Maria Pia Fusco per “la Repubblica - Roma”
dino risi
«Il film mi è piaciuto, ma l’ultimo episodio è terribile, non mi fa ridere il povero pugile che finisce sulla sedia a rotelle». «A me ha fatto troppo ridere il vigile appostato dietro l’edicola e fa multe a raffica a chi scende a comprare il giornale». «Un padre che insegna al figlio la disonestà e il non rispetto delle regole è assurdo, ma è troppo fico».
Alcuni dei 250 studenti di istituti superiori di Roma e del Lazio commentano I mostri di Dino Risi, il film del 1963 in cui Vittorio Gassman e Ugo Tognazzi rappresentano, in 20 episodi, i peggiori difetti degli italiani degli anni Sessanta all’insegna della critica più sferzante con punte di ferocia.
I MOSTRI - DINO RISI
Nessuno ha lasciato la sala dell’Adriano malgrado la durata — quasi due ore — e tutti poi seguono l’incontro con il regista Massimiliano Bruno, Luca Vecchi (uno dei due Pills) e i critici Steve Della Casa e Fabio Ferzetti: è il segno che il film ha interessato. La proiezione è uno degli eventi organizzati da “Cinema & Storia”, legato al progetto “100 + 1. Cento film e un paese, l’Italia”, ideato da Ferzetti anni fa per la salvaguardia e la diffusione del patrimonio del passato, che con “Cinema & Società”, dedicato alla produzione più recente, sono attività permanenti, sostenute dalla Regione Lazio e da altre istituzioni, Inquadrato da Ferzetti nel contesto storico — «Un’Italia che usciva dalle miserie del dopoguerra e si affacciava al benessere, e il cinema era il divertimento nazionale» — I mostri, accolto da generale consenso espresso con laconicità dalla generazione YouTube più propensa alla chat che alla comunicazione verbale, suscita curiosità molto interessanti.
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Perché tanta cattiveria? Perché nessuno dei personaggi si salva e c’è tanto pessimismo? «Il pessimismo è culturale, siamo in un paese cattolico, appena nasci e sei già un peccatore», è la scanzonata risposta di Bruno, secondo il quale «quella cattiveria, tipica della grande commedia italiana, dopo che per anni era sfumata nei nostri film, oggi è sdoganata. Anche quando facevamo Boris ci fu parecchio scalpore, ma oggi Checco Zalone è scorretto, ma nessuno si scandalizza».
Perché le attrici al massimo fanno donne di malaffare e i mostri sono solo uomini? Alla domanda Ferzetti ricorda che nella comicità dell’epoca regnava il maschilismo, dalle attrici non ci si aspettava la risata. Altre curiosità riguardano l’assenza della mafia e la ragione del titolo.
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«La mafia allora faceva pensare agli uomini con la coppola, per me torinese era qualcosa di molto lontano», dice Della Casa, che, quanto al titolo, ricorda «l’Italia di allora che da paese agricolo, cattolico, si stava trasformando, si lasciavano le campagne alla ricerca di un benessere più facile, e insieme si cancellavano i valori tradizionali. È una mostruosità in senso morale». Tra chiacchiere e risate di gruppo, gli studenti sciamano dalla sala e ancora parlano del film. «Certo che Gassman baraccato, con la famiglia nella miseria e il figlio malato, che spende gli ultimi soldi per andare allo stadio è proprio balordo», dice un ragazzo e un altro risponde: «Tu non sei romanista, non poicapì. Pè la Roma se po’ ffà».
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