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    DA APPLE A GOOGLE, DA AMAZON A FACEBOOK, IL MONDO È IN MANO A UNA NUOVA MAFIA - GLI USA, CHE SONO LA PRINCIPALE VITTIMA DELL’EVASIONE FISCALE DI APPLE E DEGLI ALTRI GIGANTI AMERICANI DELLA NEW ECONOMY CHE PARCHEGGIANO ALL’ESTERO 1.200 MILIARDI DI DOLLARI, PROTESTANO CON VEEMENZA CONTRO LA MULTA DELLA UE DI 13 MILIARDI. IL MOTIVO? SIA LA CAMPAGNA DI OBAMA CHE DI HILLARY E’ FINANZIATA DAI BIG DELLA NEW ECONOMY


     
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    1. FISCO, TASSI E COMMERCIO

    Ugo Bertone per “Libero Quotidiano”

     

    tim cook tim cook

    L’accordo fiscale tra Apple e l’Irlanda venne siglato,nell’assoluta indifferenza delle autorità fiscali europee e americane, nel lontano 1991. Da allora ha avuto un ruolo determinante nel consentire alla Mela di accumulare un tesoretto di 187 miliardi di dollari custodito in vari Paradisi fiscali, al riparo dal fisco Usa e degli altri Paesi ove vende,con largo profitto,i suoi iPhone.

     

    Merito di un’abile lettura delle contraddizioni e dei buchi della legislazione tributaria. Conta il dumping fiscale praticato nei fatti da Dublino, come dall’Olanda, oltre Oceano, dal Delaware e da altri. Ma anche un’architettura raffinata, a prova delle autorità dei singoli Paesi. In estrema sintesi, Apple ha concentrato i diritti sulla proprietà intellettuali in due controllate irlandesi che non pagano in pratica tasse perché considerate “non residenti”. Grazie a questo inghippo la Mela ha in pratica messo al riparo dal fisco più del 90% dei suoi guadagni internazionali negli ultimi dieci anni, pagando in media solo il 4% ai vari Paesi: una mancia piuttosto che una tassa.

    PROTESTE PER LE POCHE TASSE PAGATE DA APPLE PROTESTE PER LE POCHE TASSE PAGATE DA APPLE

     

    Di fronte a questi numeri sembrava scontata una levata di scudi degli Stati. A partire dagli Usa, la principale vittima: Apple e gli altri giganti americani parcheggiano all’estero qualcosa come1.200 miliardi di dollari che ben si guardano dal far rientrare in patria.

     

    E in quella direzione ha mosso qualche passo il G20, promettendo indagini ed accordi sovranazionali. Ma, alla prova del fuoco, l’intesa è andata in frantumi: Washington, che pure ha opposto il veto all’emigrazione fiscale di Pfizer in Gran Bretagna, protesta con veemenza contro l’iniziativa della Ue, che si è mossa nonostante il monito del segretario al Tesoro americano Jack Lew.

    LE TASSE DI APPLE E GOOGLE LE TASSE DI APPLE E GOOGLE

     

    Nel week-end scorso, mentre si trattava sul caso Apple,ci ha pensato il ministro dell’Economia tedesco Sigmar Gabriel ad entrare a gamba tesa dichiarando ormai fallito il negoziato sul trattato commerciale Ttip perché «l’Europa non cederà mai alle pretese americane». Intanto,sul fronte monetario, si allontanano le due rive dell’Atlantico: la Fed si avvia ad aumentare i tassi, l’Europa insisterà nella politica del denaro a tasso zero o quasi. Tre indizi, si sa, fanno una prova. Ovvero, sotto la pressione della crisi economica, evaporano le intese tra i Big dell’Occidente. O nascono nuove combinazioni: Londra, fuori dal rigore dell’Unione Europea, potrebbe essere il partner ideale.

     

    PROTESTE PER LE POCHE TASSE PAGATE DA GOOGLE PROTESTE PER LE POCHE TASSE PAGATE DA GOOGLE

    Tante sono le ipotesi, una la certezza: dietro il conflitto su Apple c’è qualcosa di ben più importante del fisco o dell’economia ma che investe due diverse filosofie messe sotto pressione dalla crisi. Gli Usa, alla vigilia della prova elettorale, non sembrano in grado di metter sotto controllo i Big della new economy. L’Europa non è in grado di praticare una politica comune: oggi fa la faccia cattiva perché  in ballo c’è un piccolo Paese, l’Irlanda, stremato dall’accanimento terapeutico tedesco. Ma è ormai una tigre di carta, inaffidabile perché divisa dai costanti conflitti di interesse.

     

    2. LA MOSSA DI BRUXELLES E LA (PRECIPITOSA) SANATORIA IN ITALIA

    Federico Fubini per il “Corriere della Sera”

     

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    Era il novembre del 2010, quando l' Irlanda gettò la spugna e chiese all' Europa un salvataggio da 67,5 miliardi di euro. In quel momento nessuno avrebbe immaginato ciò che sarebbe successo meno di sei anni dopo: ieri il governo di Dublino ha annunciato un ricorso alla Commissione Ue perché questa impone a una multinazionale di pagargli tasse per 13,5 miliardi.

     

    Le autorità irlandesi, su tutte le furie, non vogliono quei soldi. Neanche se vengono da Apple, un gruppo il cui fatturato l' anno scorso è stato più o meno uguale a quello dell' intera economia celtica. Riportare tutto alle dimensioni dell' Italia dà la misura di quanto sta accadendo. È come se il ministro dell' Economia Pier Carlo Padoan rifiutasse, con sdegno, un versamento arretrato di imposte eluse per 100,8 miliardi. Basterebbero a risolvere le leggi di Stabilità dei prossimi dieci anni. Eppure il Paese interessato affronta un difficile caso presso la Corte di giustizia europea per poter conquistare il diritto a non incassare quei fondi.

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    Preferisce mantenere gli sgravi speciali che portano multinazionali, grandi investimenti, occupazione e talenti anche in futuro, piuttosto che tasse oggi. Poco importa che il debito pubblico irlandese sfiori il 90% del reddito nazionale o che il governo debba ancora rimborsare gran parte di quel salvataggio da 67,5 miliardi, in nome del quale gli altri Stati europei si sono indebitati. Nessun caso poteva mettere a nudo con questo grado di follia i paradossi dei mercati globali. Apple, la più grande azienda al mondo per valore di Borsa, godeva in Irlanda di condizioni speciali disegnate proprio per attrarla.

     

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    Come il gruppo di Cupertino fa anche altrove, e come fanno molte multinazionali ovunque, i suoi ricavi maturati nel resto d' Europa venivano registrati in Irlanda proprio per eludere le tasse. Ieri la Commissione Ue non ha deciso che quegli spostamenti contabili erano illegali (non ne avrebbe il potere); ha deciso che Apple non ha diritto a godere in Irlanda di condizioni migliori di altre imprese basate nello stesso Paese: questo è un aiuto specifico dello Stato celtico a Cupertino e va smantellato, con valore retroattivo. Così tutti i ricavi della prima azienda al mondo (Apple) nella prima economia al mondo (l' Unione Europea) possono finire a una delle economie mature più piccole al mondo (l' Irlanda). Si chiama globalizzazione.

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    La Commissione Ue cerca, con i suoi mezzi, di arginarne le assurdità. Del resto in teoria gli altri governi europei potrebbero reclamare per sé parte di quel bottino fiscale, ora che Apple è una preda bloccata in un angolo. L' Italia però non può: pochi mesi fa ha concluso un accordo che sana l' intero arretrato fiscale di Apple con 318 milioni, appena il 2,3% del totale da ieri dovuto dall' azienda sui suoi fatturati in Europa. Ma non era più saggio aspettare la mossa di Bruxelles?

     

    3. BATOSTA UE DA 13 MILIARDI A APPLE

    Ugo Bertone per “Libero Quotidiano”

     

    Un dossier di 130pagine frutto di tre anni di indagini. Si basa su questo materiale la più clamorosa e pesante multa mai inflitta ad una multinazionale:13miliardi di euro (più interessi) comminati dalla commissaria Ue alla Concorrenza, Margrete Verstagen,alla Apple,ovvero la più ricca e potente società del mondo.

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    L’accusa? La Mela avrebbe goduto di vantaggi fiscali illegali ottenuti in trattative private con i responsabili delle Finanze irlandesi. In particolare, secondo la ricostruzione di Bruxelles, Apple è riuscita a spuntare un’imposizione sui profitti europei dell’1% nel 2003,per poi scendere progressivamente addirittura allo 0,05% alla fine del periodo esaminato.

     

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    Per questo motivo, la società dell’iPad dovrà, secondo la Ue, pagare le tasse arretrate a Dublino (che non ci tiene affatto). Secca ed immediata la replica dell’azienda di Cupertino, affidata ad una lettera aperta del numero uno TimCook.«La richiesta -si legge -non ha alcuna base di diritto o nei fatti. Noi non abbiamo mai chiesto o ricevuto trattamenti di favore. E adesso ci ritroviamo nella singolare situazione di esser chiamati a pagare tasse retroattive ad un Paese che dice che noi non dobbiamo nulla oltre a quello che abbiamo già pagato». Scontato il ricorso di Apple che ha lanciato un monito minaccioso: «La decisione è nefasta - scrive ancora Cook - e avrà un effetto profondo e negativo sugli investimenti e la creazione di posti di lavoro in Europa».

     

    Non meno violenta la reazione del Tesoro Usa: «State diventando un’autorità sovranazionale in tema di tasse e così facendo minacciate gli accordi internazionali sul piano fiscale». Vacilla così alla prima prova la collaborazione tra i governi in materia di fisco predicata più volte al G20e a cui si è richiamata la stessa Verstagen: «Io credo - ha detto - che una tassazione equa sia un obiettivo largamente condiviso da noi e dagli Usa».

     

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    E a proposito del caso Apple ha aggiunto: «Quando vengo a sapere che Apple ha pagato di tasse l’1% dei profitti, per poi arrivare a pagarne lo 0,005%, come cittadino che pago le tasse io mi sento arrabbiata». Comincia così una sfida che promette di essere epica. E a cui l’Europa, al solito, si presenta con non poche contraddizioni.

     

    La “vittima” del presunto sconto fiscale sta dalla parte dell’evasore, non dell’autorità fiscale. Il ministro delle Finanze di Dublino, Michael Noonan ha avuto parole di fuoco contro la Ue di cui pure fa parte:«Sono in profondo disaccordo con la decisione della Commissione. Il nostro sistema di tassazione è fondato sulla stretta applicazione della legge».

     

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    La mossa di Bruxelles colpisce oltre ad Apple, anche il dumping fiscale praticato da Dublino per attrarre le multinazionali: oggi Apple occupa in Irlanda 5.500 lavoratori, circa un quarto dei suoi dipendenti nel Vecchio Continente. Per questo Dublino difenderà fino all’ultimo, il “double Irish”,un sistema in base al quale la società di Cupertino è riuscita a spostare tutti i profitti europei in due controllate - Apple Sales International e Apple Operations Europe - che «non esistono che sulla carta» ma che hanno consentito di «evitare l’imposta praticamente sulla totalità dei profitti generati dalle vendite sul mercato unico della Ue».

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