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    TRIPOLI, BEL SUOL D’AMORE E DI GUERRA - NESSUN INTERVENTO MILITARE SOTTO LE BANDIERE DELL’ONU: LA FRENATA ARRIVA DA WASHINGTON, ROMA E PARIGI SI ADEGUANO


     
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    Massimo Gaggi per il “Corriere della Sera”

     

    Nessun intervento militare sotto le bandiere dell’Onu in Libia: per adesso la comunità internazionale cerca di rilanciare l’azione diplomatica dell’inviato delle Nazioni Unite, Bernardino León, che, pure, fin qui non ha raccolto risultati. Il caos libico del quale approfitta l’Isis per perpetrare altre stragi di cristiani e minacciare l’Europa arriva oggi al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, ma l’Egitto, che ieri ha bombardato per il secondo giorno consecutivo le postazioni dei jihadisti in Libia, non otterrà la risoluzione che autorizzi interventi militari in questo Paese dilaniato da una feroce guerra per bande, come chiesto dal presidente Al Sisi.

     

    Bambina foto 21 egiziani coopti Bambina foto 21 egiziani coopti

    Il leader egiziano invoca la costituzione di una nuova coalizione internazionale come quella che nel 2011 segnò la fine del regime di Gheddafi. «Un lavoro rimasto incompiuto», secondo Al Sisi, che ha mandato a New York il suo ministro degli Esteri Sameh Shoukry per convincere i principali attori dell’organismo internazionale a rompere gli indugi. 
     

    Ma Shoukry ha trovato solo solidarietà per la strage di egiziani in Libia e comprensione per i bombardamenti decisi come ritorsione. Niente di più. E in serata una nota ufficiosa diffusa a Roma ma che è frutto del lavoro delle cancellerie di Washington e dei Paesi europei più esposti sul fronte libico (Italia, Francia, Gran Bretagna, Germania e Spagna) ha chiarito che anche gli Stati Uniti, pur sostenendo con vigore l’Egitto, non intendono sentir parlare per ora di un intervento che, per essere efficace, dovrebbe tradursi in una vera e propria occupazione del Paese della durata di anni con una forza militare di molte decine di migliaia di uomini. Due giorni fa anche italiani e francesi erano parsi favorevoli, in modi e con accenti diversi, a preparare una risposta militare all’espansione del minaccioso califfato sulle coste libiche.

     

    Francois Hollande e Matteo Renzi Francois Hollande e Matteo Renzi

    Mentre il Cairo faceva sapere che i bombardamenti egiziani di ritorsione avevano avuto il «via libera» di Washington, i possibili dissensi in Europa sembravano poter riguardare soprattutto la guida della missione per la quale il nostro ministero della Difesa aveva candidato l’Italia. Ma, dopo la brusca frenata di Matteo Renzi che già lunedì aveva detto con forza che per ora si cercano solo soluzioni politiche, ieri anche il presidente francese Hollande ha appoggiato il rilancio dell’iniziativa diplomatica in un colloquio telefonico col premier italiano. 
     

    Spazzate via, così, le voci secondo le quali Parigi stava preparando una risoluzione «bellicista» da sottoporre all’odierno consiglio di Sicurezza.  Ieri Bernardino León ha chiesto «altri giorni» per portare avanti il negoziato. Fin qui l’azione diplomatica si è arenata nel labirinto di un Paese nel quale operano bande di insorti di tutti i tipi e diviso tra la coalizione «illegale» che controlla Tripoli e il governo riconosciuto a livello internazionale costretto a ritirarsi da gran parte del Paese e asserragliato a Tobruk. Il segretario generale del Palazzo di vetro, Ban Ki-moon, ieri ha dato ancora fiducia al suo mediatore e dopo qualche ora anche i Paesi occidentali hanno scelto questa linea. 
     

    OBAMA CON SELFIE STICK OBAMA CON SELFIE STICK

    Ci si è convinti che, al di là della difficoltà diplomatica di ottenere un ampio consenso vincendo le resistenze della Russia e della Cina, lanciare un’offensiva in grande stile dalla durata e dalle conseguenze imprevedibili come reazione a un attacco dell’Isis che potrebbe anche essere una feroce operazione mediatica condotta da bande spietate ma numericamente assai ridotte, non sarebbe una scelta saggia.

     

    Per ora l’Italia considera un successo aver imposto il dossier Libia all’attenzione di un Consiglio di Sicurezza fin qui assorbito dalla crisi ucraina (alla quale è stata dedicata anche la seduta di ieri). 
     

    La nota congiunta di Washington e della capitali europee è tutta focalizzata sulla necessità di una soluzione politica di un conflitto «che favorisce solo un terrorismo che colpisce tutti i libici». La speranza è, insomma, che l’efferatezza dell’Isis spinga al dialogo fazioni che fin qui hanno rifiutato di sedersi attorno allo stesso tavolo. León sostiene di vedere uno spiraglio e l’Occidente gli dà credito:

     

    BERNARDINO LEON BERNARDINO LEON

    «La speranza migliore per i libici», si legge nella nota diffusa dal nostro ministero degli Esteri, «è la formazione di un governo di unità nazionale». Fiducia, quindi, a León che nei prossimi giorni «convocherà nuove riunioni per coagulare consenso» da parte delle fazioni libiche. E apprezzamento per le dichiarazioni di sostegno a questo processo venute durante i negoziati a Misurata. 

     

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