KLAUS DAVI
Felice Manti per "il Giornale"
La figlia di un mafioso chiama la polizia per cacciare un giornalista dalla messa nel Duomo della città, dove si commemora un sanguinario boss con mille morti sulla coscienza. E ci riesce. La 'ndrangheta ha vinto e la Chiesa e lo Stato hanno perso. Ma questo nella neghittosa Reggio Calabria lo sanno tutti: la città annega nella spazzatura, è circondata dagli incendi e sul Comune incombe lo spettro dei brogli elettorali, eppure nessuno tra chi passeggia sul Corso Garibaldi o tra i dehor della Via Marina sembra curarsene.
klaus davi
Il poeta reggino Nicola Giunta parlava di «erba pirduta: senza mâ provi, 'a ggiùrichi â viruta», che è andata a male si vede a occhio. L'altro giorno era il trigesimo del boss Giovanni Tegano, morto in carcere a Milano con un curriculum criminale spaventoso. Quando fu arrestato nel 2010 qualcuno gridò fuori dalla Questura «è un uomo di pace», perché sapeva che quell'arresto avrebbe potuto spezzare degli equilibri. E far scattare una guerra, come quella tra l'85 e il '91, quando un giorno sì e un giorno pure si moriva ammazzati per strada, a colpi di missile anticarro o crivellati di colpi in un letto d'ospedale. Ma il sangue non scorre più, a Reggio Calabria.
SCRITTA CONTRO KLAUS DAVI
Non sono gli anni feroci raccontati nel libro Il Supremo di Andrea Galli e Giuseppe Lumia sull'ex capo dei capi Pasquale Condello, rivale di Tegano. A Reggio se dai fastidio sparisci nel nulla come Paolo Schimizzi, figlio di una sorella di Giovanni Tegano. È scomparso nel 2008, avrebbe un po' alzato la testa, e da quelle parti non si fa. Klaus Davi è un giornalista svizzero che si occupa di 'ndrangheta, dice verità scomode a modo suo, citofona a casa dei boss, ne racconta le meschine debolezze, incrinando la virilità di maschere forgiate nel piombo che sembrano inscalfibili.
GIOVANNI TEGANO
A Gallico, quartiere periferico, c'è una scritta profetica, «Klaus Davi uomo di pace», come il boss Tegano. Quando ha visto il manifesto del trigesimo di Condello stampato su un muro scrostato Davi si è infilato nel Duomo, costringendo i parenti a chiamare la polizia. Certo, anche autorizzare la messa vanifica gli sforzi della Chiesa reggina, che da tempo ha preso le distanze dai boss.
Da cent' anni e passa la massonica ritualità dei riti di iniziazione 'ndranghetisti e dei «circoli formati» mescola il sangue dei boss all'effigie dei santini bruciati. Ma c'è ancora qualcosa che non va se il parroco di Polsi - l'enclave di 'ndrangheta che ospita il santuario e storici meeting criminali - è stato condannato a 9 anni e 4 mesi. Qualche sprovveduto agente della Digos mandato al massacro alla fine l'ha cacciato «perché disturbava», calpestando Costituzione e Concordato e sublimando il potere dei boss. Davi sorride amaro: «Chi l'ha autorizzata la messa? Il problema ero io?».
GIOVANNI TEGANO GIOVANNI TEGANO