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    CARTA CANTA, MA FLYNN NON CANTA NÉ DÀ LE CARTE - IL GENERALE SOTTO INCHIESTA PER IL RUSSIAGATE NON FORNIRÀ I DOCUMENTI ALLA COMMISSIONE D’INCHIESTA, E SI APPELLERÀ AL QUINTO EMENDAMENTO, CHE PROTEGGE DAL RISCHIO DI AUTO-INCRIMINAZIONE. DELLA SERIE: SE VOLETE INCASTRARMI, LE PROVE TROVATEVELE DA SOLI


     
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    Francesco Semprini per la Stampa

     

    Michael Flynn ha detto no. L' ex consigliere per la Sicurezza nazionale di Donald Trump si rifiuta di consegnare i documenti richiesti alla commissione Intelligence del Senato che indaga sul «Russiagate». Il generale, stretto collaboratore del presidente e uomo chiave dello scandalo sulle presunte interferenze di Mosca nelle elezioni Usa, è pronto a invocare il Quinto emendamento della Costituzione a tutela della sua posizione.

    FLYNN TRUMP FLYNN TRUMP

     

    A riferirlo sono fonti a lui vicine che spiegano che la decisione è dettata dalla necessità di difendersi da un' eventuale autoincriminazione nell' ambito dell' indagine sui presunti contatti tra l' entourage di Trump ed emissari del Cremlino.

     

    Nei suoi confronti era stata emessa un' ingiunzione affinché fornisse alla commissione tutto il materiale che poteva risultare utile a chiarire la posizione. E in ultima istanza a far luce sull' entourage dell' inquilino della Casa Bianca il quale aveva voluto Flynn (sostenitore della prima ora di Trump) tra i suoi più stretti collaboratori.

     

    Il passo indietro dell' ex consigliere è arrivato però appena 18 giorni dopo l' insediamento alla Casa Bianca, sulla scia delle rivelazioni secondo cui il generale aveva avuto contatti con i russi, in particolare con l' ambasciatore Sergey Kislyak, durante la campagna e immediatamente dopo la sua nomina. Colloqui di cui Flynn aveva taciuto la natura e il contenuto pur avendone avuto l' obbligo di far menzione.

     

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    Sulla vicenda è in corso un' inchiesta dell' Fbi che vede ora proprio in Flynn il principale indagato, e sulla scia della quale l' ex direttore del Bureau, James Comey, sarebbe stato silurato da Trump. Per la sua «incapacità a gestire il caso», dice il presidente, per il fatto che si sarebbe rifiutato di «chiudere le indagini su richiesta» secondo lo stesso Comey.

     

    Il quale si è detto disponibile a testimoniare sull' inchiesta della Commissione Senato (un' altra fa riferimento alla Camera mentre un procuratore speciale, Robert Mueller, è stato nominato per guidare l' indagine dell' Fbi) nel corso di un' audizione fissata per domani. E dalla quale potrebbero emergere particolari pericolosi per l' inquilino della Casa Bianca. A dirlo è il padre dell' ex numero uno dell' Fbi, J. Brian Comey, che in un' intervista alla Cnn spiega come Trump abbia licenziato il figlio perché «lo spaventava a morte». «James - afferma - non ha garantito al presidente una lealtà al 100%, ma ha garantito di essere onesto al 100%».

     

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    Il generale si era detto in precedenza disposto a cooperare con la stessa commissione ma chiedendo l' immunità per salvaguardarsi da un «procedimento ingiusto», richiesta che non è stata accettata dal Congresso. Ed ora è pronto a far ricorso al Quinto emendamento secondo cui nessuno è tenuto a rispondere di reato grave, se non per denuncia o accusa fatta da un «Grand Jury», un tribunale di alto livello formato da un certo numero di giurati, e non nel caso la testimonianza costituisse una auto-accusa.

     

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    Intanto la commissione Intelligence della Camera ha chiesto la testimonianza di un altro ex collaboratore di Donald Trump: Michael Caputo, ex consigliere per la comunicazione, che ha concordato una deposizione pubblica e avrebbe accettato anche di consegnare qualsiasi documento utile all' indagine. La vicenda potrebbe prendere una piega decisiva quindi, proprio mentre Trump è impegnato nel suo primo importante viaggio all' estero, alla ricerca di quella legittimità sul piano internazionale che in casa fatica a incassare.

     

     

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