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    IL CINEMA DEI GIUSTI - ‘MARIA PER ROMA’ È UN’OPERA BUFFA, STRALUNATA E ALTERNATIVA, CHE MONDA SPERAVA DI TRASFORMARE IN UN NUOVO ‘JEEG’ E CHE INVECE FINISCE NELLE PROGRAMMAZIONI ESTIVE DI FILM NON VISTI. PECCATO, PERCHÉ RIMANE UNA BELLA SORPRESA, UN FILM ALLEGRO MA TRAGICISSIMO SUL FARE CINEMA A ROMA


     
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    Marco Giusti per Dagospia

     

    Maria per Roma di Karen Di Porto

     

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    “Che stai a cercà Maria per Roma?”. Si dice a Roma, sembra, anche se io non l’ho mai sentito dire. Cercando proprio anche lui una sorta di Maria per Roma, cioè un nuovo Jeeg Robot, Antonio Monda, direttore del Festival di Roma, l’anno scorso aveva presentato come scoperta assoluta quest’opera buffa, stralunata e alternativa, appunto Maria per Roma, scritto, diretto e interpretato da un’attrice romana, Karen Di Porto alla sua opera prima.

     

    E’ un piccolissimo film, nato dal suo precedente corto, Cesare, prodotto dal mitico Galliano Juso che ha poco o niente a che vedere con Jeeg, ma possiede invece quella leggerezza di certi lavori post-morettiani romani con il protagonista in giro per Roma, da qui il titolo, alla ricerca non si sa di che cosa. Pensato da Monda come alternativa forte al cinema italiano corrente, e in qualche modo lo è, finisce nelle programmazioni estive di film non visti.

     

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    Peccato. Perché la cosa più sorprendente di Maria per Roma, non è tanto il soggetto, che vede un’attrice che fa altri lavoretti per campare in giro per la città alla ricerca di un’occasione che le cambi la vita, ma l’idea che, ormai, fare l’attore, anzi, voler fare l’attore, fa parte della pratica quotidiana di chi per vivere fa altro a Roma. Il cameriere, o il key-holder, quella che ti porta le chiavi del bed&breakfast e ti apre l’appartamento, come la Maria di Karen Di Porto.

     

    Così non è che la giornata di Maria viva attorno ai suoi appuntamenti di lavoro legati al cinema, provini per ruoli improbabili, prove nei teatrini off, ma esattamente il contrario, vive cioè attorno al lavoro pensato un tempo come secondario dove il cinema o l’opportunità di fare cinema diventano più che degli hobbies quasi dei tic nervosi all’interno della mappa dei suoi spostamenti per la città. “Dammi dieci minuti, arrivo!”, “Posso dire a mia suocera di andare a prendere la bambina a scuola e sono là”, “Eccomi, quanto avete aspettato?”.

     

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     Maria si muove freneticamente per una giornata col suo vespino accompagnata dalla cagnetta Bea, che la aspetta ovunque, e può interrompere la scena di un film perché ha un problema di lavoro, un turista da accompagnare, o lasciare a metà il teatro. Non dice mai di no, arriva sempre, anche se è sempre in ritardo. La sua frenesia è accompagnata dall’assoluta impassibilità della sua cagnetta e dall’amico che interpreta Gesù per strada e ogni tanto rivediamo nel corso del film.

     

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    Malgrado una scena finale davvero troppo povera, con la festa elegante ricostruita malamente alla Casa del Cinema, Maria per Roma rimane una bella sorpresa, un film allegro, ma tragicissimo sulla fine del poter fare cinema come un tempo a Roma. E questa Maria rappresenta un po’ tutti i vorrei ma non posso di varie generazioni che si sono alimentate attorno a una speranza ormai sempre più lieve di poter cambiare la propria vita grazie a un sogno, a un provino, a un “le faremo sapere”. In sala dall’8 giugno.

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