Guido Santevecchi per il “Corriere della Sera”
Pillar of Shame di Hong Kong
Sono entrati nel campus della University of Hong Kong di notte: una squadra di operai con elmetti gialli, guanti e mascherine. Hanno recintato l'area intorno al «Pilastro della Vergogna» che ricordava il massacro di Tienanmen con alte barriere di plastica, non per motivi di sicurezza, ma per non avere testimoni: sulla «scena del delitto» la polizia aveva l'ordine di tenere alla larga studenti e stampa. Ma le immagini, riprese di nascosto da un ballatoio, sono filtrate lo stesso, sfidando anche la Legge sulla sicurezza nazionale cinese che dal luglio 2020 ha spento la protesta democratica nell'ex colonia britannica.
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Così, sui social network internazionali ora corrono le scene dello smantellamento della statua: una colonna di rame alta 8 metri, composta da cinquanta corpi nudi, schiacciati da una forza opprimente come quella dei carri armati cinesi che il 4 giugno del 1989 avevano spazzato via in piazza Tienanmen a Pechino gli studenti che invocavano un governo decente. Una macchia vergognosa sul Partito-Stato, e per questo la statua era stata chiamata «Pillar of Shame», Pilastro della Vergogna.
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Donata dall'artista danese Jens Galschiot, la piramide commemorativa era arrivata a Hong Kong nel 1997, poche settimane prima che la città fosse restituita dai colonizzatori britannici alla Repubblica popolare cinese. Per ventiquattro anni la scultura era stata l'unico memoriale in territorio cinese del sacrificio di migliaia di giovani uccisi in una notte a Pechino. A Hong Kong vigeva il principio «Un Paese due sistemi», che formalmente dura ancora, ma in realtà è stato cancellato dalla Legge sulla sicurezza nazionale cinese e dallo stillicidio di arresti per sovversione e secessionismo che negli ultimi due anni hanno messo a tacere l'opposizione anti-comunista.
Pochi giorni fa un tribunale di Hong Kong ha condannato ad altri 13 mesi di carcere Jimmy Lai, l'editore il cui giornale libero Apple Daily è stato soffocato e chiuso in estate: la sua colpa, aver partecipato il 4 giugno del 2020 all'ultima veglia in ricordo di Tienanmen. Jimmy Lai dalla cella ha scritto: «Se ricordare quei morti è un crimine, sono orgoglioso di condividere la gloria di quei giovani che hanno versato il loro sangue».
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Restava ancora la statua nel campus della più antica università della città e gli studenti ancora si facevano fotografare davanti nelle occasioni importanti, come la laurea. Inaccettabile nel nuovo corso «patriottico» imposto a Hong Kong. Già a ottobre era arrivato l'ordine di rimuoverla. Senza il clima di paura calato su Hong Kong, migliaia di studenti si sarebbero concentrati nel campus per difendere il simbolo. Invece ora nessuno ha sfidato le nuove norme repressive; per precauzione gli operai sono stati mandati nel cuore della notte.
Il rettorato ha comunicato che «la decisione di smantellare la vecchia statua è stata presa sulla base di un consiglio legale e valutando il rischio per l'università. Eravamo anche preoccupati per la fragilità dell'opera». Una motivazione ipocrita. Il «Pillar of Shame», tagliato e avvolto in un telone bianco, è stato trascinato via come un cadavere. «Una fine brutale, sono sconvolto», ha detto lo scultore Galschiot.
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