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    TI TAGGO E POI DIVORZIO - A NEW YORK DIVENTANO VALIDE LE RICHIESTE DI DIVORZIO INVIATE SULLA POSTA PRIVATA DI FACEBOOK: “SE IL CONIUGE È INTROVABILE I DOCUMENTI POSSONO ESSERE RECAPITATI COSÌ”


     
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    Leonard Berberi per il “Corriere della Sera”

     

    E ora il ciclo della vita su Facebook può dirsi completo. Perché dopo la nascita e gli amori adolescenziali, le grandi cerimonie e i fidanzamenti, i matrimoni e i tradimenti, fino ai decessi, tocca alle richieste di divorzio. Diventate valide — pure quelle inviate sulla posta privata del social network — dal 27 marzo scorso. Almeno a New York. Dove Matthew Cooper, giudice della Corte suprema di Manhattan, ha stabilito che se il coniuge diventa introvabile si può usare Facebook per dargli i documenti per la fine del matrimonio.

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    Il magistrato lo fa basandosi su due ragionamenti che sottolinea in fondo alla sentenza. Il primo: «L’ultima volta che è stata modificata la norma sulla notifica degli atti giudiziari risale al 1994, all’alba di Internet e quando le e-mail non erano utilizzate così tanto». Insomma: quella disposizione è vecchia. Il secondo: «Facebook dice che ogni giorno ci sono 157 milioni di americani che accedono al profilo». E allora è probabile che tra questi ci sia anche la persona da raggiungere.

     

    «I nostri account saranno invasi dalle pubblicità degli avvocati divorzisti?», ironizzavano in molti dopo aver letto la notizia sul New York Daily News . Di certo la decisione può fare giurisprudenza negli Usa. Riguarda, nello specifico, Ellanora Baidoo e suo marito — ormai ex — Victor Sena Blood-Dzraku. I due, entrambi ghanesi, si sono sposati con rito civile nel 2009 e si erano promessi di celebrare le nozze secondo le tradizioni del Ghana.

     

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    «Ma poi l’uomo ha cambiato idea — racconta l’avvocato della donna — quindi Ellanora ha deciso di lasciarlo». Per mesi è stato impossibile far avere i documenti per la separazione a Victor Sena. Non ci è riuscito nemmeno un investigatore privato. Da qui la richiesta di utilizzare Facebook — dove l’uomo risultava attivo — per inviargli il materiale. Richiesta accettata dal giudice Cooper. «In questo caso l’uso di Facebook, anche se nuovo e non tradizionale, è quello che si avvicina di più agli standard costituzionali per questo tipo di procedimenti», scrive Cooper. Che però precisa: «La consegna di persona resta quella da privilegiare».

     

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    «Da noi sarebbe un sistema di notifica impossibile», spiega Livia Tomassini, avvocato di Milano ed esperta di Diritto di famiglia. «Per come è strutturato il processo in Italia non è pensabile spedire l’atto via Facebook. Esistono altre forme, previste in modo esplicito dal Codice di procedura civile». «Il nostro sistema è rigido, negli Usa vale il principio per cui è buona qualunque forma di comunicazione che dia la certezza sul raggiungimento del risultato», chiarisce l’avvocato Carlo Rimini, professore all’Università Statale di Milano.

     

    Facebook, quindi, «sembra garantire il risultato, visto che c’è pure una notifica quando uno legge il messaggio». «C’è anche un problema di privacy — analizza Tomassini —: come faccio a sapere che l’atto l’abbia letto solo l’interessato?».

     

    Enrico Al Mureden, professore all’Università di Bologna e membro del Comitato scientifico della rivista Famiglia e diritto, parla di «decisione stravagante». Però , aggiunge, «ricordiamoci che vent’anni fa ci sembrava stravagante anche l’idea di mandare atti giudiziari attraverso la posta elettronica certificata, cosa che oggi si fa tutti i giorni».

     

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    Secondo Al Mureden la sentenza ha un merito: «Trova una soluzione originale nei casi in cui la persona non si rintraccia o non si vuole far viva. Facebook diventa una forma nuova di reperibilità». In prospettiva, quindi, «un giorno anche il nostro legislatore potrebbe essere portato a tenerne conto». Perché il diritto evolve.

     

    «Ma almeno in Italia scordiamoci di usare i social network per questioni legali — sostiene Carlo Rimini —. Facebook e Twitter sono delle ottime piattaforme per comunicare e passare il tempo, non certo per mandare richieste di divorzio». Detto questo, secondo l’avvocato «non possiamo nascondere che, parlando di efficacia, certi social network siano meglio di altri canali, soprattutto se l’atto bisogna inviarlo a qualcuno che si trova in un atollo del Pacifico». Prepariamoci, insomma, anche ai divorzi via WhatsApp.

     

     

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