Antonello Piroso per la Verità
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Mercoledì sera - dopo aver vinto contro la Juventus negli ultimi minuti una partita fin lì persa dalla sua squadra, il Mu, cioè il Manchester United, per assenza di gioco - Josè Mourinho ha provocato tutta la tifoseria avversaria, anche quella davanti alla tv, sfottendola con le mani alle orecchie:
«Non vi sento più, che stavate dicendo?». Per poi invocare ai microfoni l' attenuante: «Sono venuto qui a Torino solo per fare il mio lavoro. Alla fine non ho offeso nessuno, ho fatto quel gesto come dire "Voglio sentire un po' di più". A freddo non lo rifarei, ma insultare per 90 minuti me, la mia famiglia e la mia famiglia interista non è bello».
Signori, questo è Mou, che una volta ha affermato: «Nel calcio non ci sono superuomini. Ci sono solo uomini che vincono più spesso di altri», e in nome di questo low profile si è ribattezzato da solo lo Special one. Negando poi di averlo detto, ma alla sua maniera, cioè con vera modestia: «Mai pensato di essere il migliore del mondo, ma penso che nessuno sia migliore di me», del resto «neanche Gesù piaceva a tutti» (se vi pare blasfemo sappiate che il cattolico Mou gira sempre con un crocifisso in tasca).
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Chi lo ama lo definisce un vincente - che ha conseguito risultati in manifestazioni, paesi e con squadre differenti: è l' unico Mister ad aver vinto per esempio due volte la Champions e due volte l' Europa league - di onestà brutale, capace di esternare quello che molti pensano ma pochi hanno il coraggio di dire.
Chi lo detesta magari cerca di accoltellarlo come fece un tifoso del Deportivo nel 2011 all' aeroporto di La Coruña, oppure lo bolla come arrogante, presuntuoso, rissoso, sempre alla ricerca di slogan memorabili (gli avversari con «zeru tituli», giornali e media che praticano la «prostituzione intellectuale») e di un nemico con cui prendersela, anche per motivare i suoi supporter e i suoi calciatori. Come quando mimò le manette - 2010, Inter-Sampdoria due interisti espulsi - intendendo: «Giochiamo con le mani legate», solo che fu interpretato come «l' arbitro è da arrestare», così si beccò tre giornate di squalifica.
Lo scontro con la Juve era in realtà già cominciato all' andata in terra inglese. Quando i tifosi bianconeri lo contestano, Mou replica alzando tre dita a simboleggiare il «triplete» (coppa Italia, Campionato e Champions league conquistati nella stessa stagione, con l' Inter), da cui gli juventini «sono ossessionati, ma io l' ho vinto e loro non ancora».
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Che dire poi del duello con Antonio Conte? Quando il Chelsea batté sonoramente il Mu per 4 a 0, al termine dell' incontro Mou andò a stringergli la mano, ma ammonendolo: «Non si esulta così sul 4-0, lo fai con 1-0, questa è un' umiliazione per noi».
I giornalisti tempo dopo andarono a riferire a Conte che Mou lo definiva con eleganza un «pagliaccio a bordo campo», Conte la declassò con garbo a manifestazione di «demenza senile», Mou incassò signorilmente osservando che però lui non era mai stato sospeso per calcio scommesse.
Molto più grave fu il gesto che Mou, allenatore del Real Madrid, ha compiuto nei confronti di Tito Vilanova, nel 2011 assistente di Pep Guardiola, alla guida del Barcellona. Durante il match, scoppia una rissa e Mourinho infila un dito nell' occhio di Vilanova. Non contento, in conferenza stampa lo denigra chiamandolo «Pito» (che in spagnolo vale il nostro «cazzettino»). Un anno dopo, gli chiederà scusa. Appena in tempo: Vilanova è poi morto a soli 45 anni.
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Di certo come coach è un grande motivatore. All' Inter, quando un giocatore stava per separarsi dalla propria compagna, e la crisi si rifletteva sul suo rendimento, fu Mou in versione psicoterapeuta a riportare la pace in famiglia. Riuscì perfino a gestire quel discontinuo di Mario Balotelli, anche se non sempre. Per l' incontro di Champions con il Rubin Kazan, Mou aveva tutto l' attacco infortunato, tranne Balo. Che alla fine del primo tempo rimedia un giallo. Così Mourinho passa tutto l' intervallo a spiegargli che non aveva cambi, quindi «evita i contatti, non reagire, non attaccare l' arbitro». Risultato? Ricomincia la partita, e un minuto dopo Balotelli viene espulso. Sorvoliamo su quello che successe poi a fine partita, ma pare certo che Mou non si limitò a distruggere un lettino per i massaggi come avvenne nell' intervallo di un' altra partita, Kiev-Inter.
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Mefistofelico, da allenatore del Real in Champions league nel 2010 chiese a Xabi Alonso e a Sergio Ramos di farsi espellere volontariamente, perché così avrebbero sì saltato l' ultima gara del girone, ma non sarebbero risultati diffidati per la prima partita degli ottavi di finale.
Da vero bauscia, quando sfidò un giornalista a scrivere lui la formazione ideale, e quello lo punzecchiò: «Ok, se mi dà parte dei suoi 9 milioni di ingaggio», lui lo corresse: «Non sono 9 ma 11, anzi 14 con gli sponsor». L' Inter fece una smentita pro forma, ma l' ingaggio base era davvero di 11 milioni. Netti. Dovendo corrispondere comunque i 6 milioni all' esonerato Roberto Mancini, l' Inter si ritrovò così nel 2009 a sborsare 17 milioni di euro, cioè più di tutti gli ingaggi degli altri allenatori di serie A messi insieme, 15,7 milioni (il calcolo fu poi fatto dal Sole 24 Ore).
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Con la Juventus la diatriba è aperta dai tempi di Milano, quando accusava la squadra più blasonata d' Italia di aver fatto tanti punti «grazie a errori arbitrali», e perché solo in Italia «l' area di rigore è di 25 metri» (riferimento a un rigore concesso per un fallo da lui, e non solo da lui, giudicato fuori area su Alex Del Piero durante un Genoa-Juve). Anche con Claudio Ranieri, allenatore della Roma nell' anno del triplete, furono scintille, ma Mou gli ha poi reso onore quando, dopo aver portato in Inghilterra il Leicester a vincere il suo primo, storico campionato, Ranieri è stato esonerato: «Avrebbero dovuto intitolargli lo stadio, ma questo è il calcio».
Cavaliere ma pur sempre realista, Mou.
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