Mario Consani per www.ilgiorno.it
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Il suo Vogliamo tutto è stato il romanzo della generazione del ’68 e dieci anni dopo con Gli invisibili raccontò la stagione dei ribelli del ’77. Nanni Balestrini, scrittore e poeta, intellettuale del Gruppo 63 con Eco, Manganelli, Porta e gli altri, è stato amico del professore padovano Toni Negri e dei leader dell’Autonomia a metà degli anni ’70, per questo venne considerato a pieno titolo uno dei cattivi maestri del movimento giovanile come Negri, Oreste Scalzone, Franco Piperno e gli altri.
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Tanto che il 7 aprile del 1979, giusto 40 anni oggi, quando scattò un’ondata di arresti che partendo dalla procura di Padova raggiunse mezza Italia, Balestrini sarebbe dovuto finire in galera con le stesse accuse che portarono in manette anche Negri, fermato nella sua casa milanese di via Boccaccio. Invece scappò in Francia sugli sci.
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«L’ unica prova criminale nei miei confronti era l’esistenza del mio nome nell’agenda di Negri, di cui ero notoriamente amico. Io comunque non fui arrestato, perché quando mi cercarono a Roma, dove abitavo, mi trovavo a Milano. Da lì raggiunsi la Francia clandestinamente attraverso il Monte Bianco, con gli sci», raccontava tempo fa Balestrini al Giorno.
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Il «Teorema Calogero», dal nome del magistrato padovano che firmò i mandati di cattura, è passato in qualche modo alla storia giudiziaria per aver posto sullo stesso piano Br e l’area dell’Autonomia operaia, per lui complici di un progetto, compreso l’omicidio di Aldo Moro, che avrebbe dovuto sovvertire con le armi il potere dello Stato.
I MEMBRI DI AUTONOMIA OPERAIA ARRESTATI NEL 1979
I processi che si celebrarono in seguito smentirono per buona parte quel teorema, con un gran numero di assoluzioni. Alla base dell’inchiesta principale, portata a Roma, c’erano le dichiarazioni fatte da uno dei primi pentiti dell’eversione di sinistra, Carlo Fioroni, tra gli autori del sequestro dell’imprenditore Carlo Saronio finito con la morte del rapito. Negri e Scalzone in primo luogo, oltre ad essere i teorici dell’autonomia operaia erano certo anche fautori della necessità di «alzare il livello dello scontro» con nuove forme di lotta decisamente più violente.
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In primo grado, a Roma nel giugno dell’84, caduto nel frattempo il “teorema” che allineava Br e Potere operaio, le condanne furono comunque a 30 anni per Negri e a 20 per Scalzone (che era riuscito a fuggire in Francia). Nel frattempo, però, il professore padovano era stato eletto alla Camera grazie ai radicali di Marco Pannella come simbolo contro una carcerazione preventiva che grazie alle leggi speciali poteva durare anche fino a sette anni. In Appello (dopo la sua poco onorevole fuga Oltralpe) Negri vide la sua pena ridotta a 12 anni, scontata in parte successivamente dopo il suo rientro in Italia.
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«Se mi avessero preso sarei rimasto in carcere cinque anni come gli altri del caso 7 aprile», ricordava Balestrini al nostro giornale. «A molti intellettuali attivi nel Movimento venne attribuita la responsabilità diretta di tutti gli atti di violenza compiuti in Italia, assassinio di Aldo Moro compreso. Al processo, nell’84, il pm chiese per me la condanna a 10 anni di carcere. Io fui assolto, ma la repressione era stata durissima. E tutto questo ha distrutto e affossato una o due generazioni»
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Balestrini, che oggi ha 83 anni, aveva partecipato alla protesta giovanile fin dalla fine degli anni ’60, prima con la rivista culturale Quindici, poi entrando in Potere operaio e con l’esperimento di Area, che forniva servizi editoriale a una dozzina di piccole case editrici della sinistra alternativa. Quarant’anni fa prese gli sci e oltrepassò il confine.
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