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    IL KO DEL “KAPÒ” - GRAZIE A QUEL FRESCONE DI SCHULZ L’SPD TRACOLLA AI MINIMI STORICI - MA PERCHE’ UN ELETTORE AVREBBE DOVUTO VOTARE UN PARTITO DI CENTROSINISTRA TOTALMENTE APPIATTITO SULLA MERKEL? - L’EX PRESIDENTE DEL PARLAMENTO EUROPEO PASSA ALL'OPPOSIZIONE E NON SI DIMETTE: “DOBBIAMO RIFONDARE TUTTO”


     
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    Roberto Brunelli per “la Repubblica”

     

    martin schulz martin schulz

    Sembrano come paralizzati, quando sui megaschermi si materializzano tutti gli incubi delle ultime settimane. Nemmeno un grido di stupore, le lacrime ricacciate indietro. I socialdemocratici tedeschi hanno appena incassato la peggiore sconfitta della loro storia. Il 20,7% di oggi è meno della Waterloo del 2009, è cinque punti sotto il risultato del 2013, ed è il punto più basso dal 1949, il peggiore nella storia della Repubblica federale. Sull'altro fronte, l'ultra-destra dell' Afd è terza forza del paese, anche grazie all' afflusso di non pochi voti un tempo "rossi".

    MERKEL SCHULZ MERKEL SCHULZ

     

    Il silenzio che cala sull' atrio del Willy- Brandt-Haus, quartier generale della Spd, è sporcato solo dai sussurri delle troupes televisive venute per certificare la débacle: la sconfitta di Martin Schulz, l'ex librario di Wurselen diventato prima presidente del Parlamento europeo e poi ultima speranza di una Spd alla ricerca di un' identità fuori da "Merkelandia".

     

    Quasi a contrastare la costernazione, risulta ancora più fragoroso l' applauso che i militanti e sostenitori gli tributano quando il leader alle 18.32 sale sul palco montato accanto alla statua del cancelliere- icona della socialdemocrazia, quello stesso Brandt di cui oggi nessuna osa pronunciare il nome. «Martin, Martin», gridano i "Genossen", i compagni, e sembra che non vogliano smettere.

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    Il fatto è che sentono subito quello che vogliono sentire: «Da stasera la Grosse Koalition è finita», scandisce Schulz. La direzione della Spd la linea l'ha già decisa, pare all'unanimità: si va all' opposizione. «Non è una scelta tattica. L' alleanza con Merkel è morta e sepolta», sussurra un deputato di lungo corso. C'è chi pensa che ne vada della sopravvivenza dell'Spd.

     

    «Dobbiamo ricostruire il partito dalle fondamenta», declama Schulz. Aggiungendo, subito dopo: «Io ho la responsabilità di gestire questo processo». Niente dimissioni, insomma: quasi un estremo atto d' orgoglio nel «giorno più amaro per la socialdemocrazia tedesca».

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    La base è d' accordo: la continuazione della responsabilità di governo accanto a Frau Merkel sarebbe fatale. Ma nella decisione pesa anche il risultato a due cifre dell' Afd. I big del partito - in prima fila sul palco ci sono la giovane governatrice del Meclemburgo Manuela Schwesig, il vice Schaefer-Guembel, la ministra al Lavoro Andrea Nahles, in seconda fila il ministro degli Esteri Sigmar Gabriel - ritengono che lasciare all' ultra-destra la guida dell' opposizione avrebbe esiti disastrosi. Non a caso Schulz promette che la Spd sarà «la roccaforte contro l' Afd», che è una forza che «spacca il paese», e che «combatterà con forza per valori come la tolleranza e il rispetto».

     

    SCHULZ BERLUSCONI KAPO SCHULZ BERLUSCONI KAPO

    Certo, degli errori ci sono stati: «Non siamo stati in grado di convincere la maggioranza degli elettori, né di mantenere la nostra base sociale. Ma abbiamo sempre avuto la forza per difendere la democrazia in Germania ». Belle parole. Intanto però, le manovre per la «ricostruzione del partito» sono cominciate. Via il capogruppo al Bundestag Thomas Oppermann, quasi certamente al suo posto arriverà l' attuale ministra del Lavoro Andrea Nahles, la "madre" della legge sul salario minimo.

     

    E la Merkel? Nei dibattiti tv di prima serata Schulz le dedica l' attacco più veemente di sempre: «Farà ogni concessione immaginabile per rimanere al suo posto.

    La sua campagna elettorale è stata scandalosa, segnata dalla sistematica negazione di tutto ciò che intendiamo per politica. Un vuoto di cui ha approfittato l' Afd ». Qualcuno, tra i militanti, alza le spalle: «Forse parole così toste sarebbero state più utili prima del voto. Non dopo».

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