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    ZITTI E MUTI – DOPO 37 ANNI TORNA A SALISBURGO L’AIDA CON LA REGIA DELL'ARTISTA IRANIANA SHIRIN NESHAT E UNA MAGISTRALE ANNA NETREBKO DIRETTA DA RICCARDO MUTI - "E’ COME L’HA SCRITTA VERDI, NON HO MAI AMATO LE MODALITÀ DA CIRCO EQUESTRE DELLE PIÙ DIFFUSE RAPPRESENTAZIONI DELL'OPERA - LA NETREBKO? E’ LEI L'AIDA DI OGGI… " - VIDEO


     
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    aida aida

    Leonetta Bentivoglio per La Repubblica

     

    «È Anna Netrebko l' Aida di oggi. Non solo grazie alla voce meravigliosa, ma perché ha colto la dolcezza, il dolore e l' amore del personaggio ». Con lo slancio mediterraneo che sa esprimere quando un' impresa lo soddisfa, Riccardo Muti esalta la performance di Netrebko, soprano russa di calibro superlativo e primadonna della lirica internazionale nell' opinione dei media e del mercato. In effetti Anna è carismatica, come un focus stregante sulla scena, nelle vesti turchine della schiava etiope e nella voce che mette i brividi per solidità tecnica e spessore poetico.

     

    muti muti

    Muti tiene le redini del nesso armonioso fra il podio e il gruppo degli interpreti (oltre a Netrebko sono Francesco Meli, Ekaterina Semenchuk, Luca Salsi, Dmitry Belosselakiy e Roberto Tagliavini) nell' opera di Verdi che ha debuttato ieri sera a Salisburgo presente Angela Merkel - con la regia dell' iraniana Shirin Neshat, artefice di uno spettacolo nitido, moderno, rituale, mediorientale e anticonformista nell' assenza delle magniloquenze kitsch tipiche di Aida.

     

    Scandito da blocchi bianchi e neri di soldati e sacerdoti, l' allestimento è mosso da alte muraglie di materia ruvida e densa come una fetta di natura "alla" Kiefer, rammentandoci i muri che sezionano il pianeta e guidandoci con pulizia e rigore verso un' idea nuova di bellezza. Queste incombenti strutture grigie possono trasformarsi roteando su se stesse e costruendo gusci per incontri e duetti, o mostrando squarci di superfici marine solcate da luci ondose, o accogliendo le proiezioni filmiche di folle di prigionieri che scrutano gli spettatori con gli occhi interrogativi e affranti dei rifugiati coinvolti negli sbarchi in Occidente.

     

    AIDA RADAMES AIDA RADAMES

    Applaudita con frenetico entusiasmo (con qualche buh per la regista) dal pubblico fastosamente apparecchiato del festival (punteggiano foyer e platea della Grosses Festspielhaus le consuete salopette tirolesi in versione di gala), quest' Aida è l' evento più atteso e corteggiato del festival 2017 (sold out per le sette repliche, bagarinaggi stratosferici e liste d' attesa di una lunghezza senza precedenti). Minuscola fatina delle Mille e una Notte con enormi occhi di velluto, Shirin, qui alla sua prima regia operistica, ha fama di visual artist, di esperta cineasta e di guerriera-femminista ovviamente esiliata dal suo paese.

     

    «È una grande donna e abbiamo lavorato insieme con un' intesa totale», riferisce Muti. «Non ho mai amato l' elefantismo e le modalità da circo equestre delle più diffuse rappresentazioni di Aida. Le trovo devianti e non rispettose della volontà di Verdi, perché al di là della scena del Trionfo nel secondo atto quest' opera è intima e colma di "pianissimi" sia per l' orchestra sia per i cantanti sia per il coro. Vi si parla di sentimenti e rapporti personali con un' estrema profondità: Aida rivendica il potere dell' amore, cui sacrifica la vita; e Radames, spinto dall' amore fino alla morte, sembra compiere lungo il viaggio verso il finale un percorso di trasfigurazione ».

     

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    Shirin Neshat toglie ogni trionfalismo persino al mitico passaggio del Trionfo, di solito pompato da barocchismi processionali, drappeggiamenti aurei, luminarie scatenate e fuochi d' artificio ballettistici. In questa lettura teatrale, al contrario, il quadro diventa una celebrazione immota e sacra, praticamente astratta:

     

    «È stata una scelta su cui, con la regista, ci siamo trovati subito d' accordo», segnala Muti. «Come osservò Strehler, tutto il trionfo sta già nella musica. Perciò non c' è bisogno di esibirlo». Al direttore d' orchestra piace sottolineare l' incisività con cui Shirin, che vinse a Venezia il Leone d' argento per il film Donne senza uomini, propone il sofferto accostamento Aida- Amneris, «innamorate dello stesso uomo e diverse per religioni, razze e culture.

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    Con sensibilità e coraggio, lei fa di questo confronto femminile un' implicita riflessione sui problemi delle donne in Medioriente ».

     

    Era dal 2011 che il più acclamato tra i maestri del podio italiani nel mondo non dirigeva più un' opera al festival di Salisburgo, mega-vetrina musicale affollata di memorie, turisti, ritratti di leggende come Karajan ed emblemi mozartiani di ogni genere e pacchianeria. «Qui comunque, anche negli ultimi anni, ho diretto ogni estate programmi sinfonici», specifica Muti.

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    «Da quasi mezzo secolo consecutivo dirigo a Salisburgo i magnifici Wiener Philharmoniker, che mi hanno premiato con tutti gli onori e riconoscimenti possibili». Aida fu il suo debutto all' Opera di Vienna nel '73 e l' anno dopo registrò un disco rimasto storico con Caballé, Domingo, Cossotto, Cappuccilli e Ghiaurov. «Quel cast mi ha viziato», ricorda il maestro. «Perciò, nella mia lunga storia d' interprete verdiano, non ho voluto dirigere troppe Aide».

     

    Ora qui a Salisburgo un cast stellare lo ha ritrovato, e lui lo sostiene col tessuto di una raffinata cura dell' orchestra e con momenti di strumentazione in filigrana, all' opposto dei molti Verdi bandistici. "Celeste Aida", profusa dalla voce di Meli-Radames, è una romanza sublime che sfuma in un pianissimo: «Verdi voleva questo», spiega Muti. «Quell' aria è un pensiero commovente, e non un comizio».

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