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    CARI TURISTI, E CARI ROMANI, ANDATE ALTROVE, SE POTETE - E’ IL NATALE DELLA DECRESCITA INFELICE A ROMA: NON BASTAVA L’ALBERELLO POVERELLO IN PIAZZA VENEZIA, IL SITO DEL COMUNE PROMUOVE LE VACANZE DI CAPODANNO IN ALTRE CAPITALI - INTANTO NESSUNO SI FA AVANTI PER ORGANIZZARE IL VEGLIONE DI SAN SILVESTRO NELLA CAPITALE (IL BANDO SCADE GIOVEDI’)


     
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    Simone Canettieri per www.ilmessaggero.it

    Il Capodanno a Roma è a rischio perché nessuno si è fatto ancora avanti (e il bando scade giovedì)? L'Albero di Natale piazzato dal Campidoglio a piazza Venezia non è proprio il massimo della gioia? No, problem. Il portale di Roma Capitale promuove sulle pagine istituzionali, alla voce turismo, altre destinazioni in giro per l'Europa.

     

    Cari turisti, andate altrove, e anche voi romani, se potete. Da Parigi a Barcellona, passando per Amsterdam, Lisbona e via discorrendo. Offerte per tutti i tipi e tutte le tasche che però non stanno andando giù a tanti utenti del sito del Comune, in attesa che la giunta Raggi alzi il velo sul veglione.  

     

    Attaccano Roberto Giachetti e Luciano Nobili del Pd: «Il sito del Comune di Roma invita a passare il Capodanno fuori città. A Virginia Raggi non interessano i turisti?»

     

     

    2. “BRUTTO E MALINCONICO” ROMA PERDE LA DISFIDA DEGLI ALBERI DI NATALE

    Vittorio Zucconi per la Repubblica

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    Inutilmente alto nel cuore della capitale d’Italia, illuminato da radi e funerei filamenti, l’albero del Natale di Roma 2016 sta come un malinconico e insieme ridicolo monumento al culto della decrescita caro alla nuova amministrazione comunale. Non importa che sia bello o brutto, ma quello che racconta nel suo disadorno pauperismo e in una solitudine che i turisti di passaggio a Piazza Venezia neppure notano.

     

    È l’albero della decrescita infelice, che sarebbe volentieri rimasto a vivere nella trentina Val Rendena dal quale è stato segato e che non tenta neppure di competere con i compagni di sventura eretti in Piazza di Spagna dalla Maison Valentino o in Piazza San Pietro dal Vaticano. Nobili abeti segati anche loro, ma almeno sacrificati in un ultimo sfavillio di gloria.

     

    È un non albero. Un totem dell’assenza, dunque esemplare della Roma di oggi, promemoria dei giorni indimenticati e cupi della irrisa “sobrietà” e dell’austerity. È più un’espiazione penitenziale, uno scusarsi di esistere, che un festoso richiamo per attirare e rallegrare quel turismo nazionale e straniero del quale Roma avrebbe disperatamente bisogno per tappare le buche nelle strade e le voragini nel bilancio lasciate dalle amministrazioni che hanno preceduto la sindaca Raggi.

     

    Nel terrore ideologico e superstizioso della collaborazione coi privati infetti, magari con quegli sponsor impuri come banche o aziende che hanno pagato per splendidi, eleganti, vistosi, a volte strakitsch alberi natalizi in città come Milano, Napoli, Salerno, Bologna e anche nella Torino della più pragmatica sindaca Appendino, l’albero a cui tendevi e a cui nessuno tende, è comunque costato ai contribuenti romani 15 mila euro, secondo il comunicato ufficiale della Giunta. Soldi spesi per il trasporto straordinario dal Trentino, per l’installazione, le gru e gli avari addobbi.

     

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    Con il solo risparmio della bolletta elettrica, assorbita dalla partecipata Acea. Bolletta che, vista la miseria luminosa accesa l’8 dicembre, non risulterà salatissima. Naturalmente nessuno impone mai a nessun governo e a nessuna amministrazione comunale al mondo di erigere un abete natalizio a nome e per conto dell’affranta cittadinanza e di spendere anche un solo euro di danaro pubblico per ricordare a residenti e visitatori quello che già sanno, che alla fine di dicembre ricorre il Natale dei cristiani, esponendosi agli umilianti confronti che crudelmente prima i social network in Rete e poi i media hanno mostrato.

     

    Non è obbligatorio, ad esempio, per New York far cadere a ogni mezzanotte del 31 dicembre una colossale sfera a Times Square che richiamerà un milione di intirizziti spettatori, fra i quali migliaia e migliaia di turisti paganti.

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    Ma anche la gestione che ha preceduto la Giunta Raggi, guidata da un commissario governativo, e ancor di più quella di Ignazio Marino, pur già invitato da avversari e amici a dimettersi, avevano saputo far meglio. In base al principio che se fai qualche cosa, tanto vale cercare di farla bella, soprattutto in una città non marginale come Roma. E una capitale, una meta del turismo internazionale, una metropoli di quattro milioni di persone dovrebbe presentare al mondo un volto meno smunto.

     

    A difesa di quel povero albero impigliato nelle ragnatele, va riconosciuta la dote della sincerità, di non essersi imbellettato e truccato per rappresentare una festosità che non c’è per nascondere le ferite sul volto di Roma.

     

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    Rimane così, agli automobilisti che sobbalzano sugli sconnessi sanpietrini e fanno slalom di pietra fra gli avvallamenti di Piazza Venezia girando attorno alla rotonda dell’albero della decrescita protetto da piantine invasate alla base, lo struggimento affettuoso per una persona cara deperita e illanguidita, per una meravigliosa città sconciata da troppi ladri, incapaci, scappati da casa, amici degli amici, parenti, furbetti, inetti, residuati, mafie e ora spoglia e pendula come il povero asparago gigante di 20 metri arrivato nel luogo sbagliato nel momento sbagliato.

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    Lo spettro dickensiano di natali passati che getta in questa Roma 2016 l’ombra desolante della mediocrità e della nuova austerity, imprigionata dalla paura di fare e di sbagliare.

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