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    LA TERRA A KOS CONTINUA A TREMARE – TURISTI ITALIANI IN FUGA DOPO AVER TRASCORSO LA NOTTE IN SPIAGGIA - GLI ALBERGATORI: “PRIMA C’È STATA LA CRISI ECONOMICA, POI L’ASSEDIO DEI MIGRANTI, ADESSO IL TERREMOTO. QUEST’ISOLA NON TROVERÀ MAI PACE”


     
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    Gabriele Martini per la Stampa

     

    ISOLA DI KOS ISOLA DI KOS

    I turisti più temerari hanno atteso altre 24 ore. Hanno dormito all’addiaccio: sulle sdraio ai bordi delle piscine degli alberghi, in spiaggia tra lettini e ombrelloni o accampati negli uliveti. Ma è stato inutile. La terra a Kos continua a tremare. Le chiamano scosse di assestamento. Anche sabato se ne sono contate decine.

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    Alcune impercettibili, altre sono boati che salgono dalle viscere della terra. Se ti fai sorprendere rischi di restare immobile, paralizzato dalla paura. E invece bisogna uscire all’aperto, e di corsa. Ecco perché per la seconda notte consecutiva le stanze degli hotel dell’isola greca sono rimaste vuote. Meglio una sistemazione di fortuna sotto il cielo stellato.  

     

    E così fin dall’alba è ricominciato l’esodo verso l’aeroporto. «Avremmo dovuto rimanere fino a martedì, ma abbiamo deciso di anticipare il rientro», racconta Desirée. Era a Kos con cinque amiche, tutte milanesi. Le hanno imbarcate su tre voli diversi. Tornano in Italia anche Luisella Leonardi e Rodolfo Santoro, coppia di Rieti. Ricordano esattamente il momento durante il quale la loro vacanza si è trasformata in un incubo: «La scossa non finiva più. Tentavamo di percorrere il corridoio dell’hotel, ma era impossibile restare in piedi. Sembrava che il mondo si stesse rivoltando.

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    Una volta usciti all’esterno siamo stati investiti dall’acqua della piscina sovrastante il patio. Il terremoto aveva aperto una voragine nel terreno lesionando una parete». Bruno Romeo, pisano, scalpita in coda fuori dall’aeroporto. Tiene per mano le due figlie. Domanda alle bambine se vogliono un gelato, loro scuotono la testa: «No papà, lo mangiamo quando torniamo a casa».  

     

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    L’hotel Internation è un parallelepipedo bianco che si specchia nel mare blu del porto. Il proprietario appeso alla cornetta del telefono dispensa rassicurazioni ai turisti intimoriti: «Glielo assicuro signora, la nostra struttura non ha subito alcun danno». È fatica sprecata. «Va bene, mi spiace, cancello la prenotazione». Non va meglio al Bay hotel: «Alcune famiglie hanno preferito andarsene interrompendo la vacanza», spiega sconsolata la ragazza alla reception.

     

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    Un altro albergatore chiede di restare anonimo, poi sbotta: «Prima c’è stata la crisi economica, poi l’assedio dei migranti, adesso il terremoto. Sembra che il destino si accanisca contro di noi per impedirci di lavorare. Quest’isola non troverà mai pace».  

     

    Le barche che scarrozzano i turisti fin sulla costa turca restano ancorate in porto. «Il viaggio costa 20 euro a persona - spiega il bigliettaio della Maria Star -. Si parte al mattino e si torna nel pomeriggio. Ma oggi non salpiamo. A Bodrum il molo è danneggiato». Stefanos Tsarnas ha la carnagione scura, i capelli neri come la pece e un sorriso disarmante. In pochi secondi snocciola una vita intera: la sua.

     

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    «La mia famiglia - racconta - è originaria di Kos, ma vive a Monaco di Baviera. Siamo anche noi migranti... In Germania si stava bene, ormai parlavo un tedesco perfetto. Perché ho deciso di tornare qui? Perché amo perdutamente quest’isola. È vero, qualche turista è andato via. Ma sono sicuro che torneranno. Non basta certo un terremoto per cancellare la magia di questo posto».  

     

    Due morti, due feriti in gravi condizioni e un centinaio lievi. La verità è che poteva andare molto peggio. «È stato un miracolo che ci siano state solamente due vittime», ammette il vicesindaco David Yerasklis. Il premier Alexis Tsipras invita a non drammatizzare, ma il ritorno alla normalità è lontano. Il centro storico di Kos è spettrale, la polvere dei calcinacci copre ogni cosa. Le strade della movida sono chiuse. Qui il tempo si è fermato: sui tavoli all’aperto restano le bottiglie di birra e le caraffe di retsina della notte maledetta. I turisti passeggiano in silenzio e scattano selfie davanti alle macerie.  

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