1 - GENTILONI VEDE IL 2018: “STABILITÀ”
Tommaso Ciriaco per la Repubblica
RENZI GENTILONI
Un passo verso il 2018. «Bisogna guardare alla realtà e alla Costituzione – scandisce Paolo Gentiloni da Londra - La prima ci dice che questo governo ha il pieno sostegno dei due rami del Parlamento ed è un interlocutore stabile per i cittadini e le istituzioni europee. La seconda è che l’esecutivo è in carica, avendo la fiducia delle Camere». Giocare in trasferta porta a stressare questi concetti, è ovvio. Ma “stabilità” resta parola non banale, mentre a Roma infuria la bufera. «Orizzonte 2018? Ma orizzonte de che…», sdrammatizza a sera il leader.
renzi con la campanella
Un destino comune, Gentiloni e Theresa May. Entrambi ministri in carica fino a un referendum che spodesta i predecessori e li proietta alla guida del governo. Si ritrovano a metà mattinata al 10 di Downing Street. C’è Brexit ad imporre l’agenda, ma in Italia si duella soprattutto sulla data delle elezioni e il “partito del 2018” martella senza tregua Renzi. Gentiloni si muove come un equilibrista, ma stavolta azzarda una mossa. Non contro Renzi, «siamo in continuità con le riforme». Ma comunque verso chi guarda con orrore al voto anticipato: «Il governo è un interlocutore stabile».
Un paio di isolati dividono la sede della London School of Economics dalla residenza di May. Di fronte agli studenti Gentiloni cita i Clash. C’è spazio anche per un breve incontro con Vittorio Colao di Vodafone, il fondatore di King.com Riccardo Zacconi e il finanziere “renziano” Davide Serra.
Lealtà, insomma, le mosse azzardate non gli sono mai piaciute. Lo sa bene Renzi, che nei mesi precedenti alle dimissioni raccontava ai suoi ministri sempre lo stesso aneddoto: “Paolo viene nel mio ufficio e mi dice: «Ma perché ti sei messo in questo vicolo cieco del referendum? Ma che te frega del bicameralismo paritario?”. Diventato oggi un tormentone a Palazzo Chigi. «Ma che te frega del bicameralismo?».
paolo gentiloni
2 - MATTEO E PAOLO, PRIMA CREPA RENZIANI CONTRO IL GOVERNO “MANOVRA, NO A NUOVE TASSE”
Goffredo De Marchis per “la Repubblica”
Lettere, documenti, assemblee di corrente alimentano il caos alla vigilia della direzione del Partito democratico, lunedì. Ma una mozione parlamentare svela che lo scontro potrebbe coinvolgere direttamente il governo Gentiloni. L’ha presentata il renziano Edoardo Fanucci.
Organizzatore di un’edizione della Leopolda e vicepresidente della commissione Bilancio. Ha raccolto finora 35 firme di deputati dem, principalmente di persone vicinissime al segretario del Pd (Morani, Parrini, Ascani, Fregolent tra gli altri) con qualche nome trasversale e qualche assenza significativa di onorevoli vicini al premier.
ANNA ASCANI
La struttura del documento, che sarà depositato la prossima settimana e per il quale si cercano altri firmatari fino alle 13 di oggi, è inequivocabile: il lungo elenco dei successi delle misure fiscali del governo Renzi (coronato ieri anche dal recupero record dell’evasione), il richiamo all’intervento di Pier Carlo Padoan al Senato in cui il ministro del Tesoro «ha descritto», tra le misure dalla manovrina chiesta da Bruxelles, l’aumento delle accise su benzina e tabacchi per chiudere con l’impegno del governo a cambiare completamente rotta valutando «il reperimento delle risorse necessarie tagliando la spesa improduttiva» e continuando la lotta all’evasione fiscale.
lorenza bonaccorsi
Il governo Renzi e il governo Gentiloni vengono dunque messi su due piani diversi e l’attacco all’esecutivo esce dal recinto delle chiacchiere tra renziani per finire in un atto parlamentare. C’è la manina di Matteo Renzi in questa mozione? «No - dice Fanucci -. Ma io spero che sia d’accordo. È sempre stata la sua linea». Una linea che il segretario del Pd conferma nei messaggini inviati in questi giorni ai suoi fedelissimi. La contrarietà alla manovrina fatta con le accise è dichiarata a gran voce, «bisogna contestarla in ogni occasione», scrive l’ex premier invitando a fare dichiarazioni in tal senso.
E amaramente Renzi aggiunge: «Se passa questo tipo di manovra è un disastro. Così si vanificano i mille giorni». Dunque, il segretario «non mette il timbro su questa o su altre iniziative», come dice, ma sicuramente lascia fare perché quella è la sua linea e il suo profondo convincimento. Occorre sganciare l’immagine del Partito democratico da interventi del genere, per non finire triturati nel consenso.
E alla fine diventa un ulteriore argomento, molto politico e molto convincente per un partito che ha seguito la strada faticosa del taglio delle tasse, per dimostrare che andare alle urne subito, a giugno, sarebbe, potendo, la cosa migliore. Fanucci è un po’ dispiaciuto per una raccolta di firme che non ha scaldato il cuore del Pd: «Mi aspettavo più adesioni».
giachetti dopo la sconfitta
Magari qualcuno ha pensato che non fosse una buonissima idea mettere alla sbarra, in aula, il governo guidato da un dirigente del Pd. «Può essere - ammette Fanucci -. Ma non è quella l’intenzione». Devono però averla interpretata così alcuni deputati vicini a Gentiloni: come Roberto Giachetti e Lorenza Bonaccorsi, la cui firma infatti non compare. O i parlamentari che sono sulle posizioni di Dario Franceschini, completamente assenti.
Non votare subito, sembra il messaggio dei renziani, comporterà un lungo cammino di simili incidenti e di incompresioni tra il vertice del partito e Palazzo Chigi. È un bene per il Pd, per il Paese, per le decisioni dell’esecutivo? L’intenzione di Renzi di dimettersi lunedì per aprire la stagione congressuale allontana il voto di giugno. Anzi, se le assise seguono il loro percorso naturale cancellano l’ipotesi. Ma è il rapporto tra il governo e la linea del leader a rendere difficile una lunga coabitazione.
ORFINI RENZI
Il Pd in questa fase è poi occupato a disegnare i suoi rapporti di forza. Non a caso i resoconti delle varie riunioni di corrente tenute in questi giorni, in vista della direzione, cominciano non con proposte o contenuti ma con i numeri. All’assemblea di Areadem (Franceschini) erano in 90 parlamentari. Ieri la riunione della minoranza bersaniana contava 100 partecipanti (compresi amministratori locali).
La lettera dei senatori favorevoli al voto nel 2018 aveva 41 firme, più importanti di ciò che era scritto nel testo. Una lettera che a Largo del Nazareno è stata vissuta come un affronto, come una deviazione pericolosa dalla rotta prestabilita. Infatti si è dovuti correre ai ripari, su richiesta di Renzi e Orfini, con la lettera di 17, molti dei quali firmatari anche di quella di 41, per dire che votare presto è l’unico piano concreto. Il punto è che la segreteria assiste piano piano allo sgretolamento della maggioranza interna. E senza numeri, anche in direzione, si complicano tutti i disegni, sia i piani A che quelli B.