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    DAGO GAMES BY FEDERICO ERCOLE - “RED DEAD REDEMPTION 2” IN UN SOLO WEEKEND HA INCASSATO 800 MILIONI DI DOLLARI - È UNO DEI VIDEOGAME PIÙ INTENSI MAI REALIZZATI, UN’OPERA D’ARTE DELL’AVVENTURA CHE SIMULA LA VITA, CON LE SUE GIOIE E I SUOI DOLORI, LA NOIA E L’ESALTAZIONE. NON C’È ALCUN DUBBIO CHE SIA IL CAPOLAVORO DI QUESTA GENERAZIONE DI VIDEOGAME, FINORA STRAORDINARIA - VIDEO


     
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    Federico Ercole per Dagospia

     

    IL CREPUSCOLO DEL WEST

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    1899: la carovana di disperati che arranca spossata per i bianchi e gelidi declivi, nella notte di un inverno infinito, non è solo in fuga dalla legge, ma dalla storia che li sta seppellendo come quei crudeli, indifferenti fiocchi di neve, rivelando l’obsolescenza del “vecchio west” e del suo popolo, falcidiato dall’alba imminente di un nuovo secolo, dalle armate meccaniche e burocratiche della civilizzazione.

     

    La banda di Dutch Van Linde, della quale fanno parte non solo relitti miserabili e ancora pericolosi come bestie ferite ma donne e bambini, è una comune anarchica di esuli dal tempo e dall’uomo, che insegue il sogno di una libertà utopica, si rifugia in una natura magnifica che rivela spietata la sua crudeltà.

     

    E’ epico e tragico l’inizio di Red Dead Redemption 2, la summa virtuale di ogni western possibile di Rockstar Games,  il videogame per Playstation 4 e XBox One che solo in un fine settimana ha incassato 800 milioni di dollari (c’è ancora speranza nel buon gusto del pubblico), ma soprattutto coraggioso nella sua convinta e profonda autorialità che resuscita miracolosamente un genere del cinema in estinzione per riportarlo ad un nuovo pubblico nella forma interattiva di un videogioco.

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    Red Dead Redemption 2 è uno struggente canto d’amore al cinema western, che con The Great Train Robbery di Edwin Porter cominciò a mettere in scena l’epopea di quegli anni violenti e avventurosi già nel 1903, solo quattro anni dopo l’inizio del videogame di Rockstar. E come in ogni epica, sebbene in essa vi sia percepibile l’ombra della storia, vi è soprattutto la celebrazione del mito, la consacrazione in leggenda di un tempo perduto.

     

    Conduciamo quindi, illusoriamente gelati anche noi che giochiamo tra quei notturni e algidi pendii, quei rari esuli di un’era morente per valli e monti innevati, fino ad un rifugio nel quale la banda stravolta potrà riprendersi e attendere la fine dell’inverno. Ma questo preludio si prolunga, ci annienta e rapisce con la sua spossante e sublime lentezza, che è quella del cinema ma applicata al videogioco e amplificata a dismisura. Percepiamo l’ingombro fatale della neve, il rigore di un inverno crudele, la sofferenza e la disperazione dei profughi. Si tratta di criminali, è vero, banditi in fuga, tuttavia la banda di Dutch ha un suo idealismo poetico e pragmatico, fantasmi di un’idea già confutata, che li trasforma in eroi loro malgrado.

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    Durante queste nevose prime ore di gioco possiamo sperimentare qualcuna delle tante opzione ludiche di Red Dead Redemption 2: le lunghissime cavalcate, la caccia per sopravvivere con la sua crudezza verista da macello, le sparatorie caotiche ma efficaci nel restituire la fulmineità ebbra dell’azione, i dialoghi scritti con una coscienza letteraria che rimanda ai romanzi di Cormac MacCarthy. Il gioco comincia davvero solo con la primavera, quando infine il gelo molla la sua presa e la banda di Dutch inizia il suo viaggio verso una libertà impossibile.

     

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    ARTHUR E I CAVALIERI DEL FALO’

    La libertà e la varietà concesse al giocatore in Red Dead Redemption 2 sono tali da travolgerlo, inizialmente, atterrendolo con le loro molteplici possibilità. E’ vero che c’è una narrazione principale ma come in tutti i giochi non lineari possiamo decidere di seguirne l’evolversi quando ci aggrada. Inoltre le vicende secondarie e opzionali sono davvero affascinanti, novelle esemplari utili non solo per ricavare piacere dalla preziosa diegesi, ma ai fini di esplorare con rigore regioni immense  o guadagnare risorse per permettere alla banda di prosperare. 

     

    Possiamo aiutare i malcapitati che incontriamo tra le lande selvagge o rapinarli giocando con la nostra etica, camminare per boschi e prati alla ricerca di erbe rare o funghi, pescare o cacciare, giocare a poker, ubriacarci in un saloon e poi scatenare una rissa, provare il “gioco delle cinque dita” con una lama affilata, cucinare piatti di verdure e carni, raderci e acconciarci i capelli dopo esserci abbigliati, assaltare treni e carovane, rapinare banche, sederci attorno al fuoco sotto il cielo stellato per ascoltare i racconti dei nostri compagni, prenderci cura del nostro importantissimo cavallo e cavalcarlo anche per ore mentre le inquadrature si fanno dinamiche restituendoci uno sbalorditivo senso di cinema in atto. Oppure è sufficiente fermarsi ad osservare i panorami dalla bellezza sconvolgente mentre si addensano le nuvole all’orizzonte e i lampi illuminano monti distanti elettrizzando la superficie liquida di un lago.

     

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    Il protagonista del gioco -nostra supermarionetta in questo mondo fittizio che imita un’America che non c’è più e che nello stesso tempo ci controlla dallo schermo con rara potenza- è Arthur Morgan, il braccio destro di Dutch. Nelle mani di chi scrive, potendo decidere l’orientamento morale in base alle proprie decisioni, egli sta diventando il paladino di una tavola rotonda di cavalieri sognatori e folli, un “buono” sempre disposto a dare una mano agli altri sebbene sia impossibile non cedere alle provocazioni e alla violenza e il conteggio dei morti cresca dopo ogni escursione fuori dall’accampamento. D’altronde siamo nel west e orribili bifolchi aggressivi, cacciatori di taglie e criminali prezzolati sono ovunque.

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    Arthur è un sentimentale e non è un incolto, per intuirlo subito basta leggere il suo diario dove scrive con un’elegante calligrafia le sue cronache e le illustra con un’innegabile arte. Egli è inoltre una figura romantica ma è tutto il gioco a essere romantico nell’accezione più pura e inattuale del termine, e in questo romanticismo sfrenato sono contemplati persino momenti di malinconica, dolce tenerezza.

     

    LA NATURA SOCCOMBENTE

    La natura è l’anima di Red Dead Redemption 2, illustrata con realismo incantato dagli artisti di Rockstar Games. Ci smarriamo e ci ritroviamo in essa, nella sua maestosa bellezza e nella sua leopardiana indifferenza. Non si tratta di una natura inerte, poiché nulla è inerte nel gioco in questione ma ogni cosa reagisce alla nostra presenza, viva seppure elettronica.

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    Fauna e flora sembrano esistere davvero in un loro ecosistema, e le bestie alterano l’ambiente con la loro presenza e i loro suoni, mai contaminati da un’eccellente colonna sonora colta e sofisticata che non turba il “naturlaut” ma interviene sulle emozioni, colora i dettagli, contrappunta la contemplazione ed esalta la lentezza del gioco. Eppure, lo vediamo, la natura sta soccombendo alla civiltà, il fumo di lontane ciminiere si alza sui profili secolari delle foreste, le valli sono percorse dalle rotaie, i villaggi diventano città, i paesi ambiscono a mutarsi in metropoli. Il canto degli uccelli cede al fragore metallico dei treni, che ammutoliscono persino il rombare dei tuoni.

     

    UN CAPOLAVORO?

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    Red Dead Redemption 2 è uno dei videogame più intensi mai realizzati, un’opera d’arte dell’avventura che simula la vita, con le sue gioie e i suoi dolori, la noia e l’esaltazione. Non c’è alcun dubbio che insieme a Legend of Zelda Breath of the Wild, così lontano eppure così vicino, sia il capolavoro di questa generazione di videogame, finora straordinaria.

     

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    L’opera di Rockstar si ispira alla storia moderna dei videogame traendone il meglio per trasformarlo e variarlo: si trovano tracce di The Witcher 3 con la sua natura perturbata dall’uomo e le sue tante novelle, personaggi plausibili e “viventi” malgrado come in Shenmue o Deadly Nightmare, lunghe cavalcate che divengono un’esperienza metafisica di viaggio comparabile a quella vissuta in Shadow of the Colossus, la strategia varia e soggettiva di Metal Gear Solid Phantom Pain, ovviamente l’ironia, l’indagine sociologica e la critica politica dell’altro colosso di Rockstar, ovvero Grand Theft Auto. Inoltre Rockstar cita con amore un secolo di cinema western e non:da Griffith a John Ford, da Fritz Lang a Howard Hawks, da Sam Pekimpah a Robert Aldrich, da Budd Boetticher a Anthony Mann, da Don Siegel a Arthur Penn, da Clint Eastwood a Quentin Tarantino, da John Milius a Michael Cimino e in queste citazioni coinvolge il giocatore in una sinfonia cinefila fatta di piani, di allusioni e di immagini come leit-motiv.

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    Ma Red Dead Redemption 2, malgrado l’evidente presenza di tanto cinema immenso, è soprattutto un videogioco che ribadisce il genio dei suoi autori ed esalta l’estetica unica di Rockstar, il suo modo di raccontare e di farci giocare, impegnando non solo le nostre dita ma il nostro cuore e il nostro cervello. Il sunto di anni di capolavori inconciliati, i vari Grand Theft Auto e Bully, The Warriors e Manhunt. Il manifesto splendente dell’arte rivoluzionaria di Rockstar Games. 

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