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    CABRINI 60 – PARLA IL “BELL’ANTONIO”, PRIMO DIVO DEL CALCIO: "L’APPELLATIVO LO CONIO' BRERA. ALL'INIZIO MI HA SPIAZZATO, POI HO IMPARATO AD APPROFITTARNE. TROVAVO LE RAGAZZE IN ALBERGO DAVANTI ALLA CAMERA. VISTE TUTTE LE OCCASIONI CHE HO AVUTO, DICO CHE SONO STATO QUASI FEDELE" - POI PARLA DI SCIREA, DELLA VAR (“E’ SOCIALMENTE UTILE”), DELL’ISOLA DEI FAMOSI E DI QUELLA VOLTA CON L'ATTRICE SONIA BRAGA...


     
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    Giulia Zonca per La Stampa

     

    cabrini cabrini

    I 60 anni non sono fatti per i bilanci, ma per le feste e Antonio Cabrini, che li compie domenica, ne organizza una «per gli amici di una vita». E non sono pochi. La sua è sempre stata un' esistenza affollata. Si parla del primo divo del calcio, il Bell' Antonio o, come si definisce lui: «Un apripista, purtroppo sono nato nel 1957, pensi adesso quanto avrei potuto sfruttare quell' immagine».

     

    Oggi come lo vede il Bell' Antonio?

    «È uno che all' inizio mi ha spiazzato, poi ci ho fatto pace e ho imparato ad approfittare dell' etichetta».

     

    La prima volta che si è sentito chiamare così.

    «L' appellativo lo ha coniato Brera ma non credevo certo mi restasse addosso. Quando l' ho realizzato ero contrariato: volevo essere giudicato per quel che sapevo fare in campo. Mi sminuiva».

     

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    Uomo oggetto?

    «Più che altro sembravo bello e basta, poi però ho capito che in quel Bell' Antonio la gente ci metteva tutto, anche me, anche il mio talento, il mio carattere, il modo di giocare e allora ho legato le qualità all' immagine. Sono stato il primo, credo, a capire il potenziale del connubio».

     

    È stato il Beatles del pallone?

    «Ho avuto molto seguito, attenzione, trambusto intorno.

    Moltissimi tifosi».

    E tifose.

    cabrini cabrini

     «Allora il sistema non era preparato. Oggi c' è la sicurezza, i bodyguard, i pullman blindati. Io trovavo le ragazze in albergo, davanti alla stanza. Mi seguivano, mi aspettavano. A volte mi assillavano».

    Troppe?

    «Non è una questione di numero. Io ero lì per altro. Certe volte era imbarazzante. E comunque, non sarò stato un santo, però ero rigoroso: se c' era una partita da giocare e dovevo stare concentrato poteva bussare anche miss mondo».

    Però qualche miss mondo è entrata.

    «Qualcuna sì, vere bellezze, notevoli... Ma io non mi ricordo certo tutto».

     

    Sonia Braga se la ricorda?

    «Eh... ormai è diventata una storia da leggenda. Forse l' ho sognata».

    Pare di no.

    «Non ci siamo frequentati, solo, diciamo, incontrati».

    È stato un uomo fedele?

    cabrini cabrini

    «Date tutte le occasioni che ho avuto, si può dire quasi fedele. Alla mia attuale compagna, a cui sono fedelissimo, non ho avuto nemmeno bisogno di raccontare tutto. Era una mia tifosa, ed era più che preparata. Ne sa più di me. Ogni tanto tira fuori storie che io ho rimosso».

     

    Se lei giocasse oggi, tra Ronaldo e Neymar, sarebbe ancora il Bell' Antonio?

    «Avrei sempre il mio perché. E molti più soldi».

    Peschi tre immagini della sua carriera che hanno definito questi 60 anni.

    cabrini scirea zoff cabrini scirea zoff

    «Facciamo quattro, due bellissime e due orrende. Il primo trofeo che ho vinto da ragazzo con la Cremonese e ha dato il via a tutto e, inevitabile, il Mondiale del 1982. Poi però mi porto purtroppo dietro anche la notte assurda dell' Heysel e la morte di Scirea».

     

    Come ha reagito quando le hanno detto che era morto?

    «Ero a Bologna, è stato un trauma che non ho ancora superato. E non voglio superare: Gai per me è ancora qui. Non accetto il fatto che non ci sia più».

    antonio cabrini antonio cabrini

     

    Ha un suo ricordo speciale?

    «Era, e resta, una persona rara. In campo era un signore, e lo sanno tutti, fuori era una macchietta e io mi tengo stretto quel lato lì. Lui e io abbiamo vissuto il calcio allo stesso modo, con disincanto.

    Ci tenevamo lo sguardo da bambini. Saremmo così pure se giocassimo adesso».

    L' Heysel invece è una memoria più faticosa da gestire.

    «Non ci capimmo nulla quella sera. Non c' è altro da dire, tranne che non deve accadere mai più».

     

    Quando si è reso conto di essere campione del mondo?

    «Sull' aereo presidenziale. Non per il privilegio di viaggiare con Pertini, ma lì ho avuto quella prima sensazione di frenesia che a Ciampino è diventata gloria. Erano in 40 mila solo sotto l' aereo, c' era l' Italia in strada. Avevamo davvero fatto qualcosa di speciale».

     

    isola dei famosi giucas casella fa la barba ad antonio cabrini isola dei famosi giucas casella fa la barba ad antonio cabrini

    Per questo voi campioni vi sentite ancora oggi via chat su Whatsapp?

    «E ci parliamo tutti i giorni. Mi sa che ci sentiamo ancora speciali. E fortunati».

     

    C' è una partita che rigiocherebbe?

    «La finale di Coppa Campioni di Atene. Si è spenta la luce. Ancora non mi spiego perché».

     

    Che cosa aveva quella Juve di speciale?

    «Forgiava il suo Dna, il marchio della vittoria. Che c' è sempre, ancora adesso».

     

    Quello che poi rende anche antipatici?

    «Mi sembra più una percezione di oggi. Allora sentivo l' amore, magari un po' di invidia però tutta gente che alla fine diceva "però sti bianconeri...". Ci consideravano».

     

    antonio cabrini antonio cabrini

    La sudditanza verso i più forti esiste davvero?

    «Forse sì, ci sta. Però la verità è che non sposta nulla. Alla fine vince chi se lo merita».

     

    Le piace il calcio con la Var?

    «Sì, dà tranquillità. Mi fa sorridere che qualcuno ora dica che era meglio l' errore. In più, la Var insegna al tifoso a stare sereno. È socialmente utile».

    Lei è ancora tifoso?

    «Non lo sono mai stato».

     

    I suoi figli lo sono?

    «Solo del papà».

     

    Ha allenato la Siria che ora sogna i Mondiali.

    «Non me lo sarei mai immaginato. Sono rimasto là sei mesi e non avrei potuto continuare.

    Per loro il domani non è 24 ore dopo, è quando capiterà. Invece il calcio è un metronomo, se non rispetti i tempi non perdona. Applausi comunque».

     

    Quando si è presentato da ct alla nazionale femminile era ancora il Bell' Antonio?

    «No, credo si chiedessero cosa ci faceva lì uno che ha vinto tutto».

     

    Quanto manca al professionismo delle donne?

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    «Medio-lungo termine. Serve che le società maschili sostengano anche la squadra femminile e serve capire che sono due sport diversi. Non è discriminazione. Anche il volley maschile e femminile sono diversi».

     

    Perché la generazione del 1982 non ha avuto troppo successo in panchina?

    «Tardelli dice che abbiamo un nome troppo pesante».

    Lei che cosa dice?

     «Che vorrei avere un' opportunità vera all' estero. Che sono fiero di quel che hanno fatto i tecnici italiani altrove. Trapattoni, Ancelotti, Conte...».

     

    Si è pentito di aver partecipato all' Isola dei famosi ?

    «No, ho provato, era un altro mondo e finisce lì. E poi niente bilanci, ho 60 anni, non 90».

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