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    “LA MAFIA E’ UN’ALTRA COSA” - LE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA CHE HA CONDANNATO IL “MONDO DI MEZZO” DI BUZZI E CARMINATI SPIEGANO PERCHE’ ROMA ERA IN MANO A CRAVATTARI, IMBROGLIONI E CORRUTTORI E NON ALLA MAFIA: “MANCANO LA CARICA INTIMIDATRICE, ASSOGGETTAMENTO E OMERTÀ”


     
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    Sara Menafra per “il Messaggero”

    buzzi carminati buzzi carminati

     

    Quella nebbia scura portata dal nome «banda della Magliana» non è stata sufficiente a dimostrare la «mafiosità» dell'organizzazione Mondo di mezzo. Perché il gruppo che la procura aveva ipotizzato fosse capeggiato da Massimo Carminati e Salvatore Buzzi non aveva un reale controllo del territorio, il ricordo della Banda è segnato da sentenze contraddittorie (il tribunale dice persino che sono state tutte assoluzioni) e, soprattutto, manca, dice la X sezione del tribunale di Roma, la «carica intimidatrice» intesa come «caratteristica specifica del modello associativo delineato dall'art. 416 bis attraverso cui l'associazione si manifesta concretamente».

    buzzi e carminati a processo buzzi e carminati a processo

     

    Con un tempismo di cui il tribunale di Roma va particolarmente fiero, tanto che ieri il presidente ha dedicato ai tempi del primo maxi processo della capitale una conferenza stampa ad hoc, la corte presieduta da Rosanna Ianniello ha depositato le 3.200 pagine di motivazioni della sentenza che condanna a pene molto dure gli indagati dell'inchiesta che per tre anni ha fatto tremare la capitale. Ma che rifiuta di riconoscere che quel gruppo sia un'unica organizzazione mafiosa. 

     

    «DUE ORGANIZZAZIONI»

    buzzi carminati buzzi carminati

    I punti di dissenso dall'impostazione della procura sono tanti. Prima di tutto, scrive il collegio, i presunti membri dell'associazione in buona parte non si conoscevano tra loro. C'era, invece, da un lato un gruppo dedito ad attività di usura ed estorsione, «aventi come base operativa il distributore Eni di Corso Francia» e dall'altro «le attività criminali interessanti il settore della pubblica amministrazione». Questi due gruppi, scrivono i giudici, «sono e rimangono vicende separate». In entrambi i gruppi, scrive il giudice, «per i due gruppi criminali» non è possibile riscontrare «alcuna mafiosità». 

     

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    Il punto, aggiungono i giudici, non è tanto che quella romana non sia una mafia tradizionale perché anche nel codice, il riferimento al «modello mafioso» «va inteso solo come riferimento ad un modello storicizzato, idoneo però a ricomprendere anche nuove organizzazioni disancorate dalla mafia tradizionale, che ne pratichino tuttavia i metodi». Il punto - ed è su questo che, con ogni probabilità, insisterà la procura nel presentare appello - è che mancherebbe la «carica intimidatrice», ovvero la caratteristica attiva attraverso cui la mafia agisce e che si dimostra attraverso «forza d'intimidazione»; «assoggettamento» e «omertà». 

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    Il portato storico della banda della Magliana non basta, perché l'unico punto di collegamento con quel gruppo «è costituito dalla persona di Massimo Carminati destinatario di una notevole fama mediatica»: «Fama a parte, l'esistenza di un collegamento soggettivo non significa, però, automatico ripristino o prosecuzione del gruppo precedente». Anche perché, concludono i giudici, per la Banda della Magliana l'associazione mafiosa non è mai stata dimostrata (in realtà alcune sentenze l'hanno fatto, ma in contraddizione con altre). 

    carminati carminati

     

    Per dire che quella di Carminati e Buzzi era mafia, concludono i giudici, servirebbe una legge: «Estendere ancora l'interpretazione della norma fino ad includervi anche il concetto di riserva di violenza per le mafie non derivate, condurrebbe il Tribunale ad una operazione di innovazione legislativa della fattispecie criminosa, innovazione che - per quanto auspicabile - si collocherebbe inevitabilmente fuori dell'ambito della giurisdizione».

     

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    LA CORRUZIONE

    Se la mafia scompare, resta il pesante ruolo sugli appalti e la pubblica amministrazione: «La lunga esperienza maturata» soprattutto da Buzzi nel settore della cooperazione, «sono stati da lui sapientemente utilizzati e sfruttati per la commissione di reati finalizzati a potenziare i profitti delle cooperative e dei soggetti che di esse avevano la direzione e la gestione». È lui, l'ex detenuto modello, ad essere costantemente impegnato «nella incessante attività di accaparramento di appalti pubblici, attraverso la rete di conoscenze e contatti da lui abilmente coltivata». 

     

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