Massimiliano Peggio per La Stampa
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Un piano semplice e geniale. Altro che i banditi della Casa di Carta. Gli uomini d’oro torinesi avevano trovato il modo di svuotare i bancomat delle banche e le casse continue dei supermercati usando le chiavi, passando dal retro. Utilizzando all’occorrenza diavolerie elettroniche per violare codici e sistemi difensivi. Mai un intoppo per anni: 17 colpi tra il 2011 e il 2014. Più di 2 milioni di euro in bottini.
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Poi erano arrivati i carabinieri e i poliziotti a fermare la festa. Sorpresa: in seguito quasi tutte le accuse si erano dissolte per fragilità degli indizi. Giustizia beffata e dimenticata. Tra pochi giorni, direttamente dall’oblio giudiziario, arriva in tribunale per l’udienza preliminare una costola di quell’inchiesta. Briciole ormai. I soldi spariti non sono mai stati recuperati.
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È la storia di un manipolo di uomini che, secondo gli investigatori, sarebbe stato guidato da un’ex guardia giurata, Pasquale Lattanzio, 59 anni, conoscitore delle procedure di sicurezza di banche e supermercati. Il gruppo avrebbe ricevuto la preziosa complicità di Giovanni La Montagna, il più abile «chiavaro» in circolazione, il mago delle serrature, coinvolto nel 2016 nel leggendario furto del caveau delle cassette di sicurezza della filiale Intesa Sanpaolo di corso Peschiera, svuotate da un altro gruppo di ladri in occasione di un lungo ponte del 25 aprile.
IL LIMITE AL CONTANTE VISTO DA OSHO
La sequenza di colpi, iniziati nel 2011, si interruppe nel 2014. Al diciassettesimo furto furono arrestati in flagranza tre banditi, sorpresi con un borsone di 217 mila euro all’uscita dall’agenzia Intesa Sanpaolo di via Gottardo 273. Il loro arresto aveva portato gli inquirenti a dare la caccia al resto della banda. Così si era ipotizzata l’esistenza di un’associazione a delinquere estesa e articolata. Le accuse caddero. I tre risposero di quel singolo furto, e gli altri colpi rimasero impuniti.
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Il 10 gennaio prossimo, Lattanzio e La Montagna, difesi dagli avvocati Pietro Bafaro e Bartolomeo Petitti, dovranno rispondere dopo 7 anni dai fatti delle loro complicità nel furto in via Gottardo. Il primo per aver dato le dritte e il secondo per aver fatto la copia delle chiavi. A margine ci sono anche due ricettazione di auto contestate a due comparse di questa storia, difesi da Roberto De Sensi e Alberto Mittone. Poco roba insomma. Se ai 2 milioni si tolgono i 217 mila euro dov’è il resto del bottino?—