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A FURIA CHIEDERE BONUS 110%, STA PER SCOPPIARE LA BOLLA - PRIMA IL CARO MATERIE PRIME, POI LO STOP DELLE BANCHE ALLA CESSIONE DEL CREDITO PER LE RISTRUTTURAZIONI EDILIZIE: I COSTRUTTORI LAMENTANO IL RISCHIO CHE MIGLIAIA DI CANTIERI VADANO A GAMBE ALL'ARIA E CHIEDONO L'INTERVENTO DEL GOVERNO PER RIVEDERE I CONTRATTI DI APPALTO - SECONDO UNIMPRESA POTREBBBERO SALTARE 40 MILIARDI DEL PNRR - IN CONSIGLIO DEI MINISTRI OK ALLA PROROGA PER LE VILLETTE, CONTROLLI PREVENTIVI DELL'AGENZIA DELLE ENTRATE...

1 - SUPERBONUS, PERICOLO FALLIMENTI

Luca Monticelli per “La Stampa

 

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Allarme Superbonus. Si rischia di avere aziende in crisi finanziaria, cantieri nei condomini bloccati e riflessi sull'occupazione. «È un disastro», dice Gabriele Buia, presidente dell'Associazione dei costruttori.

 

Al caro materie prime si aggiunge lo stop delle banche alla cessione del credito per le ristrutturazioni edilizie legate al bonus del 110%, che crea «grandissimi problemi». È un'iniziativa che non riguarda solo i futuri cantieri, ma ha ripercussioni pure sui lavori già avviati perché gli istituti finanziari non ritireranno più i crediti sulle piattaforme specializzate, e molti contratti, sottolinea il vertice dell'Ance, potrebbero venir meno «di fronte all'esaurimento del plafond delle banche. È chiaro che se non c'è disponibilità si blocca tutto e l'impresa non ha la possibilità di scontare il credito».

 

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Buia punta il dito contro «le 11.600 società che si sono iscritte alle Camere di commercio con il codice Ateco delle costruzioni, ma che in realtà con le costruzioni non hanno nulla a che fare. Sono loro - sottolinea - che hanno saturato il mercato creando dumping e speculazione.

 

È vero che le aziende strutturate non riescono a gestire la domanda, però basterebbe allungare per qualche altro anno la possibilità di utilizzare il Superbonus. Le regole del bonus al 110% dovrebbero seguire quelle stabilite per il cratere del terremoto dell'Italia centrale, che assicurano gli investimenti solo alle imprese qualificate».

 

Lo stop delle banche

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Dopo che molti istituti medio piccoli avevano già alzato bandiera bianca, ora anche Intesa Sanpaolo e Unicredit hanno annunciato di non poter più accogliere domande per la cessione del credito legato al Superbonus.

 

Con lo "sconto in fattura", infatti, i proprietari di immobili che usufruiscono dell'incentivo possono far realizzare all'azienda incaricata i lavori di ristrutturazione senza spendere un euro.

 

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I due principali istituti di credito, in prima fila nella gestione dei bonus edilizi, hanno però chiuso alla cessione di nuovi crediti. Il gran numero di richieste ha portato all'esaurimento della capacità fiscale e non si possono accettare altri crediti. Banca Intesa al 31 dicembre scorso ne aveva già acquisiti per oltre 4 miliardi, Unicredit per circa 1,2 miliardi.

 

Il mercato del 110% negli ultimi mesi sembra non trovare pace. Il decreto Sostegni di gennaio aveva limitato a uno il numero dei trasferimenti dei crediti per limitare le frodi. La levata di scudi di partiti e operatori ha poi riportato le tre cessioni, ma la seconda e la terza solo a banche, intermediari finanziari e assicurazioni.

 

Decreto in arrivo

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Nel prossimo decreto di aiuti all'economia che il Consiglio dei ministri esaminerà in settimana dovrebbero trovare spazio una quarta cessione del credito (dalle banche ai loro clienti che hanno lo spazio fiscale per detrarlo delle tasse) e qualche mese di proroga per attivare il Superbonus nelle villette.

 

La normativa attuale stabilisce la fine dell'incentivo per le case indipendenti a dicembre 2022, ma solo se al 30 giugno l'avanzamento dei lavori ha raggiunto il 30%. Il governo ha già dato il via libera a un ordine del giorno in Parlamento su questo tema e si prepara a posticipare il termine del 30 giugno solo di due o tre mesi perché la copertura richiesta ogni 30 giorni di proroga arriva a 200 milioni di euro. Resta forte, però, il pressing della politica per un allungamento più consistente della misura.

 

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L'Agenzia delle entrate

Per scongiurare le truffe, gli 007 del fisco stanno recapitando a sempre più intermediari richieste di controlli preventivi sui crediti, congelando per un mese le operazioni definite anomale.

 

Le lettere che stanno arrivando ai professionisti comunicano il congelamento delle risorse e chiedono un pacchetto di documenti da spedire entro cinque giorni, come il visto di conformità, la Cila o le asseverazioni energetiche.

 

2 - I COSTRUTTORI IN CRISI, LO SCENARIO PER IL CARO PREZZI: "IL GOVERNO INTERVENGA O DOVREMO FERMARE I CANTIERI DEL PNRR"

Paolo Bracalini per “il Giornale

 

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Il rialzo dei prezzi delle materie prime, iniziato già con la pandemia ma esploso dopo la guerra in Ucraina, sta mettendo in crisi le imprese edili. In gioco non c'è solo un settore che da solo vale il 5% del Pil nazionale ma anche una enorme porzione del Pnrr, oltre 100 miliardi di euro in cantieri, quasi la metà dei 220 miliardi dei complessivi di tutto il piano nazionale.

 

Il rincaro per alcune tipologie di materiali come il ferro supera il 70%, il legno per gli infissi è salito del 78%, ma si arriva anche al 113% di aumenti (i nastri in acciaio per le barriere stradali) rispetto ai costi preventivati negli appalti, mettendo così in ginocchio le imprese.

 

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Al punto che, se non dal governo non arriveranno le risposte chieste dai costruttori, l'unica soluzione sarà chiudere i cantieri. Lo dice chiaramente Gabriele Buia, presidente dell'Ance: «I rincari delle materie prime sono ormai insostenibili per tutte le imprese del settore delle costruzioni.

 

Se la situazione non cambia non resterà che chiudere, una impresa che lavora in perdita è una impresa che chiude. Conviene sospendere i cantieri e poi sarà il giudice a stabilire se è giusto o corretto applicare o meno le penali.

 

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Ma non posso credere che il governo voglia far fallire le imprese. Sarebbe un danno enorme per lo Stato perché si fermerebbero opere pubbliche e tutto l'indotto» spiega il presidente dei costruttori.

 

In settimana ci sarà un tavolo tecnico con i ministri Franco (Economia) e Giovannini (Infrastrutture) da cui le imprese si aspettano tre cose: compensazioni per gli appalti in corso divenuti insostenibili per via dei costi, revisione dei contratti per le opere non ancora iniziate e poi un nuovo modello revisionale che permetta di adattare i contratti (che sono pluriennali) alle oscillazioni repentine dei prezzi che cambiano anche settimanalmente (ad esempio i listini del ferro). Il problema riguarda non solo le opere pubbliche, ma anche l'edilizia privata, investita dallo stesso problema.

 

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Il presidente di Ance Fermo, Massimiliano Celi, è ancora più drastico: «Con i prezzi dei materiali fuori controllo, le imprese ormai preferiscono iniziare il contenzioso piuttosto che finire i lavori. Noi costruttori ci troviamo a fare i conti da un lato con un aumento incontrollato dei prezzi e dall'altra parte con contratti blindati da prezzari di riferimento di per sé già bassi.

 

Il legno, arrivando dal nord Europa, subisce il rincaro dei trasporti. Normalmente il tavolame per i ponteggi costa 280 euro al metro cubo, ora è passato a 500 euro. Il costo del ferro è passato da circa 1.05 al chilo dal fornitore a 1,60. Sembra poco, ma il ferro non si compra a chili, quindi l'aumento è grande».

 

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E poi il cemento, «su cui impattano il costo del gas dovuto al conflitto in Ucraina e la speculazione finanziaria», e il calcestruzzo, «che dal primo maggio aumenterà di 15 euro al metro cubo». Il rischio è se i bandi di gare delle opere previste dal Pnrr non terranno conto delle nuove condizioni economiche del settore, nessuna impresa si accollerà il rischio di lavorare in perdita.

 

«Già ora ci sono gare di enti pubblici che stanno andando deserte: nessun imprenditore pur di lavorare metterebbe a rischio il futuro della propria azienda».

 

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Lo stesso allarme che suona Unimpresa. In un documento l'associazione guidata da Giovanna Ferrara mette a fuoco l'impatto dei rincari, in particolare quelli dei materiali comprati all'estero, sugli appalti per la costruzione e l'ammodernamento di importanti infrastrutture, «prezzati» prima della guerra. Per arrivare alla stessa conclusione: a rischio ci sono i 40 miliardi di euro del Pnrr stanziati per il 2022.