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    A 25 ANNI DALLA MORTE, IL RICORDO DI ENZO FERRARI BY NIKI LAUDA: “VOLEVA PRENDERMI A CALCI, ERA IL PIÙ GRANDE DI TUTTI”


     
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    1. «QUELLA VOLTA CHE ENZO VOLEVA PRENDERMI A CALCI...»
    Dal "Corriere della Sera"

    LAUDALAUDA

    Enzo Ferrari? Un burbero dal cuore d'oro. Un grande, il più grande di tutti. Lo conobbi nel 1973 quando in una gara finii con la mia Brm davanti alla Rossa di Jacky Ickx. Luca di Montezemolo mi avvicinò e mi invitò a Maranello. Il Drake mi propose di correre per lui nella stagione successiva. A me, ovviamente, la prospettiva piacque. Non ebbi però molto modo di trattare sull'ingaggio: 50 milioni di lire, non c'era verso di andare oltre.

    Proposi allora a Ferrari un'integrazione «in natura»: «Mi regali una Ferrari Daytona, io la guido per un po', quindi la rivendo e faccio cassa». Si dichiarò d'accordo e diede ordine di consegnarmi la macchina: il problema fu che io la rovinai di brutto in un incidente.

    Per me Ferrari era il capo e ho sempre avuto grande rispetto. Quando avevo bisogno di lui, bussavo alla sua porta ed entravo. Se si conversava in maniera tranquilla, tutto filava liscio: Ferrari era sì una figura dalla personalità enorme, ma era nel contempo una brava persona. Anche se alla fine il divorzio fu un po' traumatico, non ho mai avuto grandi problemi con lui. Ma aveva una lacuna e gliel'ho anche detto, con i dovuti modi naturalmente: non veniva mai alle corse. Si lasciava informare da un entourage che a volte gli presentava la situazione in maniera edulcorata, per quanto poi lui fosse in grado di valutare il flusso delle informazioni e di prendere le giuste decisioni.

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    Ad ogni modo, oltre ad avere l'appoggio di Luca che mi faceva da tramite, ho sempre preferito dirgli cose al limite dure, ma vere. E gli davo del tu, anzi gli dicevo «Ciao Enzo», tutte le volte che lo incontravo: per i suoi fedelissimi era choccante, essendo il Presidente, il Commendatore e al limite l'Ingegnere. Non che fosse facile avere a che fare con Ferrari, per la verità. A Fiorano, durante un test, il figlio Piero mi faceva da interprete, perché parlava bene l'inglese. Enzo si rivolse a Piero e mi fece chiedere: «Come va la macchina?». Risposi: «È sottosterzante come una m...».

    Piero rimase allibito e mi disse: «Non posso tradurglielo, questo. Una Ferrari non è mai una macchina di m...». Conclusi: «Bene, allora digli che ha un sottosterzo infernale». Anche girata in quel modo, era una critica sgradita: avrebbe voluto prendermi a calci nel sedere. In un'altra circostanza mi convocò per farmi questa domanda: «La macchina è troppo lenta, che cosa puoi fare?».

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    Gli risposi che non ero un ingegnere e che non era compito mio. Però avevo un'idea, per guadagnare da tre decimi a un secondo. Ferrari chiamò Mauro Forghieri, il dt, che non era del tutto convinto, ma il Drake tagliò corto, mi squadrò e ammonì: «È la prima e l'ultima volta che faccio una cosa del genere. Assicurati che funzioni». Nel giro di pochi giorni, migliorammo di otto decimi e da quel momento credo di aver guadagnato il pieno rispetto di Ferrari.

    Certo, sul denaro abbiamo anche litigato, per esempio nel ‘76 . Enzo mi comunicò: «Non ti do una lira di più dell'anno scorso, un pilota dovrebbe essere contento solo per guidarla una Ferrari». Gli replicai: «Voglio l'equivalente di 300 mila dollari». Imprecò, pronunciò parolacce di ogni tipo, poi ci accordammo per 280 mila. Ma la battaglia proseguì sul cambio dello scellino, la moneta austriaca del tempo.

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    Nel mio momento più difficile come uomo, cioè dopo l'incidente e il rogo del Nürburgring, seppi che Ferrari, pur colpito da quanto accadutomi, aveva subito anteposto gli interessi della Scuderia: aveva dato ordine a Daniele Audetto, il ds, di contattare Emerson Fittipaldi per sostituirmi. E quando Fittipaldi spiegò che non poteva venire, ripiegò su Ronnie Peterson, che però alla fine non arrivò a Maranello.

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    Ferrari si era convinto che non sarei mai potuto tornare a correre e dal suo punto di vista lo posso anche comprendere. Mi indispettiva invece che avesse puntato su Reutemann per quanto, bene o male, gli avessi provato di essere ancora un pilota di F1. È questo un capitolo controverso del mio rapporto con Enzo: quando al Gp del Fuji decisi di ritirarmi per l'acquazzone, mentre invece Hunt continuò e vinse il titolo, Ferrari appoggiò la mia scelta. Ma successivamente mi rimproverò la decisione di rientrare già a Monza: a suo avviso avevo esagerato nell'anticipare i tempi.

    Alla fine lo convinsi a tenermi a fianco di Carlos per la stagione 1977: Reutemann iniziò meglio il campionato, però fui io a impormi. Avevo già deciso di lasciare la Ferrari e non corsi gli ultimi due Gp, essendo il titolo ormai al sicuro. Ferrari la prese malissimo. Lo riteneva un tradimento e uno sgarbo: in particolare, non aveva compreso le mie ragioni di mettermi alla prova in un altro team. Lo strappo fu ricucito durante un test a Imola, ma prima il Drake mi aveva inviato una lettera natalizia scritta con inchiostro verde: la pace era tornata.

    Non ci sarà più uno come Enzo Ferrari, la persona più carismatica che abbia mai incontrato in vita mia. Ma grazie a Dio, Luca di Montezemolo e la Ferrari riescono a onorare sempre il suo ricordo e la sua grande, grandissima storia.
    (Testo raccolto da Flavio Vanetti)


    2. FEROCIA E GRAZIA DI UN VISIONARIO
    Giorgio Terruzzi per il "Corriere della Sera"

    Ferrari sede MaranelloFerrari sede Maranello

    «Era nato alla fine dell'Ottocento, in mezzo alla campagna. Cosa poteva fare? Poteva mettersi a zappare. Invece si mise a immaginare. Forme preziose e lontane dalle nostre mani, dalle mani di un contadino». La frase è di Tonino Guerra. Offre una sintesi preziosa di Enzo Ferrari. Contiene il sale di una storia che nessuno dovrebbe trascurare. Il silenzio dell'Emilia rurale, una povertà necessaria all'immaginazione, appunto, il presente come trampolino per guardare avanti.

    La condizione che fece partire Ferrari per un viaggio strabiliante, somiglia a quella di molti ragazzi di oggi. Ricorda moltissimo il volo, anch'esso visionario e magnifico, di Steve Jobs, al decollo, curiosamente, da un garage. Energie e ottimismo come motori dell'intelligenza, di una intraprendenza da azzardo. Enzo Ferrari? Moderno ora come allora. Pronto a scorgere oltre, dell'altro. La potenza simbolica e materiale dell'automobile, da declinare in una dimensione estrema.

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    Sogni, da realizzare per pochi, se possibile ricchi, per poi regalare altri sogni, a tutti, lanciando uomini e macchine in una corsa infinita. Un colore, rosso smalto, un rumore formidabile. Cofani mai visti, fianchi così dolci da far innamorare al primo sguardo. Ferocia nel volere, nel fare, nell'accogliere il prezzo di una sfida magica e tragica.

    È la grazia che cova dentro un'anima sveglia, attraversa il cuore come un pesce di torrente. Questo c'è, nel mito Ferrari. Forza e genio, senza casualità. Le pepite del vivere, ciò che merita di essere scovato, a costo di scavare a mani nude. Ciò che carica di speranza una terra arida, un giorno freddo e buio.

     

     

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