Fiorenza Sarzanini e Giovanni Bianconi per il “Corriere della sera”
armando siri. 3
Il nocciolo dell' accusa di corruzione per l'ex sottosegretario leghista Armando Siri e l'imprenditore Paolo Arata, consulente per le questioni energetiche del partito di Matteo Salvini, resta racchiuso in una frase intercettata il 10 settembre scorso. «Gli do 30.000 euro, perché sia chiaro tra di noi... Io ad Armando Siri, ve lo dico», confidava Arata al figlio ventottenne Francesco Paolo e a Manlio Nicastri, 31 anni, figlio di Vito, il boss dell' eolico in Sicilia.
Ora sono tutti e tre agli arresti su ordine dei magistrati di Palermo per altri presunti reati. E quando l' 8 luglio scorso i pubblici ministeri di Roma hanno fatto ascoltare quella registrazione a Manlio Nicastri, il ragazzo ha cambiato atteggiamento.
PAOLO ARATA
Prima era stato generico, negando di avere saputo da Arata sr. di soldi promessi o dati a Siri in cambio di un emendamento favorevole ai loro affari, né di averlo mai riferito a suo padre. Ricordava solo che Arata gli aveva detto che Siri poteva essere utile per «spingere» una modifica alle norme sulle energie rinnovabili, ma niente di più.
Poi però, di fronte alla registrazione, ha ammesso: «Confermo di aver ascoltato le parole di Arata sulla promessa di 30.000 euro e di avere riferito a mio padre l'intenzione di dare soldi a Siri... Posso dire che Siri non fu pagato, ma Paolo Arata mi disse che gli aveva promesso 30.000 da corrispondere una volta approvato l'emendamento richiesto».
Per il procuratore aggiunto Paolo Ielo e il sostituto Mario Palazzi, andati ad ascoltare Nicastri jr nel carcere di Pagliarelli insieme al procuratore aggiunto di Palermo Paolo Guido e il sostituto Gianluca De Leo, è la conferma che cercavano: la «indebita promessa e/o dazione» di una tangente da 30.000 euro per l'ex sottosegretario Siri, in cambio di una spinta all'emendamento che avrebbe fatto guadagnare alle aziende di Nicastri (di cui Arata sarebbe socio occulto, secondo i pm siciliani) almeno un milione di euro. Poi l'emendamento fu bloccato dall'opposizione del ministro Riccardo Fraccaro e del Movimento Cinque stelle, alleati della Lega nel governo, e stando a Nicastri jr la tangente rimase una promessa. Ma dal punto di vista penale cambia poco.
VITO NICASTRI
Ora le difese di Siri e Arata giocheranno le loro carte nell' incidente probatorio fissato per giovedì 25, tuttavia i pm hanno in mano anche un altro asso: le dichiarazioni del «boss dell'eolico», Vito Nicastri. Da oltre un mese, dopo un nuovo arresto per trasferimento fraudolento dei beni e in attesa di sapere come finirà il processo per concorso esterno in associazione mafiosa (i pm hanno chiesto 12 anni di pena), l' imprenditore considerato vicino ai favoreggiatori del super-latitante Matteo Messina Denaro ha deciso di collaborare con gli inquirenti.
Paolo Arata
Per adesso sul fronte dei finanziamenti illeciti e della corruzione. E in questo ambito ha spiegato i suoi rapporti con Paolo Arata, ex deputato forzista che, dichiara Nicastri sr ai pm di Roma e Palermo, «si presentava come responsabile del programma della Lega per le energie rinnovabili». In questa veste, alla ricerca di quella modifica della legge sugli ecoincentivi che avrebbe fatto recuperare i soldi persi alle aziende di Nicastri, aveva provato ad allacciare contatti al ministero dello Sviluppo economico anche con il governo a guida Pd, quando il titolare era Carlo Calenda, tramite una funzionaria che conosceva. Poi, con il cambio politico e l'avvento della coalizione Lega-Cinque stelle, «il suo interlocutore per la questione incentivi diventò Siri».
Il figlio Manlio, continua il racconto dell' imprenditore in odore di mafia che a marzo 2018 andò agli arresti domiciliari, divenne il tramite con Arata. E gli fece leggere un messaggio di quest' ultimo con la richiesta di un emendamento che sarebbe stato formalizzato da rappresentanti dei piccoli produttori di minieolico, mentre lui si sarebbe occupato di assicurarsi «l'appoggio politico tramite Siri».
francesco arata con manlio e vito nicastri
Dietro promessa di compenso: «Mio figlio mi disse che Arata avrebbe fatto un regalo a Siri se l' emendamento fosse passato, una somma di denaro che io ritengo quantificabile in 30.000 euro». Nicastri dice di non ricordare quando il figlio gli rivelò «la volontà di Arata di pagare Siri», ma precisa che lui e l' imprenditore leghista non disdegnavano queste elargizioni di denaro in cambio di favori.
E per recuperare contanti, probabilmente per creare le provviste necessarie, lo stesso Arata si era rivolto a Nicastri. Il quale in passato si era adoperato tramite Francesco Isca, altro imprenditore nel settore del biometano e del minieolico indagato per mafia: «Mi sono rivolto a lui per reperire 100.000 euro finalizzati a pagare altri pubblici ufficiali». Il boss aggiunge che Arata era interessato anche al biometano, e che pure in questo si era mostrato disponibile a «pagare i politici in grado di fornire aiuto».
L EMENDAMENTO PRO ARATA PROPOSTO DA ARMANDO SIRI AI LEGHISTI
Giovedì Vito Nicastri e suo figlio saranno interrogati dal giudice delle indagini preliminari, con i pm e il controesame degli avvocati difensori di Siri e degli Arata. Le loro dichiarazioni andranno incrociate con l' intercettazione che ha fatto cambiare versione a Manlio Nicastri e altre che per i pm romani contribuiscono a sostanziare l' accusa: «Siri... ci lavora un secondo per guadagnare 30.000 euro»; «un emendamento mi costa 30.000 euro»; «Siri è un amico come fossi tu, però gli amici mi fai una cosa e io ti pago, e quindi è più incenti...», e altre frasi ancora.