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    A CHI LA PALESTINA? A NOI! - IN ISRAELE VA DI MODA L’ULTRADESTRA PRO-COLONI - IL PARTITINO “OTZMA ISRAEL” FONDATO DA NOSTALGICI DEL RABBINO FONDAMENTALISTA KAHANE, ORMAI CONDIZIONA ANCHE LA POLITICA DEL LIKUD, SPINGENDOLO VERSO DESTRA - NETANYAHU SI ALLEA ALL’ULTRANAZIONALISTA LIEBERMAN, MA LE SIGLE DI ESTREMISTE LO METTONO IN CRISI - I GIOVANI NON LEGGONO PIU’ LA STAMPA LIBERAL…


     
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    Francesca Paci per "la Stampa"

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    «Laggiù, oltre quelle case, c'è Qalchilia: se dipendesse da loro la regaleremmo ai palestinesi, ma la novità è che ora devono fare i conti con noi». «Loro» sono i politici israeliani che, come oltre il 70% della popolazione, sostengono, almeno a parole, la soluzione «due popoli, due Stati».

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    «Noi» significa Otzma Israel, il piccolo partito d'iperdestra che alle 19esime elezioni parlamentari di domani avrà il voto di Shira Kadishson, 51 anni, 4 figli, psicologa dell'età infantile, una passione per l'architettura di Gehry traboccante dalle pareti piene di libri. Se non fosse per la bandiera con la stella di David sulla veranda con vista su Ramat Aviv, quartiere verde di Tel Aviv dove ha sede l'università, Shira con i capelli sale e pepe e l'ostentata avversione per la tv sarebbe un'icona di sinistra.

    Guida il sabato in barba ai precetti religiosi, difende il welfare orgoglio del socialismo nazionale e non s'appassiona affatto al capitalismo americano, vanta amici laburisti e arabi, ma non parlatele di Oslo: «I palestinesi hanno già una patria, la Giordania. I politici israeliani, a cominciare da Bibi, stanno svendendo la terra dove secondo la Bibbia e il Corano vivevamo prima di tutti, ma gli alberi senza radici muoiono». E che piaccia o meno ai laici, osserva Steven Cook del Council of Foreign Affairs, le radici d'Israele sono anche religiose: «Dopotutto, cosa c'entra Tel Aviv con l'ebraismo?».

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    Otzma Israel, fondato da nostalgici del rabbino fondamentalista Kahane e dell'omologo partito messo al bando nell'88, è una realtà marginale che può sperare in 2, massimo 3 dei 120 seggi della Knesset. Ma la sua eredità, scrive Ami Pedahzur nel saggio «Il trionfo della destra isaeliana», ha seminato nella politica nazionale, compreso nel Likud. Israele sta davvero svoltando a destra?

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    Di certo quando un paio di mesi fa il premier Netanyahu si è associato all'ultranazionalista Lieberman fondendo il Likud con Israel Beitenu (e tirando dentro gente provocatoria come Feiglin, sostenitore dei riti ebraici sulla spianata delle moschee) ha palesato l'urgenza di fortificarsi a destra, dove una galassia di nuove e vecchie formazioni legate ai coloni o agli ultraortodossi (dallo Shas al gruppo del rabbino Amnon Yitzhak) minacciano il suo potere in stile Tea Party assai più della sinistra che, nella sprezzante analisi del portavoce della Knesset Danny Danon (Likud), «è una specie in via d'estinzione».

    EBREI ORTODOSSI + POSTER LIEBERMANEBREI ORTODOSSI + POSTER LIEBERMAN

    Lo smottamento a destra però è iniziato da tempo. Dal '67 per storici. Dagli anni '80 replicano i politici. «Se nel 2005, quando Sharon si è ritirato da Gaza, il rapporto con i palestinesi fosse migliorato, oggi le cose sarebbero diverse» ragiona Meron Bitton, 26 anni, laureando in economia, mentre sorseggia vino nel pub Hamezog, un ritrovo di studenti vicino a Rabin square dove una quarantina di under 35 attendono il ristretto comizio di Naftali Bennett.

    Bennett, 40 anni, vanto dell'high tech israeliano,fan dell'eroico fratello di Netanyahu Yoni, del gelato al pistacchio e del film «Le ali della libertà», è la grande sorpresa (ormai consolidata) di queste elezioni. Con la kippa piccola alla maniera degli ortodossi moderni, il linguaggio da commilitone con cui chiama gli elettori Aki (fratello), il pedigree nel Likud, sta rosicchiando consensi a Bibi e potrebbe guadagnare una quindicina di seggi. Non se l'aspettava neppure lui, come dimostra l'ingenuità di aver messo al numero 14 uno come Jeremy Gimplel, che oggi suggerisce di far saltare la spianata delle moschee. Ma rivolgendosi ai ragazzi del pub sembra a suo agio nel ruolo di chi tra 4 anni s'immagina premier.

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    «Obbligherò gli haredim (i religiosi) a fare il militare ma poco alla volta» promette, sapendo di toccare uno dei temi più cari all'auditorio. Non è qui che spende l'altro suo cavallo di battaglia, la politica filo-coloni sintetizzata dallo slogan «la terra è nostra». I giovani di Tel Aviv, quelli che l'anno scorso hanno manifestato sul modello di Occupy Wall Street e diversamente dagli abitanti di Gerusalemme o dalla Sderot sotto il tiro di Hamas hanno sempre preferito il dialogo, hanno accantonato le speranze di pace e vedono in Bennett solo un imprenditore di successo.

    «L'economia conta più della pace, specie dopo l'avanzata degli islamisti seguita alle primavere arabe: 4 anni fa un appartamento a Tel Aviv costava 700 euro al mese, oggi se sei fortunato ne spendi 1100» spiega l'avvocato 27enne Varoit Wolferman. Non ha ancora deciso per chi votare come un quinto degli oltre 5 milioni di elettori, ma le sue simpatie, come quelle di molti coetanei in bici lungo Rothschild, vanno a Bait Yehudi, il partito di Bennett.

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    Cosa direbbe Herzl, il fondatore del sionismo cresciuto in una laica casa tedesca e ispirato dal nazionalismo europeo,di fronte alla sua creatura cooptata dalla destra religiosa? La leadership israeliana è storicamente laica e lo stesso Bibi lavora di sabato.
    «La provincia coloniale sta prendendo il sopravvento sulla madrepatria» scrive su Haaretz Ari Shavit. Il punto però, nota l'informatico 25enne David Toshkabho, è che nell'ultimo mezzo secolo Israele legge sempre meno la stampa «illuminata». «I media parlano per pochi intellettuali percepiti come distanti dalla gente, non credo che gli israeliani siano razzisti ma si preoccupano più della propria vita che del Paese» continua Ari. A confermarlo è Ghassam Khatib di Peace Now: «Oggi più che contro l'occupazione ci battiamo contro l'indifferenza».

    La sinistra si lecca le ferite e punta tutto sul welfare, i palestinesi sono divisi tra chi teme il peggio e chi pianifica la terza intifada, l'America è lontana. «E' la speranza di pace che gonfia il vento in poppa alla destra» ripete l'ex enfant prodige di Olmert Tzipi Livni, oggi candidata di HaTnua'. Da queste parti però, dare qualcosa per scontato si è sempre rivelato un errore.

     

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