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    LA SOSTENIBILITÀ NEL "FAST FASHION" È UNA STRONZATA - "MI-JENA" GABANELLI: “L’INGANNO AL CONSUMATORE SI CHIAMA GREENWASHING. MA COME FA IL CONSUMATORE A DISTINGUERE UN’ETICHETTA FALSAMENTE ECOLOGICA DA UNA VERA? IL RAPPORTO PIÙ DETTAGLIATO È QUELLO DI GREENPEACE CHE HA ESAMINATO LE ETICHETTE DI PRESUNTA SOSTENIBILITÀ DI 29 MARCHI COME ZARA, H&M E PRIMARK, E…”


     
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    Estratto dell’articolo di Milena Gabanella per www.corriere.it

     

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    Nel mondo della moda domina il fast fashion, che significa una produzione massiccia di capi d’abbigliamento progettati per essere indossati per un periodo breve (bassa qualità e bassissimo prezzo) e poi gettati e sostituiti da nuovi modelli. Un sistema produttivo che però sta generando un impatto ambientale e sociale a carico dell’intera collettività. Le aziende lo sanno, e cercano di migliorare la loro immagine con promesse di sostenibilità che spesso non hanno nessun riscontro concreto.

     

    L’inganno al consumatore, che passa da vaste campagne di comunicazione con le quali si lascia intendere che l’intero modello produttivo è «green», si chiama greenwashing. Ma come fa il consumatore a distinguere un’etichetta falsamente ecologica, da una vera?

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    Il rapporto più dettagliato è quello di Greenpeace «Greenwash danger zone» che ha esaminato le etichette di presunta sostenibilità di 29 marchi, inclusi i partecipanti all’iniziativa «Detox commitment» come Zara, H&M e Primark. Etichette che potrebbero nascondere una realtà molto diversa da quella che ci viene presentata.

     

    Sostenibilità del cotone BCI

    Il cotone è una delle fibre più utilizzate nell’industria della moda ed è associato ad un importante impatto ecologico, come l’enorme uso di acqua (circa 2.700 litri per produrre una sola t-shirt), pesticidi, fertilizzanti, e l’impiego di semi OGM. Nel 2005 è stato introdotto il Better Cotton Initiative (BCI), con l’obiettivo di promuovere una produzione più sostenibile attraverso pratiche agricole che riducono l’uso di agenti chimici nocivi. Nel 2021 secondo il rapporto di Organic Cotton Accelerator del 2021, solo il 20% del cotone coltivato globalmente è certificato BCI. Poca cosa.

     

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    E quel poco non è detto che sia effettivamente sostenibile perché l’intera filiera, ovvero il percorso del cotone che parte dalla coltivazione per arrivare alla produzione finale, non è trasparente, e inoltre lo standard non impone una soglia di restrizioni all’uso di pesticidi obbligatoria. Nella realtà quindi succede che, rispetto al cotone tradizionale, quello marchiato BCI usa pesticidi fino al 67% (rapporto di Textile Exchange del 2021). H&M, che produce circa 3 miliardi di capi d’abbigliamento all’anno, certifica con standard BCI il 70% dei suoi capi in cotone.

     

    Il falso mito del poliestere riciclato

    Quando si parla di «poliestere riciclato» nei tessuti, ci si riferisce al riciclo di bottiglie di plastica (PET) da cui si ricavano fibre di poliestere da utilizzare nella produzione di abbigliamento o altri prodotti tessili. Ma al contrario di ciò che avviene con una bottiglia, il riciclo del poliestere una volta trasformato in tessuto, si ferma, perché non è più riutilizzabile. Con due aggravanti:

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    1) il processo di produzione genera circa 1,5 tonnellate di CO2;

    2) ad ogni lavaggio vengono rilasciate 1.900 microfibreche vanno ad incrementare la contaminazione degli ecosistemi acquatici. Zara produce in media 800 milioni di vestiti ogni anno, soprattutto in poliestere.

     

    Viscosa & Co

    Le fibre cellulosiche artificiali, come la viscosa, sono spesso presentate come una scelta sostenibile. Vediamo. Ogni kilogrammo di fibra prodotta richiede un consumo di acqua che si aggira tra i 70-140 litri d’acqua. Inoltre, è necessario l’utilizzo di sostanze chimiche nocive come il disolfuro di carbonio (Rapporto CanopyStyle). La materia prima per la produzione di cellulosa necessaria a produrre il tessuto proviene dagli alberi.

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    Secondo la Forest Stewardship Council (FSC), solo il 14% della cellulosa utilizzata per la produzione di viscosa proviene da fonti certificate, ovvero da foreste che sono state valutate e gestite secondo standard riconosciuti a livello internazionale per la sostenibilità forestale […]

     

    La linea Zara

    Zara con la sua etichetta «sostenibile» Join Life Care for Water/Care for Planet sta cercando di uniformarsi alle politiche green, eppure continua a utilizzare il poco sostenibile cotone BCI. […]

     

    La collezione Primark

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    Primark, l’azienda irlandese da quasi 6 miliardi di fatturato annuo, ha sviluppato un programma di sostenibilità interno, denominato PSCP (Primark Sustainable Cotton Program) in cui autocertifica la qualità dei materiali utilizzati. I dati però non sono riportati da nessuna parte e al momento non sono ancora stati resi noti quelli relativi ai benefici ambientali. […]

     

    H&M accusata di greenwashing

    H&M, la seconda azienda di abbigliamento al mondo per volume di vendite, nel 2022 è stata trascinata in tribunale a seguito di un’azione legale per greenwashing, intentata dalla studentessa di marketing americana Chelsea Commodore. La controversia riguardava la collezione «Conscious Choice». Commodore, dando seguito a un’indagine condotta da Quartz, noto sito statunitense di notizie e media online, ha affermato che le informazioni sulla sostenibilità fornite da H&M erano fuorvianti.

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    H&M utilizzava un sistema di punteggio basato sull’Indice di sostenibilità dei materiali Higg (MSI) della Sustainable Apparel Coalition (SAC) per informare i clienti sulla sostenibilità ambientale di ogni prodotto, mentre (secondo Quartz) più della metà dei punteggi li rappresentavano più ecologici di quanto fossero in realtà. In seguito alla denuncia H&M ha rimosso i punteggi dai suoi articoli e il gruppo SAC ne ha sospeso l’utilizzo.

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    […] Negli ultimi 20 anni la produzione di vestiti è raddoppiata: 100 miliardi di capi nel 2022 e si prevede che raggiungerà i 200 miliardi di capi nel 2030. Tutta l’industria tessile nel suo insieme è responsabile del 5-10% delle emissioni globali di gas serra. L’aspetto critico è proprio la mancanza di sostenibilità nella produzione intensiva: dal consumo di acqua, all’inquinamento con oltre 3.500 sostanze chimiche.

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    L’Unione Europea, con il Green Deal, ha proposto un piano per realizzare un modello di crescita efficiente e sostenibile per affrontare i cambiamenti climatici e proteggere l’ambiente.

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