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    “I NUMERI SONO SOTTOSTIMATI, QUESTA NORMALIZZAZIONE NON STA IN PIEDI” – A “OGGI” MASSIMO GALLI PROVA A METTERE IN GUARDIA DA FACILI ENTUSIASMI SULLA FINE DELLA PANDEMIA: “CONTIAMO I CASI PER DIFETTO. IL LONG COVID? SONO QUATTRO MESI CHE NON STO BENE. MI RITROVO MOLLE COME UN FICO ALLE 4 DEL POMERIGGIO. MI COMPORTO COME SE NON SENTISSI QUESTA STANCHEZZA, MA C’È” – POI DIMENTICA I MALANNI E PARLA DA LATIN LOVER: “NON SONO MAI STATO UNO STINCO DI SANTO, MI SONO CALMATO CON L’ETÀ…”


     
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    Anticipazione da "Oggi"

     

    «Quando sento dire che ora tutto va bene dico che non è così. Questa normalizzazione non sta in piedi, numeri alla mano: se analizziamo quelli della Johns Hopkins University, che paragonano i nostri a quelli di altri Paesi europei, non possiamo che concludere che contiamo i casi in modo approssimativo, per difetto».

     

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    In un’intervista al settimanale OGGI, in edicola da domani, il professor Massimo Galli, fino a pochi mesi fa direttore del reparto di Infettivologia dell’Ospedale Sacco di Milano, prova a mettere in guardia da facili entusiasmi sulla fine della pandemia. Lui, che a Capodanno scorso ha contratto il Covid («Non è stata una passeggiata ma non fossi stato trivaccinato sarei stato molto peggio») ma anche dopo la guarigione ha accusato i sintomi del Long Covid: «Mi piaccia o no, devo ammettere che sono quattro mesi che non sto bene. Mi ritrovo molle come un fico alle 4 del pomeriggio. Mi comporto come se non la sentissi, questa stanchezza, ma c’è».

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    E, accennando anche al libro appena scritto a quattro mani con Lorella Bertoglio (Gallipedia, Vallecchi) accetta di raccontare a OGGI qualcosa di sé. Per esempio, del suo rapporto con le donne: «Diciamo che non sono mai stato uno stinco di santo, mi sono calmato con l’età. Sarò anche stato un medico nerd sempre al lavoro, con la passione per la storia, ma la mia parte l’ho fatta direi gioiosamente... La mia arma con le donne non era l’ostensione muscolare ma la chiacchiera, le stendevo con le parole».

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    Descrive sua moglie Tiziana, detta La Colonnella, «L’amore maturo», ma racconta di averne coltivati di infelici: «Molte storie sapevo non avrebbero potuto avere alcun tipo di futuro, ma in cui la componente razionale non riusciva proprio ad avere la meglio su quella irrazionale. Mia mamma se ne accorgeva, perché erano le uniche circostanze in cui perdevo l’appetito».

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