Alberto Mattioli per www.lastampa.it
Ogni tanto anche l’insana passione italiana per l’opera all’aperto dà dei buoni risultati. Nella deliziosa Trapani, una Sicilia al quadrato tutta palagi barocchi frananti con il mare a sinistra, il mare a destra, il mare davanti ed Erice dietro, provvede da settant’anni con alterne fortune l’Ente Luglio Musicale Trapanese. Gli spettacoli si svolgono dentro i curatissimi giardini cittadini, in un piacevole teatro sotto le stelle dedicato a Pippo Di Stefano la cui scena è incorniciata da due enormi ficus di ampiezza spettacolare.
TRAPANI - LA TRAVIATA CON LA REGIA DI ANDREA CIGNI
Il luogo è suggestivo, beninteso con qualche inconveniente: talvolta un fico cadente centra qualche corista, talaltra i piccioni lasciano cadere qualcos’altro, e a tratti giungono gli echi del rumoroso struscio cittadino. Ma almeno le cicale per entrare in azione hanno aspettato il secondo atto, con tempismo perfetto: si sa che in Provenza oltre al mare e al suol ci sono appunto loro.
Si dava, è chiaro, «La traviata». Qui va detto che ultimamente la frequenza con la quale la si replica a oltranza sta rendendo quest’opera insopportabile. Niente di peggio che un capolavoro che ti viene servito di continuo e dappertutto: finisci davvero per tifare per la tisi. Confesso poi che venivo da due «Traviate» particolarmente sciape (a Zurigo per colpa della regia, a Macerata per colpa della direzione) e non avevo tutta questa voglia di risorbettarmi l’infelice storia, tanto più che non c’è due senza tre e così via.
TRAPANI - LA TRAVIATA CON LA REGIA DI ANDREA CIGNI
Invece è stata una notevole «Traviata». Non perfetta, perché la perfezione non abita questo mondo e men che meno la provincia italiana; ma interessante, sì, a differenza di quel che avviene anche in sedi più blasonate. Il merito è soprattutto dello spettacolo, ennesima dimostrazione che nulla è più rivoluzionario dell’ovvio.
Il regista Andrea Cigni parte da due considerazioni: prima, che se Violetta di mestiere fa la puttana (la definizione sarà magari volgare e di certo è spietata, ma è di Verdi) bisogna farlo vedere; seconda, che l’ambientazione abituale finto autentica, quella ottocentesca, finisce fatalmente per anestetizzare la crudeltà di una storia che Verdi voleva contemporanea a lui e che dev’essere contemporanea a noi.
Così, lo spettacolo è travolgente soprattutto nelle due scene festaiole. Il brindisi è un vero numero di burlesque, con una Violetta-Dita von Teese con il cilindro in testa e le piume sul popò che fa il suo show su un’altalena davanti a un Alfredo basito. Chez Flora, invece, siamo quasi al bordello, con i pali da lap dance, una profusione di seni femminili e sederi ambosessi (tutti nel complesso pregevoli), mentre il tavolo dove si giuoca è una ballerina nuda adagiata su quattro maschioni non molto più vestiti.
TRAPANI - LA TRAVIATA CON LA REGIA DI ANDREA CIGNI
Chic e choc, e con la giusta volgarità, perché chi conosce un po’ la vera Parigi dix-neuvième sa che quella di Violetta & Co. non era affatto l’alta società, ma un demi-monde di nouveaux riches, popolato di speculatori, escort, papponi e altri beceri ripuliti solo in superficie. Le coreografie di Isa Traversi sono perfette, scene e costumi di Tommaso Lagattolla riescono a sembrare fastosi senza esserlo (e men che meno costosi): in pratica, un cubo rotante o poco più basta a suggerire via via i vari ambienti.
Le scene più intime sono meno originali, ma sempre curate e, anche qui, con buone idee. Per esempio, la gente che fuori dal cubo osserva spettegolando lo scontro fra Violetta e l’orrido Giorgio Germont: è l’eterno «che cosa dirà la gente» delle opere di Verdi, che conosceva bene i pettegolezzi dei buoni borghesi benpensanti e spesso malfacenti («E che baccano / Sul caso strano / E che commenti / Per la città». per intenderci). Insomma, uno spettacolo convincente.
TRAPANI - LA TRAVIATA CON LA REGIA DI ANDREA CIGNI
Bene anche la parte musicale. Francesca Sassu è una notevolissima Violetta. La voce non è eccezionale né per timbro né per volume, ma Sassu è musicale, ha fraseggi elegantissimi, agilità espressive (specie quelle di grazia, e specie quelle del primo duetto con Alfredo, dove di solito Violetta sembra un orologio a cucù): in sostanza, non è solo un’esecutrice ma è anche un’interprete. Il mi bemolle è un po’ scabro, però ricordo che a Verdi importava pochissimo dei sopracuti, specie quelli non scritti da lui, e invece voleva che Violetta avesse «anima» e «sentimento di scena», due qualità di cui Sassu è ampiamente provvista. In più, regge benissimo uno spettacolo in cui deve muoversi e denudarsi più che in tre «Traviate» in crinolina modello belle statuine.
Canta piuttosto bene anche Germont junior, Matteo Lippi, e finalmente un tenore non sbraitante e con una linea di canto curata e meditata. In scena è un salame, ma tutto sommato per un provincialotto che sbarca in mezzo a un baccanale un po’ di impaccio è perfino giusto. Molto elegante e convincente, a parte qualche acuto un po’ tirato, anche il Germont senior di Sergio Vitale, e per completare la festa ci sono anche dei buoni comprimari: Laura Cherici come Annina è un lusso e Bruno Lazzaretti fa di Gastone uno strepitoso anziano cumenda con il riporto.
TRAPANI - LA TRAVIATA CON LA REGIA DI ANDREA CIGNI
Sul podio, Andrea Certa evita pose kleiberiane e conseguenti stravaganze spacciate per interpretazione e fa una solidissima «Traviata» di tradizione (taglietti purtroppo compresi), efficace anche in rapporto alle difficoltà ambientali. Suono sempre morbido e all’occorrenza nervoso, ma mai fracassone, accompagnamenti ben calibrati, sostegno al palcoscenico, concertati precisi, tempi ragionevoli (forse solo la cabaletta del tenore manca di mordente), un bellissimo duetto del secondo atto quasi belliniano nel suo grondare «lagrime» e «sagrifizii»: non è una «Traviata» originalissima, ma è una bella «Traviata».
A giudicare dai commenti, diverse madame locali non hanno gradito la copiosa esibizione di carne umana, e dire che alla vigilia si era pure provato a ricordare loro che mestiere fa Violetta. Fossero state le balcony girls che imperversano alla Scala e in altri siti, sarebbero volati i «Vergogna! Povero Verdi!». Però, discrezione sicula, i dissenzienti (che poi, chissà perché, parevano piuttosto delle dissenzienti) hanno scelto il silenzio. Il resto del pubblico ha invece lungamente applaudito questa «Traviata» finalmente non banale e, vivaddio, non sentimentale né consolatoria, come la vorrebbero quelli che vogliono difendere Verdi da sé stesso.