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    BOLLE, BALLE E BULLI - OGGI LA BORSA DI SHANGHAI CHIUDE A +3,5%, DOPO CHE IL CROLLO DI LUNEDÌ AVEVA RISVEGLIATO LA BANCA CENTRALE. MA FRENARE LA 'FABBRICA DEL DEBITO' SERVE SOLO A RIMANDARE LA RESA DEI CONTI. E SI CONTINUERÀ SULL'OTTOVOLANTE TUTTA L'ESTATE


     
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    1.BORSE ASIA-PACIFICO - MERCATI IN RIPRESA, SPERANZE SU CINA

    BORSA SHANGHAI BORSA SHANGHAI

     (Reuters) - Le borse dell'area Asia-Pacifico sono oggi generalmente in rialzo, sulla speranza che i mercati cinesi possono tamponare la recente nuova emorragia senza danneggiare l'economia, mentre regna anche la cautela in attesa delle prossime decisioni della Federal Reserve sul rialzo dei tassi.

    Alle 8,34 ore italiane l'indice Msci dell'area Asia-Pacifico, che non comprende Tokyo (oggi in calo), guadagna lo 0,49%.

     

    HONG KONG e SHANGHAI sono passate in positivo in corso di seduta, dopo che Pechino ha ribadito l'impegno a stabilizzare i mercati. Da metà giugno i titoli hanno perso circa il 30%, dopo aver raddoppiato il valore in sei mesi. Nelle scorse settimane c'è stato un rimbalzo, poi però lunedì gli indici principali hanno perso oltre l'8%, nella perdita giornaliera peggiore dal 2007. Prada cede oltre il 5%.

     

    borsa hong kong 2 borsa hong kong 2

    SYDNEY ha chiuso in netto rialzo, grazie alla ripresa dei mercati cinesi e anche ai segnali di rialzo dei prezzi delle commodity e del petrolio in particolare. TAIWAN ha chiuso in calo, dopo le previsioni negative di Innolux e Au Optronics, rispettivamente terzo e quarto produttore mondiale di schermi piatti. Leggermente negativa SEUL, che aveva aperto la seduta in rialzo, appesantita dai titoli farmaceutici a causa dei deludenti dati sui guadagni di Hanmi Pharma.

     

     

    2.PECHINO PROVA A FRENARE LA “FABBRICA DEL DEBITO”.MA LA BORSA VA ANCORA GIÙ

    Giampaolo Visetti per “la Repubblica

     

    Per la prima volta nella storia, la Cina del piccolo risparmiatore comunista subisce l’ansia occidentale del rampante investitore capitalista. La nuova classe media metropolitana, ingolosita da titoli di Borsa cresciuti del 300% in otto mesi, assieme all’ebbrezza di guadagni senza fatica e senza precedenti, scopre improvvisamente il panico di perdere anche il denaro che non ha mai posseduto. Non solo il mercato rivela di essere più forte dello Stato, ma conferma di essere se possibile anche più spietato.

     

    obama xi jinping obama xi jinping

    Per mesi, grazie alle rassicurazioni della propaganda rossa, oltre 90 milioni di traders hanno puntato sui listini i soldi ottenuti in prestito dalle banche sotto il controllo pubblico: in queste ore, per limitare il crack, sono costretti a vendere, disobbedendo agli ordini delle stesse autorità e moltiplicando l’effetto-fuga proprio su richiesta dei creditori di Stato. Questa “fabbrica del debito” è il cortocircuito del cocktail tra Mao e Keynes, innescato dal mostro del giovane libero mercato agli ordini del vecchio Stato autoritario, per il quale gli interessi privati finiscono dove cominciano gli affari pubblici, che corrispondono alla stabilità della leadership di partito.

     

    angela merkel xi jinping angela merkel xi jinping

    La Cina del miracolo finanziario conferma così in queste ore di essere un colossale casinò politico fuori controllo, messo in piedi dalle autorità decise ad alimentare il «sogno cinese» del presidente Xi Jinping. La libertà è stata barattata con i soldi, i sacrifici per le riforme annunciate, con i benefici di consumi interni sempre più ricchi: se l’illusione finisce e la ricompensa scompare, la minaccia economica promette di trasformarsi in rivolta contro il potere.

     

    L’instabilità è lo spettro che le Borse cinesi esibiscono oggi a un Paese sotto shock e al resto del mondo, atterrito dalla prospettiva di un atterraggio duro della super-potenza che continua a rappresentare il 38% della crescita globale. Dopo il crollo record di lunedì, il secondo in meno di un mese, ieri i mercati del Dragone hanno limitato in extremis le perdite. Shanghai ha ceduto l’1,68%, Shenzhen l’1,41%, ma al termine di un’altra giornata da brivido, aperta con indici scesi sotto il 5%. Tiene invece il resto dell’Asia-Pacifico, a conferma che lo scoppio della bolla ha come epicentro il gigante cinese.

     

    paul reiffer shanghai paul reiffer shanghai

    Il segnale è che in Cina l’estate torrida dei mercati non è finita. Ancora una volta la caduta è stata frenata dall’intervento massiccio e tardivo dello Stato, che si è messo a fare incetta di titoli e a promettere ulteriori finanziamenti a sostegno di banche, imprese e amministrazioni locali, esauste non meno dei listini.

     

    Quando un crollo-bis sembrava inevitabile, Pechino ha fatto scendere in campo anche i pesi massimi. La banca centrale ha assicurato «flessibilità», una «politica monetaria prudente» e «adeguati livelli di liquidità» per scongiurare che s’infiammi anche l’inflazione. La commissione di Stato che sorveglia i mercati azionari ha annunciato l’apertura di un’inchiesta contro nove società quotate, contro decine di agenzie d’intermediazione finanziaria e di aziende che gestiscono il trading online.

     

    BOLLA FINANZIARIA ALLA BORSA DI SHANGHAI BOLLA FINANZIARIA ALLA BORSA DI SHANGHAI

    La commissione nazionale per lo sviluppo e le riforme ha confermato infine altri 8 miliardi di euro per sostenere una crescita del Pil 2015 prossima al 7%, continuando ad acquistare le azioni a debito vendute dagli investitori. La Borsa di Shanghai, rispetto ad un anno fa, continua a guadagnare più del 60%: dal 3 luglio ha bruciato però oltre un quinto del valore e per la Cina il problema adesso è scendere da un toro imbizzarrito senza rompere le ossa a se stessa e agli investitori stranieri.

     

    Casi estremi, come quello di aziende con i conti in rosso che hanno visto crescere il proprio titolo dell’800% in un anno, fino a valere 16 volte più del patrimonio netto, accreditano la speranza di una bolla finanziaria fisiologica e circoscritta, che scuote mercati interni sotto tutela e sotto inchiesta, ma ancora in positivo.

     

    tianducheng nata fuori shanghai tianducheng nata fuori shanghai

    I dati economici ritraggono invece un quadro assai più cupo, con una Cina impegnata a lottare contro la “tempesta perfetta”, paralizzata da una somma di crisi dopo trent’anni di boom leggendario: crollo dell’immobiliare, con il 23% di invenduto, inedita contrazione dei consumi interni e dell’export, indebitamento delle imprese private esploso dal 98% al 155%, “banche ombra” più potenti dei colossi di Stato e febbre finanziaria alimentata da crediti che hanno superato il 70% degli investimenti.

     

    Ai problemi interni si aggiungono quelli esterni, con una comunità internazionale sempre più scettica sui dati economici ufficiali di Pechino e sempre più critica per le mire egemoniche cinesi, dalle infrastrutture per la ricostruita “Via della Seta” alla nuova banca anti Fmi, con sede proprio a Shanghai.

     

     

    3.ORA TUTTO IL MONDO TEME IL CONTAGIO E DENUNCIA I LIMITI DEL CAPITAL-COMUNISMO

    Federico Rampini per “la Repubblica

     

    Zhou Xiaochuan governatore della people s bank of china banca centrale cinese Zhou Xiaochuan governatore della people s bank of china banca centrale cinese

    “Perché non c’è un Mario Draghi in Cina?” È un ex dirigente della banca centrale cinese, Peng Junming, a lanciare questa domanda accorata, quasi un S.O.S. Lo cita con risalto il Wall Street Journal. Il mondo intero teme un contagio dalla Cina. Non è tanto la Borsa di Shanghai a preoccupare l’America e l’Europa: quella piazza finanziaria è ancora piccola, gli stranieri vi investono relativamente poco. È l’economia reale della Repubblica Popolare, un vero colosso, che potrebbe con i suoi sussulti mandare in crisi la ripresa occidentale. Lo sta già facendo, del resto, con i paesi emergenti.

     

    “Perché non c’è un Draghi a Pechino?” Il riferimento potrebbe essere anche a Ben Bernanke o Janet Yellen, i due banchieri centrali americani che alla guida della Fed in sei anni hanno fatto miracoli: stampando moneta per rianimare la crescita. Ma più recente e quindi più fresco nella memoria è l’esempio di Draghi.

     

    Il governatore della Banca centrale cinese Xiaochuan con Draghi e Trichet Il governatore della Banca centrale cinese Xiaochuan con Draghi e Trichet

    Ricorre il terzo anniversario del suo proclama “whatever it takes”, quando da Londra promise che avrebbe fatto “qualsiasi cosa sia necessaria” per salvare l’euro allora minacciato di disintegrazione. Il grido di Peng Junming che oggi risuona nelle capitali di mezzo mondo, indica una carenza nella seconda (o prima) economia mondiale: a Pechino non ci sono istituzioni indipendenti, come le nostre banche centrali, ad arginare il panico e l’emorragìa di capitali. A Pechino c’è un uomo solo al comando, il presidente Xi Jinping, c’è un governo fortissimo, forse troppo, e quindi tentato da una logica dirigista che sta mostrando i suoi limiti.

     

    Wall Street, la City di Londra, le maggiori piazze del capitalismo occidentale, vorrebbero credere che il capital-comunismo cinese del terzo millennio salverà la partita anche stavolta. Ma cominciano a dubitare. La più grave caduta della Borsa di Shanghai dal 2007 catalizza l’attenzione delle grandi banche americane. «Un atterraggio forzato della Cina è il rischio più grave del momento», si legge in un rapporto della Citigroup. «Molti grossi investitori che sono nostri clienti – rincara la Goldman Sachs – pensano che l’incertezza in Cina costringerà la stessa Federal Reserve americana a rinviare il previsto aumento dei tassi».

    BERNANKE YELLEN OBAMA BERNANKE YELLEN OBAMA

     

    La Fed conclude oggi una riunione di due giorni, al termine della quale i mercati si attendono lumi sulla politica monetaria degli Stati Uniti. Non è un segreto: la Cina ha occupato una parte dei colloqui di queste 48 ore, fra Janet Yellen e gli altri dirigenti della Fed. Devono decidere se alzando i tassi d’interesse Usa tra settembre e dicembre (com’è logico dopo 6 anni di ripresa) non rischiano di dare il colpo di grazia alla crescita americana e mondiale.

     

    Il pericolo che viene dalla Cina è solo indirettamente legato alla sua Borsa, che prima ha quasi raddoppiato il suo valore in soli 12 mesi, poi ne ha perso un terzo in poche settimane. La Borsa in sé è poco attendibile come termometro dell’economia reale. C’è però quella cinghia di trasmissione che viene chiamata “effetto-ricchezza”. In Borsa hanno investito i propri risparmi centinaia di milioni di cinesi del ceto medio.

     

    janet yellen janet yellen

    Quando le cose vanno bene e gli indici salgono all’impazzata, l’effetto-ricchezza fa sì che i piccoli risparmiatori si sentono più benestanti e spendono in appartamenti, automobili, viaggi all’estero. Se la Borsa crolla accade l’esatto contrario. Sentendosi impoveriti, i risparmiatori diventano più prudenti nelle spese. Questo rischia di accadere in una nazione di 1,3 miliardi di persone, l’economia più vasta del pianeta assieme a quella americana. È attraverso l’effetto-ricchezza al contrario, una gelata dei consumi, che il mondo intero può subire il contagio del virus cinese. In parte sta già accadendo.

     

    Le prime vittime sono quelle economie emergenti che dalla Cina avevano avuto un poderoso traino per la loro crescita. Lo sviluppo della Repubblica Popolare è già in rallentamento da tempo. Il +7% nel Pil previsto per il 2015, è il dato più debole da un quarto di secolo.

     

    E’ sempre una bella crescita ma s’indebolisce a vista d’occhio. Se si aggiunge a questo il crollo del petrolio (effetto pace con l’Iran), le nazioni che producono materie prime sono nei guai seri. Le valute dei paesi emergenti sono cadute ai minimi da 15 anni. I capitali fuggono dal Sud del pianeta (Russia inclusa). Una curiosa coincidenza di calendario ha voluto che Barack Obama andasse in Africa a proporre nuovi investimenti Usa, proprio mentre il traino della locomotiva cinese si indebolisce.

    putin e i brics xi jinping dilma rousseff narendra modi jacob zuma putin e i brics xi jinping dilma rousseff narendra modi jacob zuma

     

    L’Occidente è un po’ meno vulnerabile, se si escludono Canada e Australia. Ma nell’economia globale nessuno è al riparo da una caduta della domanda altrui. Già il lusso made in Italy percepisce che gli shopping mall di Pechino e Shanghai stanno vendendo meno di una volta.

     

    Pur di evitare il peggio, Wall Street fa il tifo per Xi Jinping. Spera cioè che il robusto intervento del governo cinese eviti una crisi peggiore.

    Ma fin qui il dirigismo di Xi ha avuto il risultato opposto. Con manovre sfacciate come gli acquisti di azioni da parte di enti statali, si è creata l’illusione che il potere politico possa far andare la Borsa soltanto all’insù. Pericolosa illusione. Ritarda lo sgonfiamento di una bolla speculativa, e non affronta gli squilibri reali come un sistema bancario oberato da investimenti improduttivi. Quindi rinvia soltanto la resa dei conti.

     

     

     

     

     

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