancari o insomma…. ci devastano la vita) “di tutti disse mal fuorché di Cristo scusandosi col dir non lo conosco”, frase famosa per Pietro che va bene anche per Gianni.

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    Passava per il Nobel nostrano dei cinici, era semplicemente di un’intelligenza superiore, una delle persone più intuitive che abbia conosciuto. Il resto erano come sempre maschere. Le nuove generazioni e chi non l’ha conosciuto prima faticheranno a ritrovarsi  in questo ricordo perché anche per il ricordo bisognava avere in comune qualcosa con lui, per poco che fosse.

     

    Mi mancherà anche solo lo scambio di una battuta, ha segnato la frattura fra il cervello applicato alla creatività ed il cervello venduto in macelleria, il tutto ripreso dalle telecamere. Gianni ci hai fatto un pessimo scherzo ed il problema è che lo sai benissimo. Adesso che cosa? Un riposino?

    Oliviero Beha     

     

    Estratto del libro “Mio nipote nella giungla” di Oliviero Beha pubblicato da Dagospia

     

    Si diventa solo ciò che si è. Per la stampa come categoria è tutto molto legato alle note precedenti sulla parola scomparsa, il pensiero digitale e la libertà inesistente, che insieme costituiscono, almeno in teoria, la sua «materia prima»: con il paradosso, tendenzialmente ridicolo, che mentre il paesaggio si fa sempre più arido anche se travestito da giungla, fioccano i corsi privati di «giornalismo d’inchiesta», magari con buffet incluso.

     

    Si paga per avere un’idea più o meno precisa e intellettualmente onesta di quello che non ti faranno fare se non ti vendi. E per vendersi ci sono forme e progressioni variabili, non è difficile immedesimarsi in questa deriva. Perciò, e a titolo solo esemplificativo, le polemiche sulla Rai, massima azienda nazionale di comunicazione pubblica, sulla carta, in realtà privatizzata per bande, sono risibili alla radice. È prevista così dal sistema di cui parlo.

     

    Naturalmente la gran parte degli aspiranti futuri giornalisti intende il mestiere esattamente come chiunque altro oggi, dai medici a scalare, una maniera per far soldi e solleticare il proprio narcisismo grazie alla visibilità e alla notorietà, a qualunque prezzo. E «questo» giornalismo fa il possibile per scivolare giù lungo il piano inclinato della giungla facendosela piacere, contribuendo a renderla sempre meno attraversabile e spingendola così sempre più in basso. Una discesa di cui non si vede la fine.

     

    BEHA BEHA

    Ma fate questo discorso a qualunque direttore, di tg, gr o giornali, o ai sindacati relativi: sarà come parlargli degli ufo. Lo sanno benissimo ma non vogliono saperlo. Non vogliono che glielo si ricordi, altrimenti per salvare la faccia dovrebbero o uscire dal mercato truccato o riconoscersi pubblicamente come correi del sistema guasto italiano. Anche qui parlo per esperienza personale al quadrato.

     

    Come dimenticare le «messe cantate» di Eugenio Scalfari, fondatore e direttore de «la Repubblica», un giornale nato per fare opinione in un momento storico decisivo come i secondi anni Settanta, tra terrorismo interno, politica di volta in volta in composizione democristian-comunista e scomposizione a sinistra, e la tv d’abord? Con la convinzione dello ieratico timoniere di poter così influenzare il potere politico nelle sue varie declinazioni, di ogni livello del quale il per noi familiare «Barbapapà» si sentiva un gradino più in alto.

     

    Sinistra radical-chic, si diceva. Era vero. E comunque allora si ragionava, pur con la puzza sotto il naso di fronte a una realtà maleodorante, avendo come contraltare il naso di Montanelli dichiaratamente turato al momento di votare per la Dc, con Moro neppure tanto contrapposto a un’opposizione di sinistra in nome di un Paese più armonico, tanto da pagare le sue scelte e il suo impegno con la vita. E lo spessore di editorialisti e cronisti era ragguardevole, specie di quelli già non più di primo pelo.

     

    Forse era tutto finto, ma lo ammetto: ci o mi sembrava che qualche spallatina al «sistema», già solidamente in atto, la si desse. Pur in mezzo alle contraddizioni e alle nebbie, alla zona grigia in cui il sistema summenzionato prosperava, certo.

    BEHA ROSSI CALVI BEHA ROSSI CALVI

     

    Curiosamente, ricordo con chiarezza che una volta, nella primavera del 1982, mi chiamò l’augusto direttore, più intelligente che colto, più cinico che malevolo, di una profondità d’ingegno meravigliosamente superficiale, mentre mi trovavo in Perù per pezzi di giornalismo di costume, più o meno sportivo. Mi chiese di informarmi sul macroscopico scandalo internazionale Sindona-Calvi- Banco Ambrosiano-Gelli eccetera, allora in grande spolvero: se non ricordo male c’era una succursale di credito a Lima che poteva saperne qualcosa.

    Brutta storia, più nera del nero, con massoni, Mafia e politica alla ribalta attraverso faccendieri coinvolti prima e dopo nei misteri italiani più intrinseci al sistema di cui parlo, come Francesco Pazienza e Flavio Carboni, «grembiulino» anch’egli oltre che sodale libertino (con qualche affare in comune di mezzo) del principe Carlo Caracciolo, cofondatore de «la Repubblica».

     

    Storia finita, si fa per dire, con quello che incredibilmente all’inizio fu archiviato dagli inquirenti come suicidio di Roberto Calvi, «autoimpiccatosi» sotto il Ponte dei Frati Neri, a Londra, nel giugno di quell’anno. Un pasticcione con risvolti tenebrosi che coinvolgeva nell’habitat italiano già marcio a sufficienza anche un boss del Vaticano come l’arcivescovo Paul Marcinkus…

     

    A oggi, dopo vari processi contradditori, la giustizia non ha individuato nessun colpevole, mutando solo in omaggio all’evidenza il suicidio in omicidio, senza un nome né per il sicario né per il mandante. A distanza di oltre un quarto di secolo non trovate qualche «affinità elettiva» tra quell’omicidio sul Tamigi, acclarato come tale ma ancora oscuro, e il «suicidio» nel 2013 di David Rossi, responsabile della comunicazione del Monte dei Paschi di Siena, subito archiviato così dalla procura? Era stranamente precipitato da una finestra mentre scoppiava lo scandalo della più antica banca italiana e del mondo.

     

    oliviero beha oliviero beha

    Qualcosa più di una banca, ahimè, che aveva distribuito denaro in gran quantità senza controlli né della Consob (altra Autorità, indipendente a parole, rientrante nella solita giostra) né della politica da cui dipendeva e che finanziava, con in testa da sempre il Pci e poi ex Pci fino a ieri. Un coacervo di interessi imprenditorial-finanziari di stampo prevalentemente massonico, dentro, fino al collo e anche oltre, al sistema avanzato di corruzione intrecciata che da qualche pagina vado cercando di mettere a fuoco, fotografando e zoomando la giungla dove il machete non basta, e ci vorrebbe forse il napalm.

    Ma l’opinione pubblica ha dimenticato o rimosso il caso Calvi e gli addetti ai lavori di qualunque settore di magistratura giornalistica non sembrano disperarsi per questo buco di verità. Che succederà per Rossi adesso, in un sistema ancora più marcio ma 2.0, con tutte le variabili di internet, e un filmato colmo di dubbi rispuntato tre anni dopo? Interessante, vero? Ma non è ancora più interessante se giustapposto come tessera alle altre in un mosaico terribile?

     

    fulvio abbate oliviero beha fulvio abbate oliviero beha

    Comunque, dall’epoca di Sindona & banditi a oggi è successo qualcosa di molto significativo, sia alla magistratura che al giornalismo. In peggio, rassicuratevi… E il Mowgli di mia competenza ha di che scuotere il capino. Nel ventennio, definito complessivamente berlusconiano anche con qualche intromissione prodiana oggettivamente «complementare» o «compromissoria» all’interno del sistema sempre più guasto, l’antinomia politica-giustizia è arrivata al suo diapason. Facendo credere a un popolino esterno a questo sistema, magari distratto e rassegnato nonché opportunisticamente tifoso di una delle due parti in un derby da toni grotteschi e cronache boccaccesche, che «questo» fosse il problema.

     

    Ossia un tycoon d’estrazione affaristico-mafiosa sceso in politica per salvare le sue aziende e poi funzionale a una parte dell’apparato, e una magistratura inquirente e giudicante che, soprattutto dopo la stagione di Mani pulite, aveva preso forza e qualche volta barlumi di autonomia. Di certo tale ventennio ha fornito alle due parti un alibi gigantesco, una specie di grattacielo modello Dubai: a Berlusconi è servito per fare la vittima di una giustizia «politicizzata» a sinistra (ovviamente solo quando gli dava torto), alla magistratura per far passare l’idea che essa fosse sotto attacco della politica, intesa complessivamente, in quanto accusata di tentare di sostituirla in qualche modo.

     

     

    oliviero beha oliviero beha

    Ci sono magari particelle di verità in tutto ciò. Ma è un fatto che il grattacielo/alibi ha creato le condizioni perché non si vedesse abbastanza chiaramente quanto fosse degradata la politica di ogni colore o sedicente schieramento, e soprattutto quanto fosse malata, come la sanità o la scuola, anche la giustizia italiana. Che purtroppo fa parte, o ne dà l’impressione quasi sempre confermata dai fatti, dello stesso sistema che dovrebbe combattere.

     

    Dipende dalla politica, direttamente per nomina o per vie traverse, a partire dal Consiglio superiore della magistratura, a scalare per tutto quello che la riguarda. Così che è da un pezzo acquisito come «normale» che tra magistratura e politica ci sia un’osmosi elettorale e istituzionale, con grave danno di immagine e sostanza, di fraintendimento e strumentalizzazione, per entrambe le classi duellanti. Che invece rispettando Montesquieu dovrebbero essere due poteri autonomi, il giudiziario e il legislativo.

     

    Nella stragrande maggioranza dei luoghi e dei livelli, poi, la giustizia penale, quella civile e amministrativa sono lizze sospette in cui la dizione «la legge è uguale per tutti» fa ormai sorridere, nel senso di piangere lacrime amare, senza alcuna uniformità né tantomeno certezza del diritto, il che nebulizza anche solo il più vago concetto di difesa della legalità, dove manca tutto: il rispetto tra le parti, il personale sufficiente nei tribunali, la fiducia che la legge sia uguale per tutti.

    carlo verdone saluta oliviero beha carlo verdone saluta oliviero beha

     

    Non lo è, e purtroppo ormai si sa. Ed è scesa come nel resto, nella sanità, nella scuola, nell’informazione, la qualità media dei magistrati, obnubilati dall’onnipotenza e garantiti dall’avanzamento di carriera non per merito bensì per anzianità.

     

    Quindi, a eccezione di pochi di loro, inquirenti e giudicanti, degni di stima e ammirazione, capaci di tenere separato il lavoro dalla loro idea politica o di società, quello della magistratura è un ambiente malsano come il sistema intricato nel quale in qualche modo è inserito.

     

    Ed è malato il rapporto del cittadino con la giustizia, anche senza ricordare la cronaca nera, che ci riserva frequentissime notizie sul coinvolgimento di magistrati in qualche scandalo.

     

    Nell’antinomia politica-giustizia sub specie berlusconiana naturalmente i media sono stati molto presenti, schierati a grandi linee con l’una o con l’altra. Ma anche in questa parte di magistratura giornalistica, compenetrazione di notizie e diffusione delle stesse, mentre i magistrati tendevano sempre più spesso alla visibilità, in oltre trent’anni, da Calvi in poi, è successo qualcosa. Intendo la concentrazione sempre maggiore delle testate di stampa, fino alle più recenti fusioni all’ombra del Caimano di sinistra, De Benedetti, omologo di Berlusconi ma autosistematosi dalla parte meno «sputtanata». All’apparenza.

    oliviero beha melania rizzoli oliviero beha melania rizzoli

     

    Non bastavano le tradizionali proprietà editoriali largamente maggioritarie nel mercato truccato – «impure» da sempre, cioè use ad acquisire e poi sfruttare i propri mezzi di comunicazione per favorire affari in altri settori di loro competenza, dall’edilizia alla farmaceutica a tutti i gangli industriali più delicati e importanti del Paese – benedette dalla politica. Con le ultime aggregazioni non si capisce bene quanto manchi a un unico, magari apparentemente frastagliato padrone, certo di garanzia per «la libertà di stampa»…

     

    Così che le organizzazioni criminali, la politica e il capitalismo di relazione, già ben cementati tra loro nell’impasto che ci sta finendo di schiantare in assenza assoluta di democrazia e trasparenza, possano anche contare sul compiacimento generico della magistratura e il consenso automatico di media che non chiamerei neppure di regime.

     

    BEHA SORRENTINO THE YOUNG POPE BEHA SORRENTINO THE YOUNG POPE

    Semplicemente, il piano su cui poggia la giungla, imbarazzante già prima per la latitanza della libertà di pensiero ed espressione, essendo inclinato, li fa rotolare sempre più velocemente. Nient’altro. A questo sta andando incontro zampettando mio nipote, ma anche i vostri, poiché i figli paiono già abbondantemente fottuti.

     

    Biografia di Oliviero Beha

    Da cinquantamila.it

    • Firenze 14 gennaio 1949. Giornalista. «Non voglio essere sempre e solo Edmond Dantès o l’abate Faria, mi piacerebbe diventare per una volta anche il Conte di Montecristo».

    • Inizi a Paese Sera (redazione di Milano), poi Repubblica, dove si occupò di sport, fu considerato un possibile erede di Gianni Brera, ma nell’84 ruppe con Eugenio Scalfari per il caso di Italia-Camerun: insieme a Roberto Chiodi di Epoca sostenne che il pareggio con gli africani che ci aveva permesso di passare il primo turno ai Mondiali poi vinti dagli azzurri nell’82 era stato concordato (cinque avversari ammorbiditi con 30 milioni di lire a testa), Repubblica rifiutò di pubblicare l’articolo ritenendo insufficienti le prove (uscì sull’Espresso senza troppo risalto), la stampa italiana si schierò in massa a fianco degli azzurri (Adalberto & Bortolotti sul Guerin Sportivo: «Siamo campioni del mondo di calcio e di autolesionismo, questa volta abbiamo oltrepassato i limiti»).

     

    • Lasciata Repubblica, ha condotto parecchie trasmissioni della Rai (Va’ pensiero, Altri particolari in corsa, che ha pure prodotto, Il circolo delle 12, Un terno al lotto, Stazione centrale, molto discussa e chiusa alla quarta puntata «per colpa del duo Previti/Anna La Rosa che non mi voleva in video») ed è spesso stato sul punto di diventare direttore di rete. Autore anche di Blob «che però si sarebbe dovuto chiamare, quando lo proposi a Guglielmi nella primavera 1988, Deus ex machina come ho scritto dovunque, compresa la post-fazione al mio pamphlet Crescete & prostituitevi (Bur, 2005): che strano che Giusti e Ghezzi l’abbiano dimenticato». In Fluff di Barbato «facevo La Gazzetta dello spot, un’analisi critica del mondo della pubblicità».

    oliviero beha pino corrias oliviero beha pino corrias

     

    • Successo alla radio con Radiozorro (1995), poi divenuta Radiozorro 3131, dove ha svolto la funzione del difensore civico («Gli ascolti superarono il milione e vennero battuti moltissimi anni dopo solo da Fiorello»).

    • Dal 2009 editorialista al Fatto Quotidiano. Ha scritto per l’Unità fino al 2008, poi ha fondato prima il Fatto on line (“Antefatto”…) e poi quello cartaceo con Padellaro, Travaglio, Furio Colombo e Gomez. Avrebbe voluto far parte della società per azioni: «Avevo fatto domanda di entrare già da giugno, mi promisero che nella prima assemblea sarei entrato e invece tre mesi dopo fecero entrare al mio posto Marco Lillo, forse più omogeneo. È vero, questa volta non ho fatto loro causa…».

    oliviero beha oliviero beha

    • Dal 2008 al 2010 ha commentato sul Tg3 delle 19.00 ogni domenica il campionato di calcio e ogni fatto di costume sportivo. Accusò poi Bianca Berlinguer di averlo censurato. La direttrice del Tg3: «Beha si sopravvaluta. La realtà è che, una volta finito il campionato, pretendeva di venire in studio quando voleva lui e non quando chiamato dalla direzione. Si è più volte presentato senza preavviso e, quando gli è stato fatto notare, lui ha replicato dicendo che era lì per acquisire elementi per i suoi legali. Insomma, stava avviando un’altra causa» (Emilia Costantini). [Cds 31/8/2010]. Beha: «La Berlinguer mi ha proprio cacciato, senza motivare mai niente né a voce né per iscritto. Mi dettero ragione tutti, dal Presidente al Direttore Generale, al capo del personale al consigliere Rizzo-Nervo. Ragione solo a parole. Il Cdr parlò di “ fatti personali”, nessuno ha mai spiegato quali. Le dichiarazioni della Berlinguer sono false».

     

    • In onda dall’inizio del 2010 fino a giugno 2013 sempre su Rai3 con il programma settimanale Brontolo, dedicato all’approfondimento di questioni politiche e sociali.

    • Si considera un «emarginato del giornalismo» («certo servirei ai cittadini, ma a chi importa dei cittadini?»). Aldo Grasso: «Beha è sempre stato considerato un antipatico del video».

    • Autore di testi teatrali, di numerosi saggi e di raccolte di poesie, che hanno vinto diversi premi. Tra i libri pubblicati: Sono stato io (Tropea Editore, 2004), Crescete & Prostituitevi (Bur, 2005), Indagine sul calcio (Bur, 2006, con Andrea Di Caro), Italiopoli (Chiarelettere, 2007, prefazione di Beppe Grillo), Dopo di lui il Diluvio (Chiarelettere, 2010), Il calcio alla sbarra (Bur, 2011, insieme ad Andrea di Caro), Il culo e lo stivale (Chiarelettere, 2012), Un cuore in fuga (Piemme, 2014).

    OLIVIERO BEHA OLIVIERO BEHA

    • Nel 2007 fu con Elio Veltri e Francesco Pardi tra i promotori della Lista civica nazionale.

    • Di chiare simpatie grilline. «Aveva sottoposto l’ipotesi di se stesso candidato sindaco Cinque Stelle ai lettori del suo blog, solo che Grillo l’ha affossato con un tweet (“non ho candidato nessuno”)» (Marianna Rizzini) [Fog 13/11/2012]. «La mia candidatura ipotetica a sindaco di Roma grillino uscì sui giornali senza mie dichiarazioni, né di accettazione né di rifiuto né di smentita: parafrasando il culto della Rete chiesi dunque che ne pensassero ai visitatori del mio blog, che si divisero tra i “magari” e i “non ti mischiare con quelli”. Il resto sono invenzioni. Non nascondo che il ventre italiano del M5S è più vicino al Conte di Montecristo che a Edmond Dantès».

    oliviero beha oliviero beha

    • Sposato, tre figli.

    LIBRO BEHA UN CUORE IN FUGA LIBRO BEHA UN CUORE IN FUGA Oliviero Beha Oliviero Beha MARRAMAO BERTINOTTI SOSPISIO BEHA MARRAMAO BERTINOTTI SOSPISIO BEHA OLIVIERO BEHA OLIVIERO BEHA OLIVIERO BEHA OLIVIERO BEHA Oliviero Beha Oliviero Beha

     

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