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    FOX POPULI: “MI DICEVANO: SEI BELLA, STAI ZITTA”, MEGAN FOX FUSTIGA LE FEMMINISTE SUL “NEW YORK TIMES” E SVELA L' IPOCRISIA DEL 'ME TOO': “QUANDO ANNI FA HO DENUNCIATO LE MOLESTIE NON MI HANNO PRESO SUL SERIO PERCHÉ SFUGGIVO AI LORO CANONI. IO NON SONO IL MARTELLO UNIVERSALE DELLA GIUSTIZIA. NON CREDO CHE IL MIO LAVORO CONSISTA NEL PUNIRE QUALCUNO PERCHÉ MI HA FATTO DEL MALE"


     
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    Alessandro Rico per “la Verità”

     

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    «Non credo che sarei il genere di vittima con la quale essere solidali». È così che, in un' intervista al New York Times, l' attrice americana Megan Fox (32 anni) ha giustificato il suo silenzio sulla saga del Me too.

     

    «Avrei un po' di storie da raccontare», ha spiegato, «ma non ho detto la mia per tante ragioni». Ragioni di buon senso, quelle addotte dalla protagonista dei primi due film sui Transformers. Intanto, ha dichiarato la Fox, «io non sono il martello universale della giustizia.

     

    Non credo che il mio lavoro consista nel punire qualcuno perché mi ha fatto del male».

    Una bella stoccata ai processi sommari innescati dalle femministe di Hollywood, che hanno portato a epurazioni illustri - e paradossali: basti pensare che tra i silurati c' è stato Kevin Spacey, per colpa di un presunto abuso sessuale ma a sfondo omoerotico. E poi, appunto, c' è la questione dell' empatia. Dell' abissale lontananza della Fox dal tipo di donna dimessa, riconvertita a look androgini tipo l' iniziatrice del Me too, Rose McGowan, Scarlett Johansson o Katy Perry. Il tipo di donna che si presenta come martire, tra contrite lagnanze e pubbliche accuse e che rappresenta il modello ideale di eroina-olocausto femminista.

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    Megan Fox, invece, ha due «difetti» fondamentali: è troppo irrealmente bella e soprattutto è sempre apparsa spavalda. Le sue denunce contro il maschilismo del cinema, che oramai risalgono a quasi dieci anni fa, le aveva esternate quasi come battute da talk show piuttosto che come le confessioni di una donna distrutta dal maschio prepotente e violento. Pertanto, quando la Fox arrivò praticamente ad anticipare il Me too, le femministe la ricoprirono di insulti.

     

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    Già, perché l' attrice nata nel Tennessee non è propriamente un' icona del trumpismo o una dichiarata simpatizzante del Partito repubblicano. Il 2009, anzi, fu per lei un anno mirabile che poteva consacrarla davvero quale icona femminista. Ad allora, infatti, risale il film horror Jennifer' s body, in cui la Fox interpretava una cheerleader posseduta da un demone, che seduceva e poi uccideva brutalmente i suoi partner allo scopo di mantenersi attraente.

     

    Letteralmente una mangiatrice di uomini. In quello stesso periodo, l' attrice attaccò il regista di Transformers, Michael Bay, con un repertorio di accuse che oggi manderebbero le sacerdotesse del Me too in brodo di giuggiole. Lo paragonò ad Adolf Hitler, si lamentò che sul set lui se ne infischiasse delle sue doti recitative, limitandosi a chiederle di essere «bollente» e «sexy». E, soprattutto, denunciò di essere stata «sessualizzata» da Bay durante i provini per una precedente pellicola, Bad boys 2, quando il regista chiese all' allora quindicenne Megan di mettersi a lavare la sua Ferrari in modo lascivo e provocante, sebbene qualcuno gli avesse fatto notare che non era il caso di trattare così un' adolescente.

     

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    All' epoca, però, il mondo femminista non reagì per niente bene. Il blog di area Zelda Lily definì la Fox «una sgualdrina ingrata» (l' insulto, invero, era un po' più volgare del già pesante «sgualdrina», ma noi vi risparmiamo la traduzione letterale). «Se qualcuno si fosse degnato di selezionare me tra centinaia di altre splendide attrici per recitare in un ruolo che mi avesse catapultato verso la fama», scrisse l' autrice del post, «oggi elogerei il film in lungo e in largo e mi metterei a stampare T shirt di Transformers».

     

    Quel ferocissimo articolo, a un certo punto, arrivava persino a deridere Megan Fox per la sua congenita brachidattilia (una malformazione che rende i pollici eccessivamente corti). Al New York Times, ricordando quella pioggia di critiche, la Fox ha detto: «Ero in avanti sui tempi, fui rifiutata per via di qualità che oggi vengono lodate nelle donne che si stanno facendo avanti».

     

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    Eccola qui tutta l' ipocrisia di quello che sarebbe diventato il Me too. Un movimento di militanti che pretendono di atteggiarsi a perseguitate, ma che - diciamocela tutta - da Asia Argento a Oprah Winfrey, hanno beneficiato del «sistema Weinstein», per poi sacrificarlo all' uopo sull' altare di una caccia allo stregone, nutrita di delazioni e condanne comminate sui media. Con la sua intervista di ieri, se volessimo parafrasare Oscar Luigi Scalfaro, Megan Fox sembra aver chiosato: «A questo gioco al massacro, io non ci sto». Lei, che poteva diventare un' icona della rivalsa sugli uomini. Lei, che non è mai stata un modello di stabilità (soffre di disturbo ossessivo-compulsivo). Lei, che fu la prima a sfruttare la tv per denunciare una «sessualizzazione» (peraltro, avvenuta quando aveva 15 anni, non mentre era adulta e vaccinata).

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    Lei, che nonostante si sia dichiarata molte volte priva di autostima e perseguitata da manie autolesioniste, ha un' immagine troppo strafottente per essere arruolata dalle femministe militanti. Lei, che dopo un passato controverso, ci regala anche un perla di saggezza, contro la tentazione della guerra tra sessi, spiegando che il suo rapporto con i figli si basa su un principio semplice: «Se loro si sentiranno al sicuro con la principale donna della loro vita, è probabile che si sentiranno al sicuro con le donne in generale». Una banalità. Che però il Me too non può tollerare.

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