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    MATTIOLI IN LODE DEL FESTIVAL DI SALISBURGO: "E’ IL PIU’ IMPORTANTE DEL MONDO, QUI CON I TESTI DEL PASSATO SI RACCONTA IL PRESENTE – ALLE VOLTE, CERTO, IL SOSPETTO CHE TRIONFI L’ESTETICA DEL “FAMOLO STRANO” VIENE. COME NELL’ACCLMATISSIMA “CLEMENZA DI TITO” DELLA COPPIA PETER SELLARS- TEODOR CURRENTZIS..."- VIDEO


     
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    Alberto Mattioli per la Stampa

     

    CLEMENZA DI TITO SALISBURGO CLEMENZA DI TITO SALISBURGO

    Qu attro opere in tre giorni confermano, se mai ce ne fosse bisogno, che quello di Salisburgo è ancora e sempre il festival musicale più importante del mondo. La ricchezza della programmazione trasforma l' appassionato nel bimbo cui in pasticceria hanno appena detto «mangia pure tutto quello che vuoi» (e anche come pasticcerie, si sa, Salisburgo con scherza). Però il segreto non è solo nel metterti a portata d' orecchio, in quaranta giorni, tutto quel che vale la pena di ascoltare. Il festival ha il coraggio di innovare, di scommettere, allargando il repertorio e il modo di proporlo. Il bello, qui, non viene identificato nel rifare gli stessi titoli allo stesso modo come si crede in Italia, ma nel ripensarli. E paga: come risultati artistici ma anche di presenze e di indotto.

     

    Forza e rigore Alle volte, certo, il sospetto che trionfi l' estetica del «famolo strano» viene. Come nell' acclamatissima Clemenza di Tito della coppia Peter Sellars-Teodor Currentzis, come dire l' ex enfant terrible ora iperclassico della regia e il controverso nuovo genietto della direzione. I due sfrondano i recitativi, eliminano un terzetto e inseriscono brani della Messa in do minore e altre hit mozartiane. Arbitrario? Sì. Pretestuoso? No.

    LA CLEMENZA DI TITO SALISBURGO 3 LA CLEMENZA DI TITO SALISBURGO 3

     

    Perché il risultato è uno spettacolo di una forza e di un rigore (sì, rigore) straordinari.

    Agghiacciante vedere Sesto che prepara l' attentato a Tito-Mandela cingendosi la cintura esplosiva dei kamikaze jihadisti sull' Adagio K546, o la folla che porta fiori e candele sul luogo dell' attentato, il Campidoglio di ieri, le Ramblas di oggi, cantando il Kyrie della K427. Quanto alla prima aria di Sesto con il clarinettista in scena, sono i dieci minuti di teatro musicale più intensi degli ultimi anni.

     

    Prendere un testo del passato e fargli raccontare il presente: in fin dei conti, è la stessa operazione fatta da Mozart riducendo «a vera opera» la Clemenza metastasiana, vecchia di mezzo secolo. Eccessiva, istrionica e insieme del tutto pertinente, la direzione di Currentzis è perfetta e i suoi siberiani di musicAeterna, orchestra e coro, magnifici. Peccato solo per la compagnia modestissima, con l' eccezione luminosa del Sesto di Marianne Crebassa, una giovane grande artista.

     

    ALBERTO MATTIOLI ALBERTO MATTIOLI

    Su un' altra grandissima ma già assurta agli altari, Cecilia Bartoli, si regge l' Ariodante di Haendel. Lei fa la donna barbuta tipo Conchita Wurst, perché il regista Christof Loy pasticcia un po' un ottimo spettacolo con confusi riferimenti all' Orlando della Woolf. Ma non importa: santa Cecilia delle colorature si mette in tasca il pubblico già con la prima aria, e il suo «Scherza infida» è semplicemente il più commovente mai sentito. Merito anche dell' ottima direzione di Gianluca Capuano, capace di far teatro con le arie col dacapo senza quegli eccessi di ba-rock che iniziano francamente a stufare, anche perché ormai così fan tutti.

     

    Così alla fine, la produzione che funziona meno è il più tradizionale, cioè il Wozzeck affidato a William Kentridge, grande artista che però ogni volta rifà se stesso e, di conseguenza, lo stesso spettacolo. Berg per Berg, questo Wozzeck è più o meno come la Lulu di Londra e Roma: belle scene affastellate, belle luci, bellissime proiezioni, e poca regia. Uno spettacolo curato e freddo come la direzione di Vladimir Jurowski, dove c' è tutto tranne l' odore del sangue. Matthias Goerne è quasi sempre sovrastato dall' orchestra; bravissima il giovin soprano Asmik Grigorian.

     

    Wiener di nuove sonorità Ultimo ma primo, il capolavoro dell' estate: la Lady Macbeth di Mzensk di Sostakovic. Lo spettacolone di Andreas Kringenburg è, tutto sommato, tradizionale però non rinunciatario, attento alla recitazione, tutta e sempre sulla musica. La compagnia, perfetta fino all' ultimo comprimario. La rivelazione è la protagonista, Evgnenia Muraveva: aveva una particina, poi la diva Nina Stemme si è infortunata, lei è stata promossa a Katerina e insomma «a star is born» nel tripudio generale.

     

    SALISBURGO 1 SALISBURGO 1

    Lo merita tutto: voce corposa, con gravi di rara corposità, e bella presenza scenica, anche se forse fa una lady troppo vittima e non abbastanza carnefice. Ma se questo spettacolo entrerà nella storia è per Mariss Jansons, la cui superlativa direzione è un ossimoro di bellezza, scintillante e asciutta, limpida e drammatica, lirica e tesissima, tutta un effetto senza mai cercarlo. E anche uno dei rari casi in cui i Wiener (immensi) hanno cercato e trovato sonorità nuove, invece di replicare all' infinito le loro. Semplicemente meraviglioso.

     

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