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    LA MOZIONE DI CUI NON SI SENTIVA IL BISOGNO – A PADOVA DUE CONSIGLIERI DI CENTROSINISTRA VOGLIONO RISCRIVERE LA STORIA E CHIEDONO DI AGGIUNGERE, SU UNO DEI DUE BASAMENTI VUOTI, UNA STATUA DI UNA DONNA ALLE 78 FIGURE MASCHILI – LA SOLITA OPERAZIONE PARACULA CHE VA A MODIFICARE IL PASSATO VISTO CHE GLI SPAZI VACANTI HANNO UNA STORIA: UN TEMPO OCCUPATI DALLE STATUE DI DUE DOGI, VENNERO ABBATTUTE DA…


     
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    Laura Berlinghieri per "la Stampa"

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    Ci sono Tasso, Mantegna, Ariosto, Petrarca, Galilei, Tito Livio, Canova. Settantotto statue, settantotto uomini. Si presenta così Prato della Valle, la più grande piazza di Padova. Immutabile, da secoli. In un'indifferenza che in realtà è abitudine: quella di essere circondati da sole figure maschili, simboli maschili, rappresentazioni maschili. È così per le statue: in tutta Italia, l'associazione «Mi riconosci?» è riuscita a censirne soltanto 148 che raffigurano donne.

     

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    Ed è così anche per i nomi delle strade e delle piazze: soltanto l'8% è dedicato a figure femminili. Ora c'è una nuova consapevolezza che si affaccia. E a Padova i due consiglieri di centrosinistra Margherita Colonnello e Simone Pillitteri hanno presentato una mozione in Consiglio comunale, chiedendo che su uno dei due basamenti vuoti presenti in Prato della Valle sia collocata una statua che raffiguri Elena Lucrezia Cornaro Piscopia, prima donna laureata al mondo: era il 1678, l'Università quella di Padova, il corso quello di Filosofia.

     

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    Già omaggiata con una statua al palazzo del Bo, sede storica dell'ateneo e, oggi, della facoltà di Giurisprudenza, la si vorrebbe collocare anche in uno dei luoghi simbolo della città. Una richiesta che va oltre il nome, in piena sintonia con l'attualità. La proposta è tanto semplice quanto dirompente. Per questo ha acceso il dibattito in città, tra chi considera la mozione un atto di una doverosa battaglia di civiltà e chi, invece, teme l'affacciarsi della cosiddetta «cancel culture», che preferisce eliminare la Storia con un colpo di spugna, piuttosto che analizzare il passato per ridisegnare il futuro in maniera più giusta.

     

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    Intanto, la richiesta ha già ricevuto il benestare del soprintendente Fabrizio Magani. Intervistato dal Mattino di Padova, ha appoggiato l'istanza dei due consiglieri: «Affidare a uno scultore padovano la realizzazione di un'opera dedicata a una donna il cui operato merita un riconoscimento e inserirla nel pantheon delle glorie venete contribuirebbe a dotare la città di un nuovo modello di ispirazione e sarebbe coerente con la ragione per cui anche le altre statue si trovano lì».

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    Curiosa e innovativa anche la sua indicazione sulla figura da preferire: «Suggerirei di non retrocedere troppo nel passato, ma di celebrare piuttosto un personaggio femminile recente: una ricercatrice, un medico, una giornalista o una scrittrice e di fare in modo che tutti possano contribuire al progetto». Una richiesta di rendere partecipe la cittadinanza - nella discussione sull'opportunità e nella scelta - che è stata accolta in maniera immediata e spontanea, dato che da giorni a Padova non si parla quasi d'altro.

     

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    La necessità di coinvolgere le donne anche nella toponomastica delle città, nel simbolismo e nelle raffigurazioni è bagaglio acquisito, battaglia che si considera già vinta. È l'adattamento dell'estetica alla vita che, soltanto a Padova, per fare un esempio, vede in Daniela Mapelli la rettrice dell'Università o nell'immunologa Antonella Viola una delle voci più autorevoli in questi quasi due anni di narrazione della pandemia. Ma il coro dei «No» alla proposta dei consiglieri di centrosinistra è deciso. Chi vi appartiene contesta il tentativo e il desiderio di rivedere il passato, riadattandolo alla sensibilità dell'oggi. Un tema delicato.

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    Per questo, a fronte del sostegno del soprintendente, si registra il rifiuto deciso di docenti universitari e politici, oltre che di cittadini. Anche perché i due basamenti vuoti sono in realtà essi stessi parte integrante del monumento storico Prato della Valle. Un tempo occupati dalle statue di due dogi, queste vennero abbattute dalle truppe napoleoniche, come segnale forte e concreto della morte della Repubblica Serenissima.

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    È la storia di Padova, ma in realtà è esempio che può essere preso e trasferito tale e quale - cambiando giusto nomi e coordinate geografiche - in quasi tutte le città italiane. Se pensiamo che nell'intera penisola si contano appena 148 statue di donne, mentre soltanto in Prato della Valle quelle maschili sono 78, è facile comprendere la portata del fenomeno. Il dibattito è servito.

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