World building. Gaming and Art in the digital age
WORLDBUILDING: GAMING AND ART IN THE DIGITAL AGE
Curata da Hans Ulrich Obrist per celebrare il quindicesimo anniversario della Julia Stoschek Collection, questa mostra collettiva esamina il rapporto tra il gioco e la media art con un viaggio attraverso i vari modi in cui gli artisti hanno interagito con i videogiochi e li hanno trasformati in una forma d'arte.
Hans Ulrich Obrist: “Nel 2021 2,8 miliardi di persone, quasi un terzo della popolazione mondiale, hanno giocato ai videogiochi, trasformando un passatempo di nicchia nel più grande fenomeno di massa del nostro tempo. Molte persone trascorrono ore ogni giorno in un mondo parallelo e vivono una moltitudine di vite diverse. I videogiochi sono per il ventunesimo secolo ciò che i film sono stati per il ventesimo secolo e i romanzi per il diciannovesimo secolo’’.
World building. Gaming and Art in the digital age
L'estetica dei giochi è entrata nella pratica artistica decenni fa, quando gli artisti hanno iniziato a integrare, modificare e sovvertire il linguaggio visivo dei videogiochi per affrontare i problemi della nostra esistenza all'interno dei mondi virtuali. Alcuni artisti hanno anche portato alla luce una critica del gioco dall'interno del sistema stesso, evidenziando aspetti discriminatori e stereotipati delle logiche commerciali e di gioco.
obrist
Più di recente, gli artisti hanno iniziato a sfruttare il potere mainstream dei giochi per comunicare nuove forme di coinvolgimento che raggiungono il vasto pubblico di questa industria globale senza confini. Dalle opere video monocanale agli ambienti site-specific, immersivi e interattivi, Worldbuilding comprende oltre trenta opere d'arte dalla metà degli anni '90 ad oggi.
Artisti presenti nella mostra: Rahel Aima, Kathrin Beßen & Agnieszka Skolimowska, Giampaolo Bianconi, Sasha Bonét, Irene Bretscher, Sophie Cavoulacos, Tamar Clarke-Brown, Mike Connor, Raphaëlle Cormier, Travis Diehl, Rebecca Edwards, Marion Eisele, Mary Flanagan, Richard Grayson, Tamara Hart, Kathrin Jentjens, Rindon Johnson, Adèle Koechlin, Aude Launay, Malte Lin-Kröger, Toke Lykkeberg, Aïcha Mehrez, Anika Meier, Christiane Paul, Anna-Alexandra Pfau, Sarah Rifky, Tina Rivers Ryan, Elisa Schaar, Elena Vogman, Joni Zhu.
Centre Pompidou di Parigi : 4 giugno, 12:00–18:00
LA NUOVA ARTE TRA NATURA E VIDEOGAME
Dario Pappalardo per “la Repubblica” - Estratto
World building. Gaming and Art in the digital age
Ha iniziato a viaggiare in cerca di artisti a 17 anni; a 23 curava la prima mostra nella sua cucina e da allora lo svizzero Hans Ulrich Obrist (classe 1968) non si è più fermato. Sono più di 4000 le ore di interviste da lui registrate con i grandi del contemporaneo (l’archivio è al Lumadi Arles); le sue maratone sono leggendarie.
Nel frattempo, è diventato direttore artistico della Serpentine Gallery di Londra e ha firmato decine di progetti, cataloghi e libri. L’ultimo in uscita in Italia ha un titolo diretto: A che cosa serve l’arte (con Gianluigi Recuperati, Marsilio) ed è una sintesi dell’Obrist-pensiero. J.G.
World building. Gaming and Art in the digital age
Ballard gli disse una volta: «Tu sei uno che fa giunture, sei un junction maker ». «Una definizione perfetta per me», risponde lui, che, da una mostra all’altra, come curatore o visitatore, non si ferma mai.
Obrist, quali sono le mostre necessarie oggi?
Lual Mayen
«Penso al video di Steve McQueen, il regista di “12 anni schiavo”, sulla Grenfell Tower in mostra alla Serpentine, fino a 10 giorni fa. C’era solo lo schermo con le immagini riprese dall’alto del grattacielo londinese distrutto dall’incendio nel 2017: 72 morti. Sono 24minuti senza commento. Nella galleria buia non c’era nient’altro. Una mostra serve a questo: a salvare la memoria. A quella tragedia non è stata ancora resa giustizia. Steve ha conosciuto ogni singolo membro di quella comunità, i sopravvissuti e le famiglie. Ha invitato i parlamentari e i politici britannici all’inaugurazione, ma sono venuti in pochissimi».
Hans Ulrich Obrist
Salvare la memoria è anche la missione di tanta arte di oggi: dare spazio alle minoranze e alle culture finora sottorappresentate.
«Da adolescente, Alighiero Boetti mi ha introdotto allo scrittore francese di origine caraibica Édouard Glissant, che è diventato il mio mentore. Glissant mi ha fatto capire quanto sia importante mettere in connessione le diverse culture in modo costruttivo. La sua idea di mondialità combatte la globalizzazione che tende a omogeneizzare tutto. Gli artisti non devono essere ridotti a categorie: sono complessi come il loro lavoro. La poetessa libanese Etel Adnan diceva che l’identità può essere una prigione.
Steve McQueen, Grenfell Tower
Dobbiamo imparare a essere locali senza diventare localistici: le radici non devono opprimerci, né risultare oppressive per gli altri. Glissant ha predetto anche le nuove forme di nazionalismo e intolleranza. Abbiamo bisogno di un futuro insieme, non di isolamento. Per questo mi piace connettere nelle mostre artiste e artisti di diversa generazione e provenienza».
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Sin da giovane è partito alla scoperta di nuovi artisti. Ma oggi dove sono le novità?
World building. Gaming and Art in the digital age
«C’è una molteplicità di centri, non sono più gli anni delle avanguardie newyorchesi. Qualche settimana fa sono tornato in Grecia, dove si sta affacciando una nuova generazione di creativi e collezionisti molto interessante. Ma oggi le vere novità arrivano dall’incrocio tra il mondo dell’arte e quello dei videogiochi, dove si incontrano più mezzi: musica, scultura, architettura.
World building. Gaming and Art in the digital age
Tanti giovani artisti nel mondo stanno adottando questo medium con risultati eccezionali, penso al francese Neïl Beloufa o al sudanese Lual Mayen, per esempio. Gli artisti così creano nuovi mondi. Non possiamo predire il futuro, ma seguire i vari sentieri e connetterli. Il mese prossimo il Centre Pompidou Metz ospiterà la mostra World building. Gaming and Art in the digital age che vuole raccontare proprio questo».
World building. Gaming and Art in the digital age
Come devono cambiare i musei?
«La Serpentine, dove lavoro, è una Kunsthalle che non ha una collezione sua. Penso ai cambiamenti che possiamo fare noi. Dobbiamo realizzare più mostre che coniughino l’arte e la tecnologia.
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E poi un museo deve essere inclusivo e contribuire al cambiamento della società. Arthur Jafa mi ha detto: “Io voglio andare a mostrare la mia arte in altri quartieri, non solo a Kensington”. I musei non devono avere muri né porte».
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lual mayen
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neil beloufa neil beloufa lual mayen