Estratto dell’articolo di Micol Sarfatti per il “Corriere della Sera”
STEFANIA ANDREOLI
Dottoressa Andreoli, lei lavora molto con i giovani adulti. Esiste un problema di svincolo nei rapporti sentimentali nella generazione di Giulia Cecchettin e Filippo Turetta, soprattutto quando sono le ragazze a voler cambiare vita?
«[…] la spinta al cambiamento e al compimento del progetto di vita è spesso più femminile. Le giovani sono più predisposte a ripartire dando il via a nuovi capitoli della loro storia. Non sono ostacolate dalla mancanza di coraggio bensì dal timore di non essere prese sul serio, di lasciare dietro di sé le macerie dell’Altro. Mi dicono: “Non sono più sicura che sia la persona giusta, ma non sopporterei l’idea di farlo soffrire”».
giulia cecchettin e filippo turetta 1
Perché un giovane adulto, come Filippo Turetta, non è riuscito ad affrontare la perdita della fidanzata?
«[…] l’incapacità a sopportare la perdita riguarda anche persone più adulte. Non riuscire a reggere l’assenza è fisiologico solo durante l’infanzia: un bambino ha il diritto di disperarsi se privato dell’Altro, non un adulto. Non è questione di età, ma di genere. Il problema non è la perdita in sé, bensì l’incapacità di soffrirne. La mancanza di strumenti al maschile per piangere, trovare parole per il dolore, diventa rancore, rabbia e violenza».
Elena, la sorella di Giulia Cecchettin, ha parlato con lucidità di patriarcato e violenza. Come è possibile che la consapevolezza su questi temi non sia bastata ad affrontare il rischio?
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«[…] dobbiamo, tutti, operare la doverosa distinzione tra istruzione ed educazione, tra conoscenze e cultura. […] eppure non è sufficiente per fare prevenzione se lo sforzo del singolo si perde come una goccia nel mare di chi, a proposito di violenza di genere, indulge nel sarcasmo, nella superficialità, nella minimizzazione di chi fa vittimizzazione secondaria. Quello che so può non bastare, se quello che sento non mi sostiene, non costruisce insieme a me una civiltà del rispetto, ma insinua che siamo esagerate».
giulia cecchettin e filippo turetta 2
[…] L’educazione sentimentale nelle scuole sarebbe efficace? Come e quando andrebbe iniziata?
«Nel resto d’Europa, ad esempio in Francia, l’educazione all’affettività si fa dalla scuola dell’infanzia. L’amore e il non amore sono esperienze precocissime, non si può arrivare in ritardo. In Italia abbiamo il pudore perverso di temere che parlare delle cose le faccia succedere. È il contrario: pensarsi, nominare e riconoscere le emozioni, discutere le cause della violenza di genere concorrono a prevenirla. […]» .