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    L’ITALIETTA DEL RUGBY - FIGURACCE E CONTI IN ROSSO (A FRONTE DI UN BILANCIO SECONDO SOLO AL TENNIS E AL CALCIO): CHE DIFFERENZA COL MODELLO GIAPPONE - E PENSARE CHE IL CT DEL MIRACOLO NIPPONICO SI ERA OFFERTO DI GUIDARE L’ITALRUGBY


     
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    Massimo Calandri per “la Repubblica”

     

    Eddie Jones, l’uomo del miracolo ovale giapponese, un anno fa lo aveva fatto sapere in giro. «Se volete, l’Italia la alleno io». La squadra azzurra era reduce da un Sei Nazioni umiliante, un altro Cucchiaio di Legno con 2 figuracce in chiusura (39 punti di scarto a Dublino, -41 all’Olimpico con l’Inghilterra). I baffoni di Jacques Brunel penzolavano mogi. L’entusiasmo del ct francese evaporava insieme alla fiducia dei vertici Fir nei suoi confronti.

     

    Ma c’era ancora il tempo di preparare un Mondiale diverso. E lo stregone australiano – 55 anni, una finale mondiale nel 2003 (persa) alla guida dei Canguri – s’era detto disponibile. A una condizione, anzi due. Jones avrebbe portato con sé Steve Bortwick e Marc Dal Maso, specialisti del pacchetto degli avanti. E pretendeva totale sostegno, solidarietà, disciplina dall’intero movimento ovale italiano. Naturalmente non si è fatto nulla, ma mica per una questione di soldi.

     

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    Eddie lo Stregone è rimasto alla guida dei Cherry Blossom. Sabato i suoi non hanno perso una sola mischia con la corazzata sudafricana (gli azzurri 6). «Il Giappone punta ai quarti di finale», giura. Fantascienza, per l’Italietta vista a Twickenham. Pensare che solo un anno fa, il 21 giugno 2014, la sconfitta degli azzurri a Tokio (23-26) era stata considerata uno scivolone. Magari. In realtà la storia era cominciata da tempo, ma pochi se ne erano resi conto.

     

    Negli ultimi 15 anni, dall’ingresso nel Sei Nazioni, il movimento italiano ha dilapidato 500 milioni di euro fino al disastro delle recenti stagioni. Tre vittorie negli ultimi 27 incontri, il 14° posto nel ranking, l’Under 20 che ai mondiali di categoria si salva fortunosamente dalla retrocessione. I conti in rosso per la prima volta, nonostante un bilancio (40 milioni e passa) secondo solo al tennis e al calcio. Il Giappone? 13° nella classifica mondiale.

     

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    Davanti anche con gli Under 20. Ci ha battuto pure nella corsa alla organizzazione della prossima edizione della World Cup. La prospettiva della edizione iridata ha fatto da volano al movimento nipponico, portando soldi e spettatori nel campionato locale: le squadre della Top League fanno capo a grandi multinazionali come Toshiba, Honda, Toyota, Yamaha. Altro che Eccellenza.

     

    Molti dei migliori giocatori delle vicine isole del Pacifico scelgono i club del Sol Levante, il livello cresce e così gli atleti locali. Qualcuno sabato ha storto il naso, sottolineando che nel Giappone c’erano 6 «naturalizzati». L’Italia schierava 2 argentini, un figiano, un australiano e un sudafricano d’origine (più Allan, soffiato sotto il naso alla Scozia).

    A proposito di argentini.

     

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    Un tempo se ne “equiparavano” a decine, per tirare avanti. Ora i potenziali Parisse, Castrogiovanni, Garcia, Aguero non emigrano più: guadagnano abbastanza per restare con la loro, di Nazionale. Che ieri si è battuta alla pari con gli All Blacks, cedendo solo nei minuti finali (26-16) a Wembley.

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