ANNA DAGO E GUADAGNINO
Nathan Heller per "The New Yorker"
Dietro a un pannello, silenzioso e in attesa, il regista Luca Guadagnino siede e ascolta il suono del respiro all'inizio del suo nuovo film. Lo studio era buio. Lo schermo risplendeva. Fuori, una pioggia tardiva d'inverno cadeva su Roma, unendosi al picchiettio di una tempesta sullo schermo, come se il confine tra il mondo reale e quello immaginario si indebolisse.
«Ho perso molti respiri» mormora Guadagnino. Poi, aggiunge: «Abbiamo perso un respiro». Sullo schermo, un vecchio e una giovane donna stavano parlando in stato di forte agitazione. Gli editor stavano aggiungendo i rumori in quello scambio umano: passi, fruscii di carta, un piccolo sussulto, un sospiro.
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«Dopo aver chiuso l'ultimo sipario, sta ansimando, ma non lo sento respirare» dice Guadagnino all'editor del film, Walter Fasano.
Nella sceneggiatura, la giovane donna, interpretata da Chloë Grace Moretz, è in visita da uno psicoanalista. È inzuppata da una tempesta. La pioggia ha sempre avuto un significato speciale per Guadagnino, perché ha trascorso i primi cinque anni della sua vita in Etiopia, e lì pioveva tutto il tempo. «I miei sogni sono molto acquatici» spiega. È nato due mesi prima del tempo e collega l'acqua all'utero.
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La scena viene girata di nuovo. Guadagnino si concentra sul taglio del dialogo. Indossava una felpa di lana grigia e pantaloni larghi blu scuro, a trecce come un maglione. È alto poco più di un metro e ottanta, e ha assunto una posizione di una pelle d'orso lanciata su una sedia: è accasciato, penzola. Da qualche anno porta una barba spolverata di grigio, ha capelli castani che si vanno diradando. Il suo modo di essere è limpido e sicuro.
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«Penso che saremo molto amici - dice a volte quando incontra persone per la prima volta - È inevitabile, sono italiano». Guadagnino ha vissuto quasi tutta la sua vita in Italia, ma i suoi lungometraggi sono sempre stati in inglese dal 2009, quando pubblicò "Io sono l'amore", sprigionando una voce sensuale, elegante, fervida. Per alcuni critici è stiloso fino all'eccesso. In "A Bigger Splash" (2016) ha riunito Ralph Fiennes, Dakota Johnson, Matthias Schoenaerts e Tilda Swinton per un inquieto dramma umano in una villa devastata dal vento.
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Il film successivo, "Chiamami col tuo nome”, tratto dal romanzo di André Aciman, è incentrato su una storia d'amore tra un giovane studioso, Oliver (Armie Hammer), e un musicista diciassettenne, Elio (Timothée Chalamet). «Gran parte di quel film parlava dell'essere giovani e costantemente immersi nell'acqua» dice Chalamet.
Guadagnino ricorda di aver pensato che "Chiamami col tuo nome" sarebbe stato un successo quando la sua nipotina quindicenne, che non era mai sembrata lontanamente interessata al suo lavoro, gli aveva scritto per dire che lei e i suoi amici stavano morendo dalla voglia di vederlo.
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Il film ha conquistato sia l'establishment hollywoodiano che una fascia demografica che Guadagnino chiama, con un accenno alla nipote, “kids and girls”: giovani infiammati da una tenera storia di giovani uomini che si innamorano in un'estate piena di balli di mezzanotte, pallavolo e Bach.
Guadagnino non si aspettava che il suo nuovo film avesse lo stesso effetto su “kids and girls”. "Suspiria", un remake del film horror di Dario Argento del 1977, è ambientato in una compagnia di danza, in una Berlino divisa, durante i mesi freddi. Segue le vicende di una timida ragazza mennonita dell'Ohio, Susie (Johnson), che si unisce alla troupe.
Perseguitata dalla scomparsa di un ballerina politicamente insurrezionalista (Moretz) e da vari sentimenti raccapriccianti, Susie cerca di capire i segreti della compagnia proprio mentre si concede alla sua brillante e opaca amante, Madame Blanc (Swinton), e al sinistro potere della sua danza.
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Il film sembra inizialmente un'eccezione nel panorama dell'opera di Guadagnino. Come il personaggio di Elio in "Chiamami col tuo nome", Guadagnino, che ha quarantasette anni, era un adolescente gay magro durante gli anni Ottanta, e molte persone hanno interpretato quel film come un ricordo velato. Infatti, dice Guadagnino, non aveva mai sentito un legame così forte con una storia come in quel film.
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"Suspiria" è diverso. Ha sperato di fare il film per più di trent'anni. Mentre la versione di Argento, ambientata in una scuola di ballo, era vivacemente colorata ed esagerata, Guadagnino costruisce il suo ambiente senza ironia, a strati su uno sfondo fassbinderiano di marroni, blu e grigi. Il film raggiunge il basso, attraverso il brutto passato tedesco, e va verso l'alto, attraverso un regno mentale di rituali e simboli: freudiani, creativi e occulti.
ANNA DAGO E GUADAGNINO
E racconta una storia di formazione sulla padronanza della forza creativa e distruttiva. "Suspiria" è un film horror: la carne viene strappata; le ossa vengono rotte; le teste esplodono. Guadagnino lo definisce anche il film più personale che abbia realizzato.
Il giorno dopo, nella sala di montaggio, Guadagnino era in uno dei suoi ambienti preferiti: circondato da un eclettico gruppo di amici. «Wow!» esclamò quando arrivarono nuovi visitatori, correndo verso di loro per abbracciarli. «Guarda chi c'è qui!» («Ci sono sempre persone che visitano il set - dice Dakota Johnson - È assurdo»).
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Sebbene Guadagnino non sia mai andato a scuola di cinema, c'è qualcosa nel suo laboratorio, nel modo in cui riempie la sua vita con compagni fidati, distribuendo compiti di regia come le faccende domestiche. Lo scrittore di un film può occuparsi di marketing per un altro lavoro.
Di tre attori maschi elencati nei titoli principali di "Suspiria" (il cast è di trentotto donne), uno è un illustre cineasta e un altro è un fotografo di architettura. Il terzo - Lutz Ebersdorf, l'attore che interpreta il vecchio psicoanalista, su cui Guadagnino cercava avidamente le opinioni di tutti i visitatori - non era mai stato visto prima su un set.
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«L'approccio di Luca può essere molto disorientante per i nuovi collaboratori» dice Fasano, che è stato il montatore di tutti i lungometraggi di Guadagnino, ma anche co-regista, assistente alla regia, sceneggiatore e compositore. L'approccio di Guadagnino trasgredisce molte delle solite gerarchie del settore.
«Normalmente, come writer a Hollywood, sei assunto come parte di una costruzione - dice David Kajganich, sceneggiatore di "Suspiria" e di "A Bigger Splash" - Con Luca, partecipavo alle conversazioni di preparazione. Ho partecipato ai colloqui durante i casting. Ho partecipato alle conversazioni sulla location. In realtà scrivere la sceneggiatura è probabilmente un quinto della nostra collaborazione»
Luca Guadagnino chiama Chloe Grace Moretz per il remake di Suspiria
Nella cerchia di persone presenti in quel pomeriggio c’era Carlo Antonelli, ex direttore di Rolling Stone, di Wired e oggi alla guida di GQ, ma anche attore, scrittore e produttore di Guadagnino; Lisa Muskat, che produce film indipendenti; e Sheikh Mubarak Al-Sabah, un giovane aristocratico kuwaitiano che Guadagnino ha incontrato alla settimana della moda. Ferdinando Cito Filomarino, che lui definisce "il mio partner sentimentale", circolava vivacemente nello studio per tutto il giorno.
Si sono conosciuti dieci anni fa, sul set di "I Am Love", per il quale Cito Filomarino era assistente alla regia. Cito Filomarino, un trentunenne dai capelli color sabbia, ha pubblicato il suo primo lungometraggio nel 2015 e si prepara per debuttare in lingua inglese.
Guadagnino e Dakota Johnson 9-34-01-am
Guadagnino non ha mai frequentato nessuno che non sia un regista. Dice che considera il terreno comune come una base per un partenariato creativo, non come una minaccia. Lui e Cito Filomarino concordano generalmente nei giudizi sui film, tranne quelli che vedono sugli aerei: l'aria della cabina rende Guadagnino sentimentale e insolitamente incline al pianto. «Io davvero non capisco la concorrenza» dice Guadagnino. Lo humor nero non attecchisce o comunque lui lo nasconde molto bene.
Guadagnino e Chatelet
«Lo vedi frustrato o turbato per alcune cose, ma non è mai qualcosa che dura nel tempo» dice Armie Hammer, la cui moglie ha iniziato a chiamare lo spirito di Guadagnino sul set “vacation mode.” Per Hammer, questo è diventato il suo insegnamento: «Tra una scena e l'altra, Luca mette la sedia al sole, si sbottona un paio di bottoni della camicia, appoggia la testa all'indietro e si gode il posto in cui si trova.
Avere quell'esempio, giorno dopo giorno, ci ha aiutato a sentire lo spirito degli anni Ottanta». E le lezioni superano l'ora del Martini. «Normalmente, tutti è come se dicessero: “Va bene, fanculo, voglio poche ore per me stesso”. Luca è come se dicesse “Vieni a casa mia. Andiamo a cena, parliamo di quello che abbiamo fatto oggi e poi guardiamo un film e discutiamo di cosa fare domani”. Hammer descrive l'approccio come "olistico": «Non sei solo lì per le riprese. Sei lì per vivere nell'universo di Luca».
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"Suspiria", tuttavia, ha messo alla prova il flusso disinvolto di Guadagnino. Il film è stato girato principalmente in inverno, in un hotel abbandonato su una montagna a Varese. Poiché non c'era riscaldamento, e poiché il cast era formato da dozzine di donne che indossavano abiti da ballo, era necessario accendere riscaldamenti a gasolio tra una ripresa e l'altra.
ANNA DAGO E GUADAGNINO
«L'edificio era come il suo film horror» ricorda un visitatore del set. «I bagni sembravano essere stati usati per una sorta di rituale satanico». Il caos e la mancanza di comfort non si adattano bene a Guadagnino, che, mentre incontrava un dirigente di Amazon Studios, che co-produce il film, nel suo albergo di Roma, aveva ordinato una bottiglia d'acqua e una teiera per poi rimandarli indietro: l'acqua era leggermente più fresca della temperatura ambiente ("Molto male per le budella").
Tale precisione impone alcuni vincoli. Guadagnino non si considera un regista italiano e non ha mai realizzato un film nel sistema di produzione italiano. «Non capisco l'immaginario del cinema italiano - dice - Non capisco cosa stanno facendo e come posso inserirmi».
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La cosa più americana dei suoi film, oggi, potrebbero essere le maschere: un realismo basato su veli di desiderio e contraddizione che oscurano il significato della natura umana. Per settimane ha voluto tagliare in "Chiamami col tuo nome” una scena in cui Elio si masturba con una pesca: la metafora gli pareva troppo sublimata. Dubitava anche che l'atto fosse fisicamente possibile; alla fine, sia lui che Chalamet si convinsero che lo fosse.
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«Quando sento le parole "estetica" e "stile", mi sento incredibilmente a disagio: non cerco una bella immagine, una foto su Instagram - afferma Guadagnino - Stai puntando la cinepresa verso una fenomenologia della realtà. E i film hanno la capacità di farti interrogare su ciò che vedi».
Quando Guadagnino inizia un film, lavora per costruire gli strati di un mondo con un'intensa specificità per aiutare i personaggi a trovare i loro piaceri e le loro difese. In questo modo, il vecchio diventa nuovo. "Suspiria" è il secondo remake integrale di Guadagnino; il suo primo, "A Bigger Splash", interpretava "La Piscine" di Jacques Deray (1970), un film che non gli piaceva.. "Quando pensi a qualcosa che viene rifatto, lo rendi automaticamente contemporaneo» afferma Dakota Johnson. Guadagnino fa qualcos'altro.
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La sua versione di "Suspiria" è ambientata nel 1977, l'anno in cui è uscito l'originale. Ha iniziato a ‘reclutare’ attori in modo abbastanza informale, mentre lavorava a "A Bigger Splash." ("Mi ha tirato da parte e ha sussurrato, 'Soospeeriahhh! - Ricorda Johnson - Ho detto, ‘Cosa?’). Non fa audizioni con gli attori; si siede solo con loro e parla.
Da allora, lui e Tilda Swinton hanno pianificato il film per più di un decennio. Il suo personaggio, Madame Blanc, è una delle donne più anziane che svolgono un misterioso ruolo di leadership nella Markos Dance Company. Temi totemici: potere, dolore fisico e senso di colpa. Le giovani ballerine cercano di scrollarsi di dosso il potere delle anziane e soffrono per questo. "Sie sind Hexen! " - " Sono streghe! "- mormora il personaggio di Moretz prima di scomparire. Guadagnino descrive il suo remake come «un film sulla maternità».
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Nel 2010 Guadagnino acquistò un appartamento al secondo piano di un palazzo abbandonato del diciottesimo secolo a Crema, a un'ora a est di Milano, e ne gestì personalmente la ristrutturazione. Oggi mobili e tappeti della metà del secolo ricoprono i pavimenti in pietra; persiane verdi inquadrano pareti melanzana; scaffali pieni di libri, Cd e Dvd; un grande schermo per la proiezione di film. Ha usato quello spazio per girare "Chiamami col tuo nome", una decisione che ora rimpiange.
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«Non devo più commettere l'errore di girare un film in un posto in cui vivo», dice. La città ha perso la sua aura "vergine" e mistica per lui e, sempre di più, si ritrova ‘pellegrini’ nel palazzo: «Gli estranei si avvicinano a me e dicono: 'Io amo la tua casa!’».
Un anno fa Guadagnino ha fatto trasferire i suoi genitori da Roma in un appartamento a pochi isolati di distanza, con qualche riluttanza da parte loro. La madre di Guadagnino è algerina, ma è cresciuta a Casablanca. Aveva diciannove anni quando incontrò suo padre, un insegnante italiano inviato in Marocco per volere del ministero degli Esteri italiano.
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Andarono in Scozia, dove potevano sposarsi senza il consenso dei genitori. «Mia madre, in un certo senso, ha fatto un atto di trasgressione molto coraggioso e audace» dice Guadagnino. Alcuni anni dopo, suo padre ricevette una cattedra per insegnare in Etiopia, quindi si trasferirono.
Guadagnino ha ricordi onirici dell'Africa. La casa dei suoi genitori aveva alberi da frutta e un orto. Ha imparato a cucinare raccogliendo prodotti e guardando come si trasformavano in cibo. Quando aveva quattro anni, vide "Lawrence d'Arabia" in braccio a sua madre. «Penso che qualcosa deve avergli fatto scattare una molla dentro - ha raccontato la madre - Mio marito e io non sapevamo nulla del cinema».
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A nove anni vide "Psycho", e fu sorpreso dall'uomo che interpretava la madre. Fu allora che Guadagnino iniziò a dire agli adulti che voleva diventare regista. Suo padre pensava che avrebbe dovuto fare l’insegnante, ma sua madre gli procurò una fotocamera Super 8. «Questo è stato il modo in cui sono stato introdotto al cinema: solitario, combattivo, ignaro del mezzo - il contrario di quei bei corti di Spielberg quando era giovane» dice Guadagnino.
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Nel 1977 la famiglia Guadagnino si trasferì a Palermo, in Sicilia, per sfuggire alla guerra civile etiope. «Non ero abituato ad avere tutti questi edifici intorno a me» dice Guadagnino. Ancora oggi si sente irrequieto in luoghi stretti, e la sua stagione preferita è l'inverno. (Molti dei suoi film sono ambientati nella neve.) A scuola uno studente lo chiamava "il negro", a causa della sua carnagione algerina: è stato il primo momento in cui ha sperimentato la sensazione di sentirsi socialmente legato a un'identità. E così si chiuse. «Luca leggeva sempre un libro» dice sua madre.
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Nell'adolescenza ha iniziato ad avvicinarsi sistematicamente ai film, guardando tutto ciò che poteva, leggendo biografie di importanti registi e studiando la storia del cinema. Programmava registrazioni su VHS in tv, ma raramente aveva il giusto tempismo, così tanti film della sua collezione non avevano una fine e di altri non esisteva l’inizio.
Oggi Guadagnino pensa con affetto a quegli anni. Quando aveva trentotto anni, andò da un famoso psicologo junghiano a Roma, la sua prima esperienza nel mondo della terapia. «Mi ha detto: “Allora, descrivi te stesso. Qual è il tuo rapporto con i tuoi genitori?”.
Io ho risposto “Oh, è grandioso”». Guadagnino parlò e parlò, e quando si alzò per andarsene il terapeuta gli disse di non tornare. «Mi disse: “Torna da me o da chiunque altro, ma tra qualche tempo, perché non sei ancora abbastanza sincero». Guadagnino non è mai più stato in terapia da allora, ma ha girato quattro film di successo.
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Quando Guadagnino aveva dieci anni, stava camminando in una piccola città sulla costa adriatica che si era svuotata per le vacanze estive. Il cinema locale era chiuso, ma alcuni poster attirarono la sua attenzione. «C'era una ballerina con la testa mozzata e il sangue che andava dal collo alla vagina - ricorda - C'era la scritta, molto inquietante: 'Suspiria’».
Quattro anni dopo, vide "Suspiria" in tv, da solo nella sua stanza, con la porta chiusa. «Ero terrorizzato ma ipnotizzato» ha raccontato. Il film divenne il ricordo dell'autonomia adolescenziale: la sensazione elettrizzante di allontanarsi, scavare e diventare se stesso. Per lui diventò un punto di riferimento di quell'età.
LUCA GUADAGNINO E ANDRE ACIMAN
Al liceo, Guadagnino ha imparato ad essere "solo tra la gente". Il sesso entrò improvvisamente nella sua vita, nel luglio 1984, quando l'attore Michele Placido apparve con indosso un costume di Superman sulla copertina della rivista ‘TV Sorrisi e Canzoni’. «Non riuscivo a staccare gli occhi dallo scroto» ricorda Guadagnino.
Mentre la sua mente cominciava a scrutare le nuove esigenze del suo corpo, si sintonizzò sulla fisicità dei ragazzi, sui modi in cui si muovevano - specialmente sullo schermo, dove guardare era accettabile. A quattordici anni ha visto il film di fantascienza di John Carpenter "Starman", con Jeff Bridges che interpretava un alieno spesso a torso nudo, un'immagine che lo agitava.
LUCA GUADAGNINO E DAKOTA JOHNSON
Guadagnino pensa spesso ad alcune righe di "The Turning Point", l'autobiografia di Klaus Mann: «C'è solo una faccia che ami, ed è sempre la stessa». Per Guadagnino, la faccia di Jeff Bridges in "Starman" era quella faccia. Nella prima metà della carriera, Guadagnino includeva sempre dei ringraziamenti a Bridges, che non ha mai incontrato, nei titoli di coda di ogni film che ha realizzato.
LUCA GUADAGNINO
Guadagnino arrivò sul continente italiano a ventuno anni, dopo aver frequentato lettere all'Università di Palermo. L'Università Sapienza di Roma non aveva esami di latino obbligatori (che cercava di schivare sapientemente) e proponeva corsi di cinema: si trasferì, spostandosi spesso da un appartamento in condivisione a un altro.
I suoi genitori lo hanno aiutato a mantenersi, non senza difficoltà. («Luca amava le feste, amava mangiare, amava parlare al telefono - dice sua madre - Abbiamo fatto sacrifici»). Nonostante non parlasse quasi una parola di inglese, si iscrisse anche a un corso di letteratura americana - Crane, Faulkner, Melville, Steinbeck. Si trovò attratto dall'approccio americano alla narrazione per ragioni che non riusciva a spiegare.
TILDA SWINTON E LUCA GUADAGNINO
Ha scritto la sua tesi sui film di Jonathan Demme, il cui lavoro aveva incontrato per la prima volta a sedici anni, con "Something Wild". Nel 1991, "The Silence of the Lambs" è stato distribuito in Italia come un oscuro film di genere, ed è andato a vederlo da solo in un teatro. «Ero confuso dal fatto che questo regista, che aveva realizzato due film essenzialmente "leggeri", si muovesse verso un genere di film horror» dice Guadagnino.
LUCA GUADAGNINO
Ma il film lo ha sbalordito. Nella sua tesi Guadagnino descriveva Demme come un silenzioso sovversivo, portando sullo schermo i valori controculturali e le critiche politiche sotto il fulgore della fantasia hollywoodiana. La lezione, per Guadagnino, era che il cinema all'avanguardia potesse vivere nei cineplex tanto facilmente quanto nelle case d'arte.
Una sera, mentre i lavori su "Suspiria" stavano per finire, Guadagnino lasciò la sala di montaggio e andò a cena in un appartamento di amici su tre piani, affacciato sul Tevere. «Questo è un grande edificio in stile fascista» disse, aprendo una pesante porta d'ingresso e attraversando una hall di marmo. All'interno dell'appartamento ci si arrampicava su una scala fiancheggiata da modelli di plastica di anatomia medica.
LUCA GUADAGNINO
Guadagnino, alla luce dei successi fuori dell'Italia, è diventato noto nelle fasce alte della società italiana. I padroni di casa erano Anna Federici e suo marito, Roberto D'Agostino, che viene chiamato Dago. Federici è erede di una famiglia di costruttori italiani. Dago ha fondato il sito italiano di notizie Dagospia, un blog arguto e idiosincratico di politica, gossip e soft porn che "Politico" ha recentemente descritto come un "must per l'élite italiana".
LUCA GUADAGNINO E GIORGIO ARMANI
Al piano superiore, Dago ha accolto Guadagnino indossando occhiali da sole color blu, gioielli in argento e tatuaggi che lo ricoprono dalle dita alle orecchie; sul mento sfoggiava un lungo pizzetto. Federici portava degli occhiali eccentrici e il suo viso era incorniciato da due ciocche bianche e da un bob.
Guadagnino ha accettato un bicchiere di rosé e ha girovagato per casa. Il balcone era illuminato da palme al neon, c’erano statue di Cristo, di Silvio Berlusconi e di Mao. Si è lasciato cadere su un sedile rosa. Un secchio di champagne era pieno di dildo. "Yaaah, yaaaaaah." Nell'aria si sentiva la canzone "Lolita" di Nelson Riddle, tratta dal film di Kubrick. "Wo-ow, wo-ow, yaaah, yaaaaaah."
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Dago si è avvicinato, indossando ancora gli occhiali da sole e aspirando un sigaro spento. Voleva mostrare a Guadagnino "New Religion", un’opera di Damien Hirst. («Dago è un cattolico» mi ha spiegato Guadagnino). Si è scusato, en passant, per la pudicizia dell'arredamento.
Al piano inferiore, che ha trasformato negli uffici per lo staff di Dagospia, ha potuto dare libero sfogo ai suoi gusti eclettici: il Sacro Cuore; una serie di sedie in pelle nera e rossa a forma di pene; e, su un tavolino da caffè, una serie di delicati oggetti di porcellana con fotografie in primo piano di fellatio e di una transessuale penetrata da dietro.
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La cena è stata servita. Gli ospiti si sono presentati al piano inferiore, nella sala da pranzo, passando davanti a una foto frontale nuda di un uomo snello con un membro pendulo. «Il cazzo di Baryshnikov. Scusami, il cazzo di Nureyev! - ha detto Guadagnino - Dago ne è molto orgoglioso».
Il tavolo era decorato con una falce e un martello di ottone. Dago ha chiuso la porta della sala da pranzo, sulla quale c’era una foto a grandezza naturale di una donna bionda nuda in tacchi a spillo dorati. Un'enorme tela di Anselm Kiefer era appesa di fronte a Guadagnino.
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La conversazione si è imperniata sul cinema e su "Phantom Thread" di Paul Thomas Anderson. Era l'era di Chanel e Dior, qualcuno lamentava, eppure la moda era secondaria rispetto al film. Guadagnino ha protestato. «È un film sull'essenza dell'amore - ha detto - Lei lo avvelena e lui la lascia avvelenare!».
La conversazione è proseguita, si parlava di opera, ma poi qualcuno ha iniziato ad attaccare Bernardo Bertolucci, e Guadagnino si è alzato di nuovo a sua difesa, con il viso arrossato e imbarazzato. «Bertolucci ha realizzato importanti lavori in studi americani senza abbandonare la sua estetica straordinaria!» ha tuonato. (Nel 2013 lui e Fasano hanno realizzato "Bertolucci su Bertolucci", un documentario in suo omaggio.)
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Mentre i domestici hanno iniziato a sgomberare la tavola per il dessert, Dago ha dato a Guadagnino un regalo in onore dei suoi recenti successi: una bottiglia di liquore a forma di pene e testicoli. Guadagnino si è alzato per fare un piccolo discorso per ringraziarlo.
Più tardi, mi ha detto che quello che lo aveva colpito di più della serata era stato il cibo. Primo piatto: penne, al dente, con salsa di cipolle e pomodori cotti a fuoco lento e una spolverata di pangrattato. Secondo piatto: maiale arrosto con verdure a foglia verde e salsa di mele. Era uno dei piatti semplici e tradizionali in Italia, perfettamente realizzato. I suoi occhi si erano soffermati su di esso, sotto la luce scintillante del neon, l'armamentario sessuale e le opere d'arte da svariati milioni di dollari, come il dettaglio rivelatore della serata.
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Guadagnino ha trascorso la maggior parte dei suoi primi anni da ventenne in un modo che lui definisce "da vagabondo". «Ero uno di quei ragazzi e ragazze che volevano far parte di un mondo in cui i mezzi di produzione erano costosi, l'accesso era difficile e fare un ‘movie’ significava fare un 'film’» dice. Dopo anni di lavori come commesso, come cuoco e come critico cinematografico, ottenne un finanziamento per un 16 mm., "Qui", che ha realizzato a venticinque anni con Fasano.
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Il film è incentrato su un uomo e una donna che fanno sesso, e creò un piccolo scandalo quando fu presentato al Taormina Film Festival. «Era molto erotico, in realtà, pornografico - osserva Guadagnino - Volevo dimostrare di non essere un direttore timido»
Quando era un 20enne, l'attrice Laura Betti lo assunse per cucinare a casa sua per dei luminari. «Laura Betti era tosta, tosta, tosta - ricorda - Non sarebbe sopravvissuta in questi giorni di ‘political correctness’. Era solita chiamarmi 'puttana', al femminile. In estate Betti affittava sontuose ville. Un giorno arrivò in piscina dopo il suo sonnellino pomeridiano e ci disse: “Ragazzi, ascoltatemi! Stavo sognando che la mia figa, ‘Bernarda' - il femminile di Bernardo Bertolucci, che le era molto vicino - stava parlando con me, e mi diceva cosa cucinare per cena stasera!».
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Guadagnino era timido e socievole, e per lui le feste erano un'esperienza. «Non molte persone mi parlavano, e questo mi ha dato un grande privilegio: potevo stare in fondo alla stanza ad ascoltare, capire, vedere le contraddizioni». Fu allora che apprese che le persone non erano identità fisse, ma accumuli di paradosso e incoerenza e che quegli strati li rendevano interessanti, persino degni di amore.
Le fotografie di quell'epoca dipingono Guadagnino come un giovane bello e snello con una zazzera di ricci scuri e uno sguardo sicuro. Una notte, nel 1994, vide che Tilda Swinton, con la quale voleva lavorare, era in città per la celebrazione del lavoro di Derek Jarman al Palazzo delle Esposizioni, e si avvicinò a lei tra la folla per dire che voleva offrirle un ruolo in un cortometraggio.
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«Sono stata colpita in maniera potente e istantanea dal suo genio» dice Swinton, che lo invitò al suo hotel il giorno dopo per parlare. «Il fatto è che ci siamo semplicemente piaciuti dal primo momento» ricorda. Nel 1998 si trasferì a Londra per un anno per realizzare il loro primo lungometraggio, "The Protagonists". La trama, su cineasti che giravano un documentario su un omicidio, era postmoderna. Guadagnino tornò a Roma e non girò lungometraggi per sei anni.
Nel 2003 un produttore gli offrì l'adattamento di "One Hundred Strokes of the Brush Before Bed", dell’adolescente Melissa Panarello. Il libro era un diario romanzato della maturità sessuale di Panarello, con orge e altro ancora.
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Guadagnino lesse poco meno della metà del testo prima di decidere che non gli piaceva, ma accettò di fare l'adattamento. Aveva intenzione di attingere elementi dal lavoro di psicoanalista di Françoise Dolto sull'adolescenza. Ottenne anche finanziamenti da Sony Pictures, che era rimasta colpita dal suo fascino.
Ma l'esperienza fu infelice. Guadagnino vedeva la sua eroina come una giovane donna sicura di sé, eroticamente decisa, mentre i produttori cercavano un finale moralista in cui lei riconoscesse l'errore gli errori commessi. «Una ragazza che trova la redenzione» dice il regista. Guadagnino finì "Melissa P." sentendosi frustrato, imbarazzato e abusato. Giurò che il suo prossimo film, nel bene e nel male, sarebbe stato ‘suo’.
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Lo scorso inverno, durante lo scalo a Manhattan per i ‘Critics Circle Awards’ di New York, Guadagnino ha preso un tè verde nel bar della hall del Mark Hotel e ha avuto una conference call con due dirigenti di StudioCanal. Guadagnino aveva programmato di trascorrere l'estate in Sri Lanka girando "Rio", interpretato da Benedict Cumberbatch e Jake Gyllenhaal. Ma la produzione era stata anticipata a maggio e si sentiva turbato.
«Non vedo il modo di realizzare il film con otto settimane di preparazione: è impossibile - disse al telefono - Richiede tempo». Rio era un thriller. Il suo tono era amichevole, ma deciso. Stava cercando di persuadere i dirigenti a lasciarlo partire subito, prima della chiusura del budget. «Non siete pronti a procedere nel modo in cui dovremmo procedere» disse prima di chiudere la chiamata.
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Nel giro di pochi minuti il progetto aveva iniziato a crollare. ("Rio" adesso verrà diretto da Edward Berger). Guadagnino guardò malinconicamente fuori dalla finestra per qualche secondo. «Un terribile spreco, perché gli attori sono fantastici» ha detto. Poi scrollò le spalle. In gioventù si era sforzato di rispondere alla richiesta di essere un ‘bravo ragazzo’, ma ora considerava questa una follia. Con l'esperienza, aveva imparato ciò che serve per fare il lavoro al meglio e aveva imparato a chiederlo.
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Come non pochi registi, Guadagnino detesta girare film. Il brivido del concepimento? Questo è il paradiso. Trascorrere ore con attori o in una sala di montaggio? Beatitudine. Ma nel mezzo c'è l'incubo di girare il film. Se sei il regista sul set, la gente è intorno a te per tutto il giorno, chiedendoti di prendere delle decisioni.
Poi dici "Cut" e gli attori ti guardano, probabilmente giudicandoti, aspettando di sentire cosa verrà dopo. All'inizio, Guadagnino aveva paura di dirigere le scene in cui un sacco di personaggi stavano facendo cose diverse in una stanza, perché gli occhi di tutti quegli attori che aspettavano il ‘cut’ lo terrorizzavano. Anche nel realizzare "Melissa P." aveva cercato di non tenere affollata la scena.
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In quel periodo Guadagnino guardava un documentario su Ingmar Bergman che girava "Fanny e Alexander" ed ebbe una rivelazione. «Vedi che Bergman è costantemente perso e non ha vergogna di questo - ricorda Guadagnino - È una leggenda vivente, eppure ha bisogno di trovare la sua strada – quell’impulso è stato il tramite per ottenere queste sequenze sorprendenti».
In quel momento Guadagnino decise di essere vulnerabile e aperto, come Bergman. Non solo avrebbe girato una scena affollata, ma molte scene simili. Avrebbe rinunciato a storyboard e shot list e sarebbe stato libero, anche se sotto esame.
LUCA GUADAGNINO
Realizzò "I Am Love" che segue tre generazioni di una grande e benestante famiglia milanese che soccombe ai bisogni fisici. La madre di mezza età (Swinton) si innamora di un giovane chef (Edoardo Gabbriellini). Sua figlia (Alba Rohrwacher), un'artista, ha una relazione lesbica segreta; la fidanzata di suo figlio (Diane Fleri) nasconde la gravidanza.
Il film godeva della bellezza borghese e del benessere - senza disprezzo ideologico -rendendola una base per la critica. Insisteva sul fatto che ci fosse un vero piacere sensuale, persino una tenerezza umana, da trovare in un abito bellissimo o in un pasto perfetto. Tuttavia insisteva anche sui bisogni sensuali del corpo, che fa a pezzi il mondo di quei confortevoli piaceri.
luca guadagnino
Lo stile cinematografico di Guadagnino ha reso questa tensione chiara attraverso punti di vista estremi e contrastanti: primi piani mescolati a piani lunghi. In una sequenza notevole, la fotocamera esegue un'enorme S-turn, girando intorno a un piatto di pasticcini, rintracciando poi Swinton su una scala (le scale sono gli spazi di transizione del film) e inquadrando poi una porta sulla quale incontra il suo amante. Altrove, lei è un puntino. L'effetto è di ritrarre una coscienza che reagisce a se stessa.
Questo marchio di realismo, l'uso della macchina da presa di Guadagnino come una specie di sistema nervoso, suscettibile alle ossessioni umane, alle vanità e alle contraddizioni, illumina, tra le altre cose, il suo approccio maturo all'erotico. «Sono un vero guardone e anche tutti i registi che amo sono veri voyeur - dice - Pensa a Catherine Breillat o Ida Lupino, quanto fortemente il loro sguardo comunica quel senso di possessione».
LUCA GUADAGNINO
Anche se c'è sesso in "I Am Love", il momento libidico che gli spettatori ricordano meglio è tra il personaggio di Swinton e un piatto di gamberi. La scena paragonabile in "Suspiria" è quando Madame Blanc porta Susie al culmine non del piacere, ma dello sforzo (salta più in alto di quanto abbia mai saltato prima).
La determinazione di Guadagnino di legare il sesso alla scoperta di sé porta il suo lavoro alla maturazione. In "Chiamami col tuo nome" la telecamera inquadra fuori dalla finestra un albero mentre gli amanti di sesso maschile consumano la loro relazione, una mossa che ha suscitato accuse a Guadagnino di timidezza omoerotica. Eppure quel modo di concepire l’immagine si trova in gran parte del film.
Quando i premi si dirigono verso Guadagnino, come hanno fatto negli ultimi anni, lui li accetta nello spirito di uno zio scapolo, con la gioia per un gesto commovente che sarà presto dimenticato dal donatore e dal ricevente. Nel pomeriggio prima degli Academy Awards, si è accasciato su una sedia in una suite di Beverly Wilshire e ha aperto il browser sul suo iPhone.
Luca Guadagnino
"Chiamami col tuo nome" è stato nominato per quattro Oscar, tra cui quello per il miglior film. Indossava un accappatoio da hotel bianco, mezzo aperto sul petto ossuto. Dette una scorsa ai siti di notizie italiane con il sorriso serrato di qualcuno che sta leggendo qualcosa di divertente prima della battuta finale.
«Sai che è il giorno delle elezioni in Italia» ha detto. Diversi amici si erano riuniti nella sua suite per vederlo partire. Sua sorella Monica, la sua accompagnatrice per la serata, si stava facendo il trucco lì vicino.
«Dimentica gli Oscar - disse Guadagnino - La vera questione è questa». Il Movimento cinque stelle - un gruppo populista anti-immigrati - stava ottenendo circa un terzo dei voti, la percentuale maggiore di ogni partito. «Steve Bannon è in Italia in questo momento - ha detto Guadagnino - Dice, 'sento la stessa atmosfera di prima dell'elezione di Trump!'». Si strozzò.
Quentin Tarantino e Luca Guadagnino La Presse
Quando Guadagnino era adolescente, fu iscritto al Partito Comunista e scrisse per il giornale dei giovani comunisti di Palermo. A un certo punto intervistò una pornostar che era ospite fissa nei talk show. «L'editore mi disse, nel tipico modo comunista, 'Siamo contrari alla pornografia. Non possiamo pubblicarlo’» - ricorda Guadagnino. Protestò e i vertici del giornale sembrarono accettare, ma quando l’articolo venne pubblicato scoprì che la sua intervista era stata preceduta da una nota dell’editore che rinnegava il testo.
Quel giorno Guadagnino strappò la tessera del partito e non aderì mai più pubblicamente a un altro movimento. «Ho imparato la lezione - dice - C'erano strade migliori per la politica». Ha ambientato "A Bigger Splash" a Pantelleria, isola italiana sferzata dal vento tra la Sicilia e il Nord Africa. «Tutto è politica, che tu sia consapevole o ignaro» dice Guadagnino.
Zhang Yuan Naomie Luosky James Gray Aleksel Guskov Amir Naderi Luca Guadagnino
Mentre il linguaggio cinematografico di Guadagnino è diventato più stratificato e obliquo, le sue opere sono diventate sempre più apprezzate dal mainstream commerciale. In questi giorni, per tenersi impegnato, accetta dei progetti su commissione. Swinton lo definisce "un naturale sostenitore del sì”. Ha realizzato film per Ferragamo, ha progettato gli interni per un negozio Aesop, a Roma. Negli ultimi due anni si è creato un'attività secondaria che dice di apprezzare tanto quanto fare film. È il business dell'interior design.
Una mattina Guadagnino fu condotto da Milano a Lenno, sulla sponda occidentale del Lago di Como per progettare una villa e una foresteria sul lago di proprietà del suo amico di vecchia data Federico Marchetti, Ceo di Yoox Net-a-Porter Group, il sito di e-commerce della moda. «Essendo molto generoso, ho detto, ok! - ricorda Guadagnino - Non ho detto, 'Non l'ho mai fatto prima e non so come farlo'». Lavorava in casa mentre faceva "Suspiria", girando dal lunedì al venerdì, e lavorando ai progetti della villa nei fine settimana per rilassarsi.
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Una mattina entrò nel cortile a Lenno. L’aria era frizzante e senza vento e la luce era pallida. Aveva progettato la casa su un’idea che gli era venuta al Moderna Museet, a Stoccolma. Mentre Guadagnino camminava si sentiva eccitato valutando i progressi. Il tappeto della scala era su misura, la piscina del seminterrato era di marmo verde scuro, rivestita con legno hinoki spedito dal Giappone. Poi controllò le stanze che aveva progettato per la figlia di Marchetti.
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Non avendo figli propri, Guadagnino riveste un ruolo di tutore verso i giovani che fanno parte della sua vita. Alla nipote di diciassette anni si accosta con uno spirito ateniese, redigendo liste di letture per sostenerne la crescita intellettuale ed etica. Al momento della visita a Lenno aveva appena concluso un accordo su una villa a Monferrato del Piemonte, dove intendeva gestire una residenza per i giovani che cercavano un punto d'appoggio nel cinema. Almeno, quello era il piano. «Devo ancora capire come trovare questi aspiranti registi» disse, sentendosi improvvisamente solo.
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Recentemente Guadagnino si è recato a New York per girare uno spot di moda ispirato a "Suspiria" per W. Le fotografie dovevano essere di Dakota Johnson, l'ambientazione era la Samuel Borchardt House, una opulenta dimora di Gilded Age sulla West 86th Street. «Un incubo in divenire» ha mormorato Guadagnino. Arrivato al suo hotel di New York nel pomeriggio precedente, nel bel mezzo di una tempesta si era inzuppato dalla testa ai piedi.
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Johnson vestiva un abito Armani e lui l'ha fotografata in un angolo. «Possiamo rendere più triste la tristezza?». «Ancora ragazza triste» disse lei. «Mmm-seriamente» disse Guadagnino. Due piani sopra, Johnson giaceva sul pavimento con indosso un abito Fendi rosa, e Guadagnino era sopra di lei.
Le mostrò come mettersi in posa su una chaise longue e fece una chiacchierata sui suoi progetti estivi. «Fai le vacanze di agosto negli Hamptons?» chiese. «Non so... sembro una ragazza di Hamptons? - disse Johnson - Mi diranno cose del tipo ‘Strega! Strega! Perché non hai i pantaloni bianchi’».
LUCA GUADAGNINO E GLI ATTORI DI CALL ME BY YOUR NAME
Guadagnino sorrise e guardò fuori dalle finestre della camera, oltre i rigogliosi giardini del West Side. «Apri le gambe un po'?» disse. Scattò alcune foto. «Forse troppo», aggiunse, chiedendo una bottiglia d’acqua a temperatura ambiente, mentre il solito flusso di amici affollava il set. Tra di loro c’era lo sceneggiatore Richard LaGravenese. Guadagnino chiama LaGravenese "il ragazzo che amo totalmente”.
E LaGravenese chiama Guadagnino "il primo regista che mi ha permesso di scrivere su momenti veramente emotivi». Un produttore di "Chiamami col tuo nome” aveva acquisito i diritti teatrali di "Blood on the Tracks", l'album di Bob Dylan, e aveva chiesto a Guadagnino di trasformarlo in un film. Certo, aveva detto Guadagnino, ma solo se a scriverlo è LaGravenese, che lui non aveva mai incontrato. E così fu. LaGravenese cancellò i suoi programmi e scrisse una sceneggiatura di 188 pagine.
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Durante gli ultimi minuti di "Suspiria", attraversa lo schermo la frase "Ahnenpaß" - "Aryan Papers". È un riferimento nabokoviano e anche un talismano. Nel 1993 la Warner Bros. approvò un film di Stanley Kubrick intitolato "The Aryan Papers", basato sul romanzo di Louis Begley "Wartime Lies”. Kubrick congelò il progetto quando venne pubblicato "Schindler's List". Da quel momento Guadagnino ha disperatamente voluto creare "The Aryan Papers" e ha chiesto a Kajganich di scrivere la sceneggiatura.
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C'è qualcosa di inquietante nel fatto che Guadagnino si sia innamorato del progetto da giovane quando era ancora un fautore della franchezza pornografica. Il romanzo, tratto dalle esperienze di Begley, è narrato da un ebreo polacco borghese che, durante la fanciullezza, ricevette documenti che gli consentivano di farlo passare per un cattolico ariano.
Il personaggio porta avanti questa bugia, intrecciando una storia sull'occultamento. È quasi come se Guadagnino avesse una precoce intuizione del cineasta che sarebbe diventato - come se, mentre stava ancora preparando "Qui", vedesse emergere il suo lavoro su "Suspiria”.
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Al piano superiore della villa, Guadagnino mise giù la macchina fotografica per un momento per mostrare a Johnson come posare. Lei la afferrò, la girò su di lui e scattò alcune immagini. Guadagnino guardò il monitor fotografico. «Oh, mio Dio», disse con orrore.
Johnson rise. Guadagnino si ritrasse. «Cancellale» lo pregò. Ma Johnson continuava a ridacchiare, stringendo la fotocamera tra le mani. Se avesse aperto l'otturatore in quell’esatto momento, l'avrebbe sorpreso in una posa davvero spontanea: gli occhi spalancati, le mani aperte a coprirsi il viso come con una maschera.