Valeria Arnaldi per il Messaggero
mostra cabin crew fashion in the air
Oleg Cassini e Valentino per Trans World Airlines. Emilio Pucci per Braniff. Dior, Balenciaga, Lacroix per Air France. Pierre Balmain per Singapore Airlines. Mary Quant per Court Line Aviation. Yves Saint Laurent per Qantas. Vivienne Westwood per Virgin Atlantic.
Senza dimenticare ovviamente Alitalia, che dagli anni Cinquanta a oggi ha visto le sue divise firmate, tra gli altri, da Sorelle Fontana, Mila Schön, Renato Balestra, Giorgio Armani, fino ad arrivare a quelle attuali disegnate da Ettore Bilotta.
Sono alcuni dei grandi nomi della moda internazionale a sfilare nella storia delle uniformi per le compagnie aeree, a cominciare da quelle per le hostess, belle ed eleganti per definizione e mestiere.
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Allo stile tra i cieli è dedicata la mostra Cabin Crew. Fashion in the Air che, fino al 4 febbraio al Kunsthal di Rotterdam, espone una selezione di divise femminili dalla collezione dell'olandese Cliff Muskiet, composta da più di 1400 completi di 523 compagnie.
A essere illustrate sono visioni differenti per stilista, momento storico, mutamenti sociali, tendenze e perfino canoni di femminilità. Sì, perché alle hostess si chiedeva di incarnare l'ideale della donna perfetta: sempre sorridente, rassicurante, gentile, a suo modo materna, elegante, non di rado sensuale, capace di rinnovarsi continuamente.
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E al design che le veste dunque si impone di valorizzare tutto ciò, tra suggestioni di tessuto, linee, motivi e colori, che si fanno messaggio della compagnia al pubblico.
Grande attenzione nell'iter espositivo è dedicata agli anni Sessanta e Settanta. Si va dal tailleur azzurro di Pan Am, che ha reso le hostess della compagnia iconiche tanto da ispirare una serie tv, alla gonna morbida di Pacific Southwest Airlines e a quella, più corta e stretta, volutamente sexy, di Delta.
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A sottolineare il gioco di seduzione delle uniformi è Emilio Pucci che firma il cosiddetto Air Strip, prevedendo vari cambi di abito durante il volo per stupire i passeggeri mostrando più stili di bellezza incarnati dalla medesima figura.
Un ritmo da sfilata, appunto. E, per contrastare pioggia e umidità e assicurare acconciature sempre perfette, alle divise Pucci aggiunge un casco trasparente, a bolla, da indossare nei percorsi tra terminal e aereo che conferisce suggestioni spaziali al vestiario ma viene eliminato poco dopo la sua introduzione perché eccessivamente ingombrante. Se è vero che gli anni '60 e '70 sono quelli che più hanno sollecitato la fantasia degli stilisti, la storia della moda in volo inizia molto prima.
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L'hostess fa il suo debutto a bordo poco meno di novant'anni fa, il 15 maggio 1930. Il volo va da Oakland a Chicago su un Boeing di United Airlines. Ellen Church, pilota, non accettata come tale perché il lavoro era ritenuto maschile, essendo anche infermiera, viene assunta come assistente a bordo.
Suo il titolo di prima hostess della storia, non di primo assistente però. Già nel 1912 l'incarico era stato affidato a Heinrich Kubis per la tedesca Delag. L'uniforme della Church era semplice: doppiopetto, gonna oltre il ginocchio, mantella e basco. A
lei il compito di farsi promotrice del modello hostess. Incaricata di assumere altre figure nel suo ruolo, lasciò un'impronta, di fatto anche di stile, per decenni. Il tailleur, salvo rare eccezioni, fu irrinunciabile per anni.
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Lo scelgono le Sorelle Fontana negli anni 50 per Alitalia, lo conferma Delia Biagiotti nei '60, poi Armani, pur spezzandolo, nei Novanta. Nei Settanta fanno il loro ingresso nei guardaroba delle assistenti di volo minidress e tubini.
E Braniff gioca con microshorts. Southwest Airlines lancia il motto Sex sells seats, a ribadire la necessità di un vestiario seducente ad alta quota. Anche per vendere i biglietti. Le linee si fanno progressivamente essenziali, seguono il corpo e a seconda del decennio - e dei moralismi - sottolineano più o meno le curve.
Fino ad arrivare agli estremi di oggi, dagli abitini ritirati perché troppo corti dalla low cost giapponese Skymark agli spot con hostess coperte solo dal cappello di Chocotravel, in Kazakistan, che alle accuse di sessismo ha risposto lasciando solo il cappello pure agli stewart.
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TAILLEUR PAN AM
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