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    LE COLPE DEI FIGLI RICADONO SUI PADRI – A SIENA DUE GENITORI SONO STATI RICONOSCIUTI COLPEVOLI DI NON AVER EDUCATO IL FIGLIO CHE VIOLENTÒ UNA SUA COMPAGNA DI CLASSE A SCUOLA: IL GIUDICE HA RICONOSCIUTO UNA “CULPA IN EDUCANDO”, OSSIA NON AVER INSEGNATO AL RAGAZZINO IL RISPETTO DELLE PERSONE, MA L’USO DELLA VIOLENZA E DELLA PREVARICAZIONE – I DUE SONO STATI CONDANNATI A PAGARE 27MILA ALLA RAGAZZA STUPRATA CHE, ALL’EPOCA DEI FATTI, AVEVA 16 ANNI…


     
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    Estratto dell’articolo di Valentina Errante per “il Messaggero”

     

    VIOLENZA SESSUALE VIOLENZA SESSUALE

    Sono stati ritenuti responsabili dei danni morali e biologici provocati dal figlio, che nel marzo del 2015 ha violentato un compagna di classe, minorenne come lui. Dovranno pagare 27mila euro. Dopo la sentenza penale (non ancora definitiva) che, nel 2022, ha riconosciuto la responsabilità del ragazzo, i genitori sono stati citati in una causa civile per «culpa in educando», ossia per non avere insegnato al figlio i principi fondamentali di rispetto per le persone, ma al contrario l'uso della violenza e della prevaricazione messi in atto dal ragazzo.

     

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    La vittima aveva citato anche il liceo di Siena, dove si sono consumati i fatti per «culpa in vigilando», ma il Tribunale di Firenze non ha riconosciuto la responsabilità del ministero della Pubblica Istruzione. E su X il ministro Giuseppe Valditara adesso commenta: «Molto importante questa decisione giurisprudenziale che chiama i genitori a rispondere civilmente per violenze gravi commesse dai figli. Va nella stessa direzione della norma contenuta nel ddl sulla condotta che prevede multe per chi aggredisce gli insegnanti. La scuola e la società debbono sempre più fondarsi sulla responsabilità individuale».

     

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    Oggi la vittima degli abusi, allora sedicenne, è una giovane donna, dopo la scuola è riuscita a costruirsi una vita […]

     Erano entrambi studenti del secondo anno, quando la ragazzina era stata trascinata in un locale della scuola adibito a magazzino e violentata. Il giudice, prima di pronunciarsi, ha incaricato un consulente tecnico per stabilire se la donna di oggi abbia riportato una menomazione dell'integrità psico fisica soltanto temporanea o anche permanente.

     

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    E il consulente ha diagnosticato: «È possibile concludere - si legge nella sentenza - che a seguito e in dipendenza dei fatti accertati nella sentenza non definitiva, la signora, all'epoca dei fatti, aveva sviluppato, nell'immediato post-trauma un corteo di sintomi e comportamenti psicopatologici inquadrabili in un "Disturbo da stress post-traumatico". […] si evince dalle consulenze psicologiche è possibile riconoscere un periodo di inabilità temporanea di complessivi 18 mesi».

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