Viviana Mazza per il Corriere della Sera
LA VITTIMA JUSTINE DAMOND
Le nozze erano previste tra un mese, e lei non vedeva l' ora, tant' è che aveva già preso il cognome del futuro marito. Ma i parenti di Justine Damond sono dovuti arrivare ieri a Minneapolis prima del previsto: per il suo funerale. Quarant' anni, australiana, maestra di yoga e di meditazione, Justine è la 661esima persona uccisa dalla polizia in America quest' anno e la quinta in Minnesota, secondo le stime.
È accaduto sabato, poco prima di mezzanotte nel quartiere benestante dove Justine Damond viveva con il compagno, che quella sera era assente per lavoro: era stata lei stessa a chiamare il 911, il numero della polizia, perché aveva sentito una donna urlare in strada e temeva la stessero violentando.
L'«errore» di Justine - scrive il quotidiano The Australian - è stato di avvicinarsi, in pigiama e disarmata, al finestrino del poliziotto al volante: «Una cosa che qualunque australiano avrebbe fatto». Ma l' agente seduto accanto al guidatore, Mohammed Noor, 31 anni, somalo-americano, le ha sparato all' addome. Forse aveva scambiato il cellulare che Justine teneva in mano per una pistola. Ma non è dato saperlo, perché le body-cam, le telecamere che i due poliziotti indossavano erano spente, benché fossero tenuti per regolamento ad accenderle prima o immediatamente dopo l' uso della forza.
A DESTRA IL POLIZIOTTO CHE HA SPARATO
La tragedia è finita sulle prime pagine dei giornali australiani con titoli come «Incubo Americano». E ha riportato i riflettori dei media statunitensi sulle sparatorie della polizia.
Il Minnesota, uno Stato liberal delle praterie vicino al Canada e ai Grandi Laghi, è stato già scosso di recente dall' uccisione di Philando Castile, afroamericano fermato alla guida della sua auto con un fanalino di coda rotto e ucciso poco dopo davanti alla fidanzata e alla figlia di quattro anni da un poliziotto ispanico.
Castile aveva detto all' agente di possedere un' arma per evitare di avere problemi, e stava prendendo un documento di identità come gli era stato chiesto, quando il poliziotto ha sparato: è stato prosciolto, anche se licenziato. Stavolta la dinamica razziale è capovolta, nota sul New York Daily News il commentatore Shaun King; e chiede: forse adesso che la vittima è bianca e il poliziotto di colore e musulmano, l' America si accorgerà che la «cultura delle armi» deve finire? Alcuni incluso il figlio adottivo di Justine Damond, puntano il dito contro l' addestramento dei poliziotti (l' agente Noor aveva ricevuto due lamentele e una denuncia in appena due anni di servizio), ma il problema è anche più ampio.
LA VITTIMA CON IL COMPAGNO
Anche se in Minnesota, i dati sul crimine sono al punto più basso negli ultimi 50 anni, se sei un poliziotto in America ci sono buone ragioni per essere nervoso: in media 150 agenti muoiono ogni anno sul lavoro, spesso uccisi con armi da fuoco. Ogni volta che vanno in pattuglia, sanno che nelle strade ci sono 265 milioni di pistole e fucili, circa un' arma per ogni adulto. È così sorprendente che a volte la polizia si senta in guerra con coloro che ha giurato di proteggere?
Due donne, la sindaca democratica Betsy Hodges, che aveva fortemente voluto l' uso di body-cam, e il capo della polizia Janeé Harteau, sono ora sotto i riflettori. Le indagini sulla morte di Justine Damond, che è stata già definita un «omicidio», sono condotte dal dipartimento per la sicurezza pubblica di Minneapolis, indipendente dalla polizia. Ma i parenti lamentano di sapere ancora poco o nulla sulla dinamica. Intanto, altre quattro persone sono state uccise in America dalla polizia dalla notte in cui è morta Justine.
MOHAMMED NOOR