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    "CAMBIANO I GOVERNI, I PRESIDENTI DELLA REPUBBLICA, MA QUESTO ORRORE DA ANNI NON CAMBIA..." - SETTE RAGAZZI IMBARCATI INSIEME AD ALTRI 280 DISPERATI SULLA SOLITA CARRETTA DEL MARE SONO MORTI DI FREDDO NEL MEDITERRANEO IN ATTESA DEI SOCCORSI - LA GUARDIA COSTIERA E' SALPATA DA LAMPEDUSA QUANDO ERA GIA' BUIO, ED E' RIUSCITA AD AFFIANCARE IL BARCONE SOLO ALLE 3 DEL MATTINO: TRE BENGALESI GIACEVANO GIA' SENZA VITA, GLI ALTRI QUATTRO SONO MORTI POCO DOPO...


     
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    Felice Cavallaro per il “Corriere della Sera”

     

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    Loro continuano a partire. E spesso a morire. Anche di freddo, sferzati dal gelo, nella notte buia di un Mediterraneo che inghiotte la vita di innocenti soffocati da cenci inzuppati, come in una morsa di ghiaccio. È questa la fine di sette ragazzi giunti in Libia e, dopo mesi di prigionia, salpati dalla costa di Abu Kammash verso la speranza di una vita nuova con altri 280 disperati provenienti da Egitto, Sudan, Mali. Il solito carico di braccia umane. Sulla solita carretta del mare che imbarca acqua e alla vista di Malta fa scattare l'SOS raccolto da «Alarm phone» da dove echeggia l'appello: «Non ritardate i soccorsi».

     

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    I primi a cercarli, dicono, sono i tunisini. Ma senza individuarli. Poi un velivolo Frontex avvista una bolla animata, ma è già buio da un pezzo quando le motovedette salpano da Lampedusa dove frattanto il barcone alla deriva sembra avvicinarsi. Stavolta li trovano. Passano ore per affiancare il barcone dove alle 3 e mezzo del mattino, fra i piedi di una folla disperata, giacciono già tre bengalesi senza vita. Uccisi dal freddo.

     

    Come accade anche ad altri quattro naufraghi nonostante finanzieri e uomini della Guardia costiera riescano a tirarli a bordo, affidandoli ai medici del Cisom. Tentano in ogni modo di strapparli alla morte, ma si spengono accanto ai sopravvissuti avvolti nelle coperte termiche, le flebo per idratarli, il te caldo, i biscotti, una parola di conforto. Abbandonato il relitto legnoso, rientrano le motovedette prima dell'alba con un carico di vivi e di morti, com'è successo tante altre volte.

     

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    Con le telecamere che inquadrano i sette sacchi bianchi con i corpi senza vita, adagiati sul molo di Lampedusa accanto ai 280 incolonnati in una processione che ha per posta obbligata l'ambulatorio dell'isola e quel centro di accoglienza incapace di accoglierli tutti, perché 250 brande non bastano per il triplo degli ospiti.

     

    Non mancano le polemiche di Mediterranea Saving Humans, la Ong che lamenta «un ritardo di sei ore», dopo l'appello e l'arrivo nell'area della nave soccorso Aita Mari. Protesta il capomissione Luca Casarini parlando con Adnkronos: «Cambiano i governi, i presidenti della Repubblica, ma questo orrore da anni non cambia... occorre un impegno serio e concreto perché queste morti non si ripetano».

     

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    Mentre la Procura di Agrigento apre, secondo prassi, una inchiesta per «morte o lesioni come conseguenza di altro delitto legato a favoreggiamento di immigrazione clandestina» e mentre si avviano le indagini per identificare scafisti ed organizzatori, tuonano indignati in tanti per il replay della tragedia. Ma, nonostante l'orrore, la notizia stenta a far breccia fra candidature e schede bianche, Covid, Putin ed Ucraina. E al mondo distratto, all'Europa assente si rivolgono sia il sindaco della piccola Lampedusa, Totò Martello, sia Leoluca Orlando, il sindaco di Palermo, il capoluogo che con Potsdam, Parigi, Barcellona, Atene, Marsiglia, fa parte dell'«Alleanza internazionale dei porti sicuri» istituita proprio nel capoluogo siciliano lo scorso giugno in occasione del convegno «From Sea To The City».

     

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    Solo parole vuote per Martello: «governo italiano ed Europa sembrano avere dimenticato l'isola». E Orlando rivolto alla nuova presidente del parlamento europeo, Roberta Metsola: «Urgente istituire il Rescue european civil service, un organismo che si faccia carico del salvataggio delle vite in mare». Tema rilanciato da Sea Watch con la presidente della sezione italiana Claudia Lodesani, che continua a invocare «un porto sicuro» per Geo Barents, la nave lasciata in alto mare con a bordo 439 naufraghi, salvati nei giorni scorsi, senza una risposta nemmeno da Malta e Italia.

     

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    Un atteggiamento indirettamente biasimato da Papa Francesco all'Angelus di domenica quando ha rivolto un pensiero a quei naufraghi. E non sapeva allora che un altro barcone ci avrebbe consegnato sette nuovi martiri.

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