Leandro Del Gaudio per “il Mattino”
antonio bastone
È stato uno di quelli che ha mantenuto la calma, rimanendo fermo nella propria cella, badando bene che nessuno del suo padiglione finisse coinvolto negli scontri. Poi, appena passata la furia, ha deciso di far sentire la propria voce: rivolgendo un ringraziamento agli agenti di polizia penitenziaria per il lavoro che stanno svolgendo, per la capacità di assicurare il controllo nelle celle, nonostante il periodo di particolare agitazione.
Una lettera aperta, quella di Antonio Bastone (presunto boss degli scissionisti di Secondigliano), consegnata al garante dei detenuti Pietro Ioia e spedita al quotidiano Roma, per dare una connotazione pubblica al suo gesto. Una strategia mediatica da non sottovalutare, quella del presunto killer della faida del 2012, recluso nel padiglione Avellino, l'unico rimasto impermeabile alla rivolta dei primi giorni di marzo nel carcere di Poggioreale.
Parliamo di una vicenda che non è passata inosservata alla Dda di Napoli, pronta a verificare quanto avvenuto nel carcere cittadino, a partire proprio dalla moral suasion di Antonio Bastone. Un episodio da non sottovalutare, secondo gli inquirenti napoletani, viste le particolari dinamiche che entrano in gioco nelle carceri italiane, quando l'esempio offerto da un detenuto influente rischia di risultare decisivo nella definizione di equilibri e di rapporti di forza, dentro e fuori le celle.
carcere poggioreale
GLI SCONTRI
Ma torniamo ai primi giorni di marzo. Poggioreale in rivolta, incubo contagio da coronavirus, stop ai colloqui con il mondo esterno. Un intero spaccato di rapporti - tra la realtà di fuori e quella interna - si interrompe bruscamente. Niente più abbracci con i propri cari, niente più conforto dalla vista di mogli e figli, niente più informazioni su processi e su quanto sta accadendo nei rispettivi quartieri. Ma non è solo questo a gettare nel panico decine di detenuti. Non c'è solo la paura per il rischio contagio ad alimentare ansia e a provocare momenti di violenza. No, c'è dell'altro.
antonio bastone
Da una settimana all'altra, centinaia di detenuti hanno dovuto rinunciare a possibili passaggi di mano, scambi di soldi, di cellulari e, soprattutto, di droga. Un dramma, un incubo, per chi in questi anni ha approfittato delle maglie larghe di una casa circondariale dove l'impegno della polizia penitenziaria (e di tutti gli operatori) è altissimo, titanico, proprio nell'impossibilità di controllare ogni momento di ogni colloquio di centinaia di detenuti al giorno. Ed è in questo scenario che scoppia la rivolta del sette marzo.
Ricordate la cronaca raccontata dai media venti giorni fa? Da nord a sud, una sorta di guerriglia, culminata poi nell'evasione di alcuni detenuti in Puglia e nella morte di altri reclusi, specie nelle carceri del nord. Vittime delle razzie dei reparti di infermeria, del metadone rubato nel pieno dell'agitazione. Anche a Napoli c'è stato qualcosa di simile. Anche a Napoli, al di là della comprensibile paura di tanti detenuti, qualcuno puntava al metadone. E non è un caso che la Procura di Giovanni Melillo (per altro pronto a mediare in prima persona a Poggioreale, nei momenti più aspri della rivolta) ha aperto un fascicolo su scontri e danneggiamenti.
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Una vicenda in cui non passa inosservata la storia della lettera di Bastone. Indicato dai pm Maurizio De Marco e Vincenza Marra come un killer degli scissionisti, il presunto boss potrebbe aver sfruttato il momento di confusione per ribadire un paio di concetti: nel mio padiglione niente rivolta; basta colpi di testa qui a Poggioreale, dove bisogna avere rispetto per gli agenti di polizia penitenziaria. Un invito alla calma, ma anche un modo per accreditarsi come garante della pax sociale in una delle strutture penitenziarie più affollate d'Italia.
Una riflessione espressa al Mattino la scorsa settimana dal sostituto procuratore generale Catello Maresca, a proposito degli scontri a Poggioreale, che ha parlato di un possibile messaggio mafioso dietro la lettera aperta di Bastone. Da un lato, il boss si è dissociato, rivendicando che nel padiglione Avellino nessuno ha mosso un dito negli scontri; dall'altro ha espresso solidarietà verso la polizia penitenziaria. Tutti fermi, dunque, in una trama tutta da esplorare, anche nei giorni del dramma della pandemia.
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