Giancarlo Dotto (Rabdoman) per Dagospia
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Io, uno come Daniele De Rossi me lo prendo così. Con tutta la sua nevrastenia. Schiaffi, gomiti e occhiatacce maniache incluse. La sua passione e i suoi tilt. Mi prendo anche la barba che non mi piace, che lo fa inutilmente rasputiniano, lui che è un uomo così gentile.
Magari averne di uomini così, lui, De Rossi, come i Buffon, i Nainggolan, i Maldini, i Nesta, i Gigi Riva, intendo gente di quella risma, nella plastica ammorbante del calcio. Ve li lascio volentieri tutti i Lapadula di questo mondo, attorucoli da quattro soldi che si fingono morti per svoltare un’esistenza meschina, non premiata dal talento. Vi lascio soprattutto gli sputazzoni che slacciano sentenze e censure dal comodo pulpito delle loro vite incensurate, perché anche per sbagliare occorre averne una di vita.
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E non cado nella fessacchiotta schizofrenia di Jekyll e Hyde. De Rossi non è uno strano caso. De Rossi è uno solo. Ha sbagliato, certo, di brutto, a Marassi, ma quello che sbaglia è lo stesso che mette la faccia per difendere i compagni dai tifosi beceri (Doni, Dzeko, tanti altri) o chiedere scusa agli avversari insultati nell’intimo (gli svedesi). E’ quello che dà in campo e soprattutto fuori l’anima che ha la fortuna di avere. E’ sempre la stessa persona. Non c’è l’uno senza l’altro.
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Un uomo sempre acceso al limite, la sua forza e la sua fragilità. Se amiamo la prima, dobbiamo accettare la seconda. Non mi farà vincere lo scudetto? Chi se ne frega. Di questi tempi l’appartenenza è mille volte più interessante di qualunque scudetto. Chi se ne frega di tifare Roma o Torino se dentro la maglia non ci sono uomini che credono alla maglia ancor prima che alla moglie. Bene ha fatto Totti, da dirigente, a ricordare chi è De Rossi. E poi, sapete cosa penso? De Rossi restituirà i due punti alla Roma. Non so come, ma li restituirà. Vi siete mai chiesti perché i compagni, tutti, lo amano da sempre? Perché lui è quello che molti di loro vorrebbero essere e non ce la fanno ad essere.
GIANCARLO DOTTO
Una o due cose a proposito di Var. C’è qualcosa d’indecente nell’uso questo strumento. Indecente perché non somiglia alla vita. Che ricorda le spie e i delatori di Stalin. L’Occhio va regolato e limitato. Funziona fino a quando assegna gol e rigori giusti o cancella quelli iniqui.
Ma se va a spulciare nelle mischie del calcio, con la pretesa di denunciare i colpi proibiti, allora diventa un’aberrazione. Perché, o li denunci tutti, e allora finisce il calcio (ci sono almeno cinque o sei rigori e altrettante espulsioni in qualunque partita, vedi lo stesso derby della settimana prima, botte da orbi di qua e di là, ma nessuna così maldestramente plateale come quella di De Rossi e nessuno che si è rotolato a terra coprendosi la faccia che non ha per la vergogna). O limiti la denuncia ai colpi veramente malvagi, quelli che possono far male, stroncare la carriera di un giocatore. Il resto della mischia lo lasci allo sguardo imperfetto dell’arbitro. Perché la vita è mischia, è imperfezione.
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