Guido Santevecchi per corriere.it
putin xi jinping
È stato Vladimir Putin a evocare il pantano dell’Ucraina e ammettere che i cinesi hanno espresso preoccupazioni, nel faccia a faccia di Samarcanda in Uzbekistan con Xi Jinping: il più drammatico e osservato dei loro 39 vertici in dieci anni di frequentazioni da leader supremi di Russia e Cina.
Si sono seduti intorno a un grande tavolo a ferro di cavallo, un po’ distanti e anche divisi da un’isola di fiori. Lo Zar ha salutato: «Caro compagno, caro amico»; Xi gli ha confermato la «felicità di incontrare un vecchio amico».
Putin gli ha reso omaggio: «La Russia apprezza l’equilibrio della Cina sull’Ucraina e comprende le sue domande e preoccupazioni sulla questione, sono qui per spiegare la nostra posizione», ha detto subito.
Nel primo, stringato resoconto cinese del colloquio, la guerra non è citata: si parla però di «sostegno reciproco sugli interessi fondamentali delle due nazioni». La maggior parte delle informazioni su quello che si sono detti i due presidenti viene dai russi, evidentemente ansiosi di propagandare la solidarietà della potente Cina. Ha detto ancora Putin: «Mosca appoggia la politica “Una Cina” (che promette la riunificazione di Taiwan, ndr); ci opponiamo alle provocazioni degli Stati Uniti e dei loro satelliti nello Stretto di Taiwan».
xi jinping vladimir putin a samarcanda
Infine la frase sulle preoccupazioni di Xi per la questione ucraina, la prima volta che il capo del Cremlino riconosce che ci sono differenze con l’amico cinese sulla valutazione della situazione creata dalla sua impresa militare (che peraltro Pechino non ha mai condannato e ha rifiutato di definire per quello che è stata, un’aggressione). Poi la proposta dello Zar: «Il tandem di politica internazionale Russia-Cina può assicurare un ordine mondiale giusto, equilibrato e multipolare». Risposta del segretario generale comunista, che vorrebbe guidare un riassetto globale: «La Cina è disposta a lavorare con la Russia per dimostrare le proprie responsabilità di grandi potenze e svolgere un ruolo di primo piano per iniettare stabilità ed energia positiva in un mondo percorso dal caos».
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Il vertice è il 39° tra i due e il primo dopo quello del 4 febbraio a Pechino, diventato famoso e famigerato per la promessa di «collaborazione senza limiti» proprio alla vigilia dell’invasione russa all’Ucraina .
Ancora ci si chiede quanto avesse rivelato Putin a Xi del suo piano bellico : forse gli aveva prospettato un attacco lampo di portata limitata; certo nessuno si aspettava che i russi si impantanassero in un conflitto di questa portata. Sta di fatto che in questi mesi Xi si è mosso con ambiguità strategica , resa più difficile da comprendere anche per la sua assenza dai vertici in presenza: ha rifiutato di definire l’impresa russa un’aggressione, ma non l’ha nemmeno elogiata apertamente, né sostenuta materialmente, per non rischiare che l’economia cinese venisse coinvolta nel gioco delle sanzioni proclamate dall’Occidente.
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La Cina ha sicuramente pagato un prezzo per il rallentamento dell’economia globale causato dallo choc della guerra. Il suo export-import con il mondo è calato per tutta l’estate (ad agosto -3,8% di export verso gli Usa e -7,3% di import). È cresciuto invece quello con la Russia: tra gennaio e agosto +31% a quota 117 miliardi di dollari; la Cina ha speso in Russia 72 miliardi di dollari: gran parte delle importazioni sono di gas e petrolio, a prezzi scontati. E a Mosca Gazprom ha appena annunciato che le forniture saranno regolate in yuan e rubli (Xi vagheggia da tempo la de-dollarizzazione).
Mosca dice che l’interscambio Russia-Cina toccherà il record di 170 miliardi di dollari quest’anno e entro il 2024 arriverà alla quota simbolica di 200 miliardi. Utile alle due economie, il patto sul gas, che comprende la costruzione di una nuova pipeline «Power of Siberia 2» di cui si parlerà ancora oggi, anche per dimostrare la relazione privilegiata tra i due Paesi.
Ma Putin fa la figura del piazzista al vertice di Samarcanda. Mentre Xi Jinping indossa l’uniforme di federatore di un nuovo ordine mondiale che fa perno sull’Asia.
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Oggi e domani a Samarcanda si svolge la riunione della «Shanghai cooperation organization» (Sco), che riunisce otto Paesi della regione asiatica: la Cina fondatrice e ispiratrice con la Russia, e poi India, Pakistan, Kazakhstan, Uzbekistan, Tajikistan e Kyrgyzstan. Nei quattro «stan» (come vengono indicati i Paesi dell’area) che facevano parte del defunto impero sovietico la Cina ha molto investito a partire dal 1991, quando crollò l’Urss. Nel 2013, proprio durante un viaggio tra Kazakhstan e Uzbekistan, Xi parlò per la prima volta al mondo del suo progetto di Nuove Vie della seta (diventato poi l’impresa globale Belt and Road Initiative, che ha promesso di muovere da 1.300 miliardi di dollari in 149 Paesi).
E ieri Xi, facendo tappa in Kazakhstan, ha detto che la Cina difenderà «in ogni circostanza indipendenza, sovranità e integrità territoriale» dello «stan» amico strategico. È una messa in guardia neanche troppo velata alle ambizioni di Putin: «Significa che Pechino non tollererà che la Russia si dedichi a un revival della sua antica egemonia nella regione euroasiatica», spiega Niva Yau, ricercatrice Osce per l’Asia.
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Un altro faccia a faccia importante è quello che si svolgerà tra Xi e il premier indiano Narendra Modi: i due Paesi hanno appena concordato di arretrare le loro truppe dal confine himalayano, dove due anni fa si combattè una battaglia a mani nude e colpi di pietra che lasciò decine di morti sulle pietraie ghiacciate. La Cina cerca di evitare che l’India si faccia troppo coinvolgere nella rete di alleanza tessuta da Joe Biden. Putin può solo osservare e applaudire le mosse del compagno cinese e compiacersi perché a Samarcanda sarà sancito l’ingresso nell’Organizzazione di Shanghai dell’Iran, altro Paese che crea problemi agli Stati Uniti. Utile a Mosca anche la presenza come osservatrice della Turchia di Erdogan.
Quanto alla «collaborazione senza limiti» promessa a febbraio dai cinesi, sembra che i limiti della programmazione prudente e di lungo periodo di Pechino siano evidenti. Mosca non può aspettarsi soccorso militare né grandi forniture di materiale bellico: per questo si è rivolta alla Nord Corea per acquistare milioni di proiettili e razzi d’artiglieria. Ma naturalmente c’è anche l’arma della retorica. E le ultime manovre cinesi lasciano pensare che Xi, ora che ha messo a posto ogni tessera per la partita interna del XX Congresso di ottobre, possa e voglia spendere qualche frase a favore del povero Vladimir Putin in difficoltà sui campi d’Ucraina.
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La settimana scorsa Li Zhanshu, numero 3 del Politburo di Pechino, è andato in Russia e ha detto che «la Cina comprende e sostiene la necessità di tutte le misure prese da Mosca per proteggere i suoi interessi nazionali quando Stati Uniti e Nato hanno cercato di chiuderla in un angolo alla sua porta di casa (evidentemente l’Ucraina, ndr); stiamo fornendo assistenza», ha concluso il compagno Li. Assistenza è parola vaga.
Il fatto è che «finora la Cina ha concesso sostegno politico e morale, ma si è ben guardata dal fornire mezzi militari o dall’aggirare le sanzioni economiche», conferma Amanda Hsiao, analista del Crisis Group, think tank di strategia basato a Bruxelles e spiega: «Questa linea riflette il gioco di equilibrismo tra interessi strategici ed economici della Cina, con i secondo che continueranno a guidare il posizionamento di Pechino in questa fase».
XI JINPING E VLADIMIR PUTIN