Federica Nannetti per il corriere.it
Il Po in Emilia Romagna
Isole e ampi spazi sabbiosi. Talvolta si vede sbucare l’erba. Eppure, una volta, in quei punti scorrevano le acque del Po. La desertificazione sta mangiando tratti via via sempre più lunghi e profondi di fiume, lasciando alle sue spalle uno stato di siccità ormai perenne: vi sono zone non più bagnate da tempi immemori e corsi d’acqua sempre più esili. Alcune immagini relative a Pontelagoscuro e a Francolino, nel ferrarese, sono state divulgate nei giorni scorsi dal Consorzio di bonifica pianura di Ferrara, scatti aerei che testimoniano ancor meglio delle parole una situazione sempre più strutturale, lì come in tutto il bacino del fiume; e non solo.
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Coltivazioni sempre più a rischio
I rischi per le coltivazioni, per la biodiversità e per il settore idroelettrico potrebbero rivelarsi gravi anche nel breve periodo, tenendo conto di una situazione sempre meno straordinaria e sempre più evidente, esattamente come testimoniato dai numerosi e periodici report diffusi dall’Autorità distrettuale del fiume Po (Adbpo) in seno al ministero della Transizione ecologica degli ultimi mesi. Bollettini che si stanno ripetendo, con dati sempre più preoccupanti tra la severa e l’estrema siccità con l’avanzare della bella stagione, già dai primi mesi del 2022.
La crisi peggiore degli ultimi 70 anni
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I dati più recenti, diffusi in seguito all’Osservatorio sulle crisi idriche (con le Regioni, tutti i portatori di interesse, la Protezione civile del distretto, il ministero e l’Ispra) sono i peggiori degli ultimi 70 anni, registrati in concomitanza con un fabbisogno per usi civili, irrigui e ambientali assai più alto dei mesi precedenti. Questa contingenza la si potrebbe in altre parole paragonare a un “mix letale” composto da temperature sopra la media stagionale anche di quattro gradi, da piogge scarsissime e da neve sulle Alpi piemontesi e lombarde praticamente esaurita; con il risultato, ad esempio, di una sezione di chiusa di Pontelagoscuro ai minimi mai registrati, un -80% rispetto alla media del periodo di portata calcolata in metri cubi al secondo.
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Pioggia (poca) inutile
Nemmeno le sporadiche precipitazioni della prima settimana di giugno hanno dunque portato a un momento di respiro: «Essendo state per lo più a carattere temporalesco e quasi sempre localizzate – ha rimarcato l’Autorità distrettuale – non hanno portato benefici e non sono state sufficienti a colmare il gap precipitativo da inizio anno. Un quadro climatico che inoltre non esclude, a breve, anche la possibilità di notti tropicali. Tutti questi fattori incrementano il fabbisogno idrico delle colture nei campi e il fenomeno dell’evapotraspirazione che sta asciugando i suoli, già pesantemente inariditi dalle scarse piogge e il cui tenore di umidità è oggi al minimo». Ecco perché è necessario «innescare uno spirito di sussidiarietà tra i territori, per cui i prelievi idrici vanno controllati e verificati», portando acqua a tutti, ha aggiunto Meuccio Berselli, segretario generale di Adbpo.
Troppo sale
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Sempre secondo le stime dell’Autorità, a preoccupare c’è poi il cuneo salino, ulteriormente in risalita: si tratta appunto della risalita dell’acqua del mare nel Delta del Po, con livelli di intrusione previsti tra i 15 e i 20 chilometri, andando a rappresentare così una minaccia significativa, tra le altre cose, per la contaminazione delle falde; nei casi più estremi anche di quelle destinate a uso potabile. A tal proposito, alla fine della prima settimana di giugno l’allarme è stato lanciato da Anbi Emilia-Romagna, parlando di «un fenomeno invisibile» capace di sconvolgere l’equilibrio del Delta.
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Campi di grano in affanno
A pagare le conseguenze di tale complessità di situazioni vi sono anche le colture nei campi che, come ricordato dal presidente del Cer-canale emiliano-romagnolo, Nicola Dalmonte, si trovano nelle fasi di riempimento dei frutti, con piante «orticole particolarmente sensibili a stress idrici e termici causati da ondate di calore». E un discorso analogo vale anche per i cereali.
Confagricoltura Emilia-Romagna ha anche fornito i fabbisogni idrici previsti per portare a termine la campagna frutticola 2022 in regione: per le drupacee (albicocche, ciliegie, pesche e susine), bisogna erogare ancora il 70% dei volumi d’acqua richiesti; per le pomacee (pere e mele), l’88%. In altri termini e come sottolineato da Marco Piccinini, presidente dei frutticoltori di Confagricoltura Emilia, ciò significa che «siamo appena all’inizio della stagione, con il livello del Po al minimo storico (quindi senza scorte), con il 25% di precipitazioni estive in meno rispetto alla media dell’ultimo ventennio e con un tasso di evaporazione alle stelle, che si traduce di fatto in una perdita d’acqua fino a otto litri per ogni metro quadro». Al mais serve ancora il 74% del volume annuo richiesto; alla soia, l’84%.
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Ma se la crisi idrica persisterà, ha continuato Piccinini, i risvolti saranno anche economici: «Dare acqua ai frutteti costerà in media 430 euro a ettaro soltanto di energia elettrica. Nel 2020 la stessa voce di spesa si attestava a 92 euro a ettaro». Cinque volte tanto rispetto a un’annata standard.
Le previsioni meteo
Le previsioni metereologiche, in ogni caso, non sembrano far prospettare scenari molto ottimistici e anche per questo il presidente di Confagricoltura Emilia-Romagna, Marcello Bonvicini, ha parlato della necessità di nuove disposizioni per la gestione dell’emergenza idrica nel senso di una razionalizzazione dell’acqua a fini irrigui fino alla turnazione: «Seguite i calendari degli enti di bonifica con gli orari fissati per dare acqua alle colture, l’irrigazione a scorrimento solo se necessaria».
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