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    IL VERBO DEL MONSIGNORE: “NON SONO ANDATO NEL COVO DELLE BR A CONFESSARE MORO'' – MENNINI IN COMMISSIONE D’INCHIESTA: “SE CI FOSSI STATO MI SAREI OFFERTO IN CAMBIO DI MORO, O AVREI TENTATO DI DESCRIVERE IL LUOGO AGLI INQUIRENTI”


     
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    Andrea Tornielli per “lastampa.it

     

    «Non ho avuto questa possibilità, non ho potuto confessare Moro e dargli la comunione durante i 55 giorni». È quanto ha affermato monsignor Antonio Mennini, oggi nunzio apostolico in Gran Bretagna, che all’epoca del sequestro dello statista era un giovane sacerdote romano che i brigatisti utilizzarono per far arrivare dei messaggi alla famiglia Moro. Il prelato, raccontando dell’ultima telefonata ricevuta dai brigatisti - della quale si è perduta la bobina - ha detto che l’uomo al telefono fece cenno a un altro canale esistente con la famiglia. 

    MONSIGNOR ANTONIO MENNINI MONSIGNOR ANTONIO MENNINI

     

    Mennini, che ha già testimoniato sette volte - davanti ai magistrati che indagavano sul caso, davanti alla Commissione parlamentare nel 1980, davanti alla Corte d’Assise del processo Moro quater - è stato ascoltato questa mattina dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro. «Se fossi stato nel covo - ha detto il prelato - avrei cercato di fare qualcosa di concreto per liberare Moro, avrei cercato di parlare con i brigatisti, chiesto di prender me e rilasciare lui. Oppure avrei cercato di ricordare il percorso fino alla prigione, per dare informazioni per le indagini». 

     

    «Don Antonello», com’era chiamato nel 1978, ribadisce dunque di non essere entrato nell’appartamento di via Montalcini dove lo statista venne tenuto rinchiuso per 55 giorni, dopo la strage della sua scorta avvenuta la mattina del 16 marzo. Mennini ha anche detto di non aver fatto avere oggetti o documenti a Moro, nel «carcere», cioè di non essere mai stato un canale per far arrivare messaggi all’uomo politico sequestrato. Il nunzio ha però voluto ricordare che le circostante e anche i luoghi della confessione sono coperti da un segreto che neppure il Papa può sciogliere. «Sono segreti le circostanze della confessione e anche i luoghi e questa - ha detto - è una legge divina e non positiva su cui qualcuno può intervenire». 

    Monsignor Antonio Mennini Monsignor Antonio Mennini

     

    È stato scritto che Mennini avrebbe deciso di testimoniare nuovamente su input diretto di Papa Francesco. Ma questo non è vero. Autorevoli fonti vaticane hanno confermato che è stata soltanto chiesta un’autorizzazione alla Segreteria di Stato, senza alcun coinvolgimento del Pontefice. Mennini, uno degli quattordici figli di un importante dirigente dello Ior, era stato allievo di Moro all’università e al tempo dei 55 giorni di prigionia del presidente democristiano celebrava messa nella chiesa di Santa Chiara in piazza dei Giochi Delfici. Il suo ruolo emerge da alcune intercettazioni telefoniche.

     

    Fece da tramite per trasmettere alcune lettere scritte dallo statista e indirizzate a varie persone. Si è sempre ipotizzato che durante il sequestro avesse potuto incontrare Moro nel covo delle Brigate Rosse e addirittura confessarlo e impartirgli l’estrema unzione prima dell’uccisione. Di questo si è sempre detto convinto Francesco Cossiga (all’epoca ministro dell’Interno): «Don Antonello Mennini raggiunse Aldo Moro nel covo delle Brigate Rosse e noi non lo scoprimmo. Ci scappò don Mennini». Ma il sacerdote oggi arcivescovo ha sempre negato questa circostanza. 

    MORO MORO

     

    Non è vero che l’audizione di lunedì sia una prima assoluta, come affermato da alcune agenzie di stampa e quotidiani. Don Mennini, che all’epoca dei fatti era un semplice sacerdote della diocesi di Roma venne ascoltato dagli inquirenti - il 2 giugno 1978 e il 12 gennaio 1979 - e comparve davanti alla Commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Moro il 22 ottobre 1980. Fin dalle prime testimonianze rese davanti ai magistrati inquirenti don Antonello aveva ammesso di aver ricevuto durante rapimento comunicazioni telefoniche e scritti su segnalazione del sedicente professor Nicolai, alias il brigatista Valerio Morucci, che aveva prelevato nei luoghi indicati e consegnato alla famiglia Moro. Nei primi anni Novanta venne anche ascoltato come testimone durante il processo Moro Quater, affermando di non aver ricevuto altre lettere rispetto a quelle conosciute. 

     

    Aldo Moro Aldo Moro

    Mennini nella sua deposizione ha confermato che Paolo VI aveva raccolto una somma per il riscatto di dieci miliardi di lire. E ha anche raccontato che nell’ultima delle tre telefonate ricevute dal sedicente «professor Nicolai» gli venne detto: «Riferisca alla signora Moro che quel canale non l’abbiamo rintracciato, quindi chiamiamo lei». Parole che attestano l’esistenza di un altro intermediario tra le BR e la famiglia dello statista, rimasto sconosciuto, attraverso il quale, forse, era possibile anche un canale di ritorno, per far arrivare messaggi ai rapitori e allo stesso presidente democristiano. 

     

    Utile a ricostruire il clima dei quei giorni è il racconto di monsignor Mennini a proposito del «caos» che regnava nella segreteria di Francesco Cossiga al Viminale, dove don Antonello si era recato in compagnia di un religioso salvatoriano che aveva doti di sensitivo e affermava di aver individuato la prigione sull’Aurelia. Mennini ha raccontato che in quelle ore c’era chi si rivolgeva alla segreteria del ministro dell’Interno per avere dei biglietti per l’opera.

     

    Berlusconi e Cossiga con la kippah Berlusconi e Cossiga con la kippah

    «Lo pensai e lo dissi: se le cose stanno così, se Moro si salva, lo salva la Madonna». Il nunzio in Gran Bretagna ha detto di aver sempre riportato le lettere e i messaggi ricevuti alla famiglia e non alla polizia, perché a lui stava a cuore la salvezza di Moro. E ha anche detto che all’interno del Vaticano c’era una forte tensione attorno alla possibilità della trattativa. Una trattativa che Paolo VI voleva, ma che era molto osteggiata nel paese, a partire dal Partito Comunista e dai sindacati, anche se lo stesso Mennini ha ricordato che lo Stato aveva trattato nel caso del sequestro del giudice Sossi quattro anni prima, e avrebbe trattato pochi anni dopo durante il rapimento del politico democristiano Ciro Cirillo. 

     

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