Matteo Cruccu per il “Corriere della Sera”
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Nell'enorme spiazzo ricavato a ridosso dei cantieri navali non si intravede una mascherina neanche a pagarla. Anzi tutti si abbracciano, si baciano, ballano, cozzano uno contro l'altro come se il Covid non fosse mai esistito.
Già, al «Copenhell», un nome un programma, festival dedicato all'heavy metal tra i più importanti d'Europa (140mila presenze in quattro giorni), il Covid è già morto, almeno lì. E a celebrare le sue esequie ci hanno pensato i Metallica - attesi al Firenze Rocks domenica sera- insieme poi ai Kiss e quindi gli Iron Maiden, la crema di un genere che, tra zazzeruti, borchie e presunti de profundis del rock, non muore invece mai.
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Certo, tra i finlandesi, gli svedesi ma anche le argentine (la proporzione uomo-donna si aggira intorno a un 75/25), oltre ai numerosi padroni di casa danesi che affollano i pratoni su su fino alle colline davanti ai tre palchi monstre , non c'è un under quaranta che sia uno. Ma il metal ( e i suoi derivati) è così, da sempre: sorta di rito esclusivo tra cantante e pubblico, segnato dall'esclusione e dalla diversità, per cui non prevede rigenerazioni e non c'è spazio per nessun altro, al di fuori di questo cerchio. E finita appunto l'emergenza della pandemia, ci si ritrova tra quelli di sempre.
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L'ultimo appuntamento dei Metallica con i loro adepti risaliva infatti al 2019 quando a Milano si prodigarono in un epico concerto sotto la pioggia: al rientro, James Hetfield, leader incontrastato dagli esordi del combo, si presenta piuttosto asciutto nel suo nero d'ordinanza. Di recente è sembrato però piuttosto tormentato questo quasi sessantenne, una vita segnata dalla lotta contro il nemico alcol: a Belo Horizonte in Brasile, a un certo punto si è addirittura fermato e si è messo a piangere «A volte penso di essere vecchio, insicuro e di non riuscire a farcela» prima di riprendere il concerto.
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A Copenaghen non declama defaillance evidenti, ma a tratti, sembrerà un po' stanco. Non immediatamente però: quando lo show parte con i suoi dogmi, l'omaggio al compianto Bon Scott degli AC/DC e a Morricone, il cantante parte subito a mille con la vecchia cavalcata Whiplash, brano del primordiale e durissimo Kill'em All , anno 1983. Darà la cifra a tutto il concerto: la parte «morbida» della produzione dei californiani, per intenderci quella successiva al capolavoro del 1991, il Black Album, è relegata a tre brani su sedici.
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Stasera in questo riabbraccio, la scelta è comunitaria, il foltissimo pubblico deve sentire sulla pelle la rabbia e l'orgoglio con cui i Metallica si presentarono al mondo oramai 41 anni fa (come peraltro ricorda, a un certo punto, James). Che, in alcuni passaggi, come detto, sembra un po' affaticato nell'esercizio del suo proverbiale ruggito, vedi su Harvester of Sorrow o in uno dei tre pezzi «moderni», Bleeding Me.
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In quei casi però, interviene subito Kirk Hammett che corre come un matto avanti e indietro sul palco, regalando assoli e virtuosismi con la sua chitarra. Mentre è inappuntabile il lavoro della sezione ritmica, Lars Ulrich (il batterista di casa, essendo nato qui, prima di emigrare negli Stati Uniti) e il bassista Robert Trujillo. Scorrono dunque i brani che han fatto la storia dei Metallica, da Sad But True , fino a Fade to Black (che un incauto azero aveva provato a profanare a Eurovision) e, a mano a mano che incede lo show, Hetfield ritrova la sicurezza perduta.
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Lo aiuta la passerella che quasi lo immerge in mezzo al pubblico. E con la carica iconoclasta e rabbiosa di Seek and Destroy, la simbiosi coi fan è completa: tutti cantano, anzi urlano il loro destino di esclusi insieme a lui, nella notte di Copenaghen. One ribadisce il concetto e la conclusiva Master of Puppets mette il punto: i Metallica sono tornati. Per restare.