Estratto dell'articolo di Antonio Polito per "Sette - il Corriere della Sera"
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«Sì, certo che ci penso. Ci penso sempre più spesso. Ho 93 anni, e sono un tipo realista: vuole che non pensi alla morte? Diciamo che quel pensiero si è fatto per me "esistenzialmente rilevante"».
Il cardinale Camillo Ruini accetta di parlare di uno dei suoi argomenti preferiti. Anche dal punto di vista teologico, visto che gli ha dedicato un libro, intitolato C'è un dopo?. Dove il punto interrogativo è un po' la summa dell'approccio razionale di questo sacerdote, per sedici anni a capo dei vescovi italiani: tanto fermo nella sua fede, quanto aperto al dubbio altrui.
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Gli chiedo che cosa pensa che succeda, esattamente, quando si muore. «Al momento della morte (che oggi, secondo le convenzioni mediche, è fissato nella fine irreversibile dell'attività cerebrale) accade la separazione dell'anima dal corpo». Per la fede cristiana, mi spiega, questo è un fatto reale, concreto. «Cambia tutto per l'essere umano. L'anima infatti non esaurisce l'uomo. L'uomo e la donna sono un insieme di anima e corpo. Senza corpo, l'anima entra dunque in un'altra esistenza».
E che cosa vede, quest'anima, nel momento in cui chiudiamo gli occhi?
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«La verità è che non lo sappiamo. Abbiamo testimonianze di persone, oggetto di studi scientifici, che hanno conosciuto esperienze di morte imminente o di grande vicinanza alla morte per poi sopravvivere, e convergono verso un certo tipo di racconto che ho riassunto nel mio libro: l'ammalato può udire il medico che lo dichiara morto, poi ha la sensazione di entrare in un tunnel lungo e oscuro; quindi improvvisamente si ritrova fuori dal proprio corpo, che ora può vedere dall'esterno e dall'alto, insieme ai medici e infermieri che lavorano su di esso.
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Scopre così di possedere un altro corpo, molto diverso da quello fisico che ha abbandonato, e dotato di facoltà nuove. Gli si fanno incontro altri defunti, in particolare parenti e amici che lo aiutano, e soprattutto gli appare un essere di luce, uno spirito d'amore che gli fa rivivere gli avvenimenti più importanti della sua esistenza. A un tratto si trova vicino a un confine che sembra essere quello tra la vita terrena e l'altra vita. Sente di dover tornare sulla terra perché non è ancora arrivato per lui il momento della morte, tenta di opporsi perché è ormai affascinato dall'altra vita, ma si riunisce in qualche modo al proprio corpo fisico e torna in questo mondo.
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Sono racconti che hanno somiglianze con quelli di grandi mistiche come Caterina da Siena e anche con quello di Er, l'uomo che Platone diceva fosse risuscitato e avesse narrato ciò che la sua anima aveva visto. Ma ogni descrizione non può essere che una fantasia, nel senso che non è sostenibile dal punto di vista della ragione. Non si possono fare reportage sul "dopo". Un celebre filosofo, Ludwig Wittgenstein, ha scritto che la morte non è un evento della vita, la morte non si vive».
Allora le chiedo quale sia la sua personale "fantasia": che cosa si aspetta di vedere quando chiuderà gli occhi?
«Un incontro con Dio. Quando l'anima si separerà dal corpo mi troverò in presenza di Dio, che è insieme giustizia e grazia […] Oddio, un po' di paura ce l'ho. Chiunque ce l'ha. Ma in me prevale un sentimento di fiducia nella misericordia di Dio.
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Insomma, è Lui che ci ha amati per primo, c'è da fidarsi. Più che paura, provo pentimento. […] so di non avere completamente donato me stesso e la mia vita agli altri. Ho condiviso un difetto tipico degli intellettuali, quello di volermi tenere un po' di spazio per me, per le idee, per i libri. Ho finito per occuparmi forse più della comunità che delle persone. Anche se mi rincuora l'affetto di tanti (ex) ragazzi che ho conosciuto da prete e che hanno abbracciato la fede cristiana. Dunque, prego. Ora e nell'ora della nostra morte».
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Torniamo un attimo all'anima: l'abbiamo lasciata sola, privata del corpo, alla presenza di Dio. Per la Chiesa l'anima è immortale: allora che bisogno c'è della resurrezione del corpo?
«[…] Il mondo pagano era insomma caratterizzato da una forte mancanza di speranza. Ma il cristianesimo aggiunge all'immortalità dell'anima la certezza della sua ricongiunzione con il corpo, e dunque la speranza di restaurare così quella profonda integrazione che sola può realizzare pienamente gli esseri umani. La nostra stessa intelligenza ha bisogno di procedere per immagini fisiche anche quando compie la più intellettuale delle astrazioni. Fino alla resurrezione, perciò, l'anima si trova in una condizione innaturale. Come un pinguino all'Equatore».
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Mi scusi eminenza, ma allora pure le anime che vanno in Paradiso non sono pienamente felici senza un corpo?
«Sono enormemente felici, perché vedono Dio; ma anche per loro la resurrezione comporta un progresso, ritrovano la loro pienezza».
Accettare l'idea dell'immortalità dell'anima è facile per un credente; pensare che con la morte finisca tutto è intollerabile anche per molti atei. Ma ammetterà che la resurrezione dei corpi è davvero difficile da credere...
«Io sono anche più pessimista di lei: temo che molti cattolici non credano affatto nell'aldilà. La resurrezione è rimasta più nella liturgia che nella vita reale dei cristiani. […]».
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[…] l'Inferno? Lei crede davvero che ci sia qualcuno laggiù?
«Sì, ci credo, e oggi molto più di un tempo […]».
E che succede all'Inferno?
«In Matteo è scritto "fuoco, pianto e stridor di denti". Un dolore concreto, insomma, non figurato. Gesù dice: "Andate via da me maledetti, nel fuoco eterno...". Un linguaggio così forte che non lascia spazio a dubbi: oggi nessun prete direbbe "maledetti" a chicchessia, l'ultimo che ho sentito esprimersi con tale energia fu Padre Pio. In termini meno crudi potremmo dire che la punizione per chi va all'Inferno è perdere per sempre la visione di Dio, e dunque il senso stesso della vita, che diventa così disperata, senza speranza».
E i poveri bambini non battezzati?
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«Qui c'è stato un grande cambiamento nell'insegnamento della Chiesa. Sant'Agostino metteva nella "massa dannata" anche i bimbi non liberati col battesimo dal peccato originale, pur prevedendo per loro una pena mitissima. Nel Medioevo si è poi diffusa l'idea del limbo, un luogo in cui non si soffre. Anzi, due limbi: uno "puerorum" per i bambini, e uno "patrum" per i patriarchi, i profeti, i giusti dell'Antica Alleanza, vissuti prima della nascita di Cristo e dunque privi della Via per la salvezza. Ma oggi la Commissione teologica internazionale, presieduta dal Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, sostiene che è ragionevole ritenere, per analogia, che, come Dio ama e salva i peccatori, ancor più si possa sperare che anche i bambini, personalmente innocenti, possano salvarsi».
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Tragica, la dottrina del peccato originale: mette l'essere umano sotto una luce odiosa fin dalla nascita...
«È un dogma. Come diceva Pascal è il mistero più incomprensibile di tutti, grazie al quale però noi diventiamo comprensibili a noi stessi. Non le sembra molto aderente alla realtà l'idea che gli uomini abbiano una tendenza al peccato? Empiricamente, mi sembra davvero difficile da negare. La "concupiscenza", intendendo con questo termine una generale inclinazione verso il male che è proprio il segno del peccato originale, è l'altra faccia del libero arbitrio dell'uomo».
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Ma Dio avrebbe potuto impedire l'esistenza del male...
«Avrebbe potuto. Ma non si può dire che avrebbe dovuto, perché anche Dio è libero. Può, non deve. Sta a noi comprendere. […]».
Paolo invita i credenti a non affliggersi "come gli altri che non hanno speranza". La promessa di una vita eterna rende certamente migliore anche la vita terrena, Ma allora come spiegare il declino della fede cattolica in Occidente?
«Sa, la speranza è un bene se qualcuno ci crede... Per la cultura europea, Feuerbach, Freud, Nietzsche, Marx, è invece un'illusione. Per loro l'umanesimo è ciò che l'uomo può realizzare con le sue forze limitate. Eppure noi siamo animati da un desiderio illimitato di infinitezza e di conoscenza. È un desiderio naturale e se un desiderio è naturale non può essere vano. Quello che sta accadendo in Europa è il declino della speranza. Così si torna al paganesimo, a una società meno fiduciosa in sé stessa, e dunque meno capace di grandi imprese. E che ha ripreso a credere negli idoli: quanti ne vediamo di nuovo in giro di questi tempi!».
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Sta pensando all'Italia di oggi?
«Da questo punto di vista l'Italia non è dissimile da molti altri Paesi europei. Colpa anche nostra, della Chiesa intendo. Non possiamo tirarci fuori: abbiamo un po' subito la concorrenza, per così dire. Non abbiamo contrastato abbastanza i nostri avversari sul piano delle idee. […] Abbiamo abbassato la guardia, ci siamo mostrati indifesi. Soprattutto quando nella teologia sono stati introiettati principi che erano incompatibili con la fede cristiana».
Mi fa un esempio?
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«Per favorire il dialogo interreligioso abbiamo accettato l'idea che Cristo possa non essere l'unica via per la salvezza. Quando Giovanni Paolo II nel 2000 affermò l'unicità del Salvatore venne contestato, si scrisse che quelle erano idee di Ratzinger, non sue. Ma fu proprio il Papa a chiedere al cardinale, che sarebbe poi diventato il suo successore con il nome di Benedetto XVI, di scrivere per lui una formulazione chiara e senza equivoci: intendeva pronunciarla all'Angelus per porre fine a ogni dubbio. Dopo averla letta chiese a Ratzinger un'ultima volta: "Questo testo è abbastanza chiaro, metterà fine ai cavilli?". E invece non appena lo pronunciò ripresero a cavillare».
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Camillo Ruini è stato considerato, alla guida della Cei, anche un fine politico. Che giudizio dà della politica italiana di oggi?
«Non può vivere solo della dialettica amico-nemico. Ci sono principi non negoziabili: l'amore del prossimo, la famiglia, la vita... C'è un comandamento chiaro che dice "non ammazzare". Una parte della politica li difende ancora, ma la pressione culturale è enorme». […]
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