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    NON DIMENTICATE “CHARLIE” - FULVIO ABBATE: “RICONDURRE LA STORIA DI ‘CHARLIE HEBDO’ ALLA STRAGE DEL 7 GENNAIO 2015 SIGNIFICA DIMENTICARE CIO' CHE IL GIORNALE HA CONSEGNATO NEL TEMPO: UNA FELICITÀ LAICA CHE INNALZA LA GIOIA DI CHI NON HA NÉ DIO NÉ PADRONI”


     
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    Fulvio Abbate per Dagospia

     

    wolinski e fulvio abbate wolinski e fulvio abbate

    La prima volta che ho visto “Charlie Hebdo” è stato a Rennes, in Bretagna, nel 1971, ero ragazzino e comunista, anzi, trotskista, il Sessantotto brillava ancora sui muri di Parigi, e non soltanto lì. Mi hanno subito rapito i disegni che squillavano in prima pagina, figurine segnate a china veloce, pochi segni per prendere a calci in culo il mondo politico francese e, per estensione, quello della rispettabilità ufficiale mondiale, i fascismi ancora in servizio permanente effettivo tra Spagna e Portogallo; le vignette erano firmate soprattutto da Wolinski e da Reiser, di fatto gli editorialisti a fumetti della testata.

     

    ritratto fulvio di wolinski copia 5 ritratto fulvio di wolinski copia 5

    Reiser, volendo accennare al suo genio, è stato davvero un gigante della narrativa a fumetti, meno “politico” di Wolinski e dello stesso Cavanna, ha raccontato l’orrore delle vacanze in un celebre album, ma anche piazzato al mondo della satira una messa dove al posto del crocifisso si adora un cavatappi, oh, che meraviglioso cortocircuito rispetto al paradosso del simbolico religioso.

     

    Nel 1971 De Gaulle era morto da un anno, e loro avevano fatto in tempo a farsi censurare un titolo che suonava così: “Ballo tragico a Colombey, un morto”. Colombey-les-Deux-Églises era il ritiro del generale.

     

    “Charlie” allora non era solo in quest’avventura, avanzava infatti insieme a un altro settimanale non meno “Bête et Méchant”, “Hara-Kiri”, dove l’imperdibile professor Choron spiegava nei suoi fotoromanzi come liberarsi, metti, dai nazisti grazie alle fiche appassionate di karate, oppure, che so?, dalla triste pratica solitaria della masturbazione: sarebbe bastato attaccare una mano di bambola al proprio pisello e fingersi cieco e con un solo arto, proprio lì; infine, spiegava sempre Choron, “l’eiaculazione avviene dentro la mano di plastica e basterà sciacquarla per il riuso”.

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    Insomma, “Charlie Hebdo” lavorava per il trionfo di una sorta di comunismo liberatorio e soprattutto sessuale, senza dimenticare la denuncia politica e civile, c’è infatti una copertina di Wolinski che segue le esecuzioni di Burgos nella Spagna del Caudillo: un grande cazzo che reca scritto sui coglioni: “Franco Assassino”, quanto al titolo: “Ecco il tatuaggio alla moda!”.

     

    Nessun altro paese ha mai conosciuto una simile capacità sarcastica così sinfonicamente liberatoria. Sia chiaro: una capacità conquistata in nome dei principi della laicità, la stessa che porterà il giornale a titolare “Wolinski ha scelto di morire idiota” quando questi sceglie di diventare il vignettista ufficiale de l’Humanité, il giornale dei comunisti francesi, gli stessi che, negli anni Cinquanta, avevano criticato Picasso per un ritratto di Stalin non “ortodosso”.

     

    copertina di charlie hebdo con maometto copertina di charlie hebdo con maometto

    Se oggi provi a scorrere su eBay la voce “Charlie” ti imbatti soprattutto nei numeri dell’eccidio, l’annata 2015, quello che titolava “Tout est pardonné”, per esempio, ha come base d’acquisto talvolta 5 mila euro, per non dire della copia uscita il giorno dell’eccidio, con Houellebecq ubriaco dell’imminente successo editoriale anti-islamista in copertina.

     

    copertina di charlie hebdo copertina di charlie hebdo

    Tuttavia “Charlie” non può essere ricondotto alle ultime stagioni nelle quali, mantenendo fermi i propri principi ironizzava spietatamente, felicemente, laicamente sull’Islam e il suo profeta Maometto, così come aveva già fatto con il papa cattolico, i rabbini, i CSR, ossia la celere francese, e perfino il figlio di De Gaulle: “Tutto il ritratto di sua madre”.

     

    E ancora nessuno potrà mai dimenticare molti altri titoli non meno spietati perfino contro le femministe, “Le donne sono cani”, ed eccone una al guinzaglio portata a orinare sotto il marciapiede da un rispettabile monsieur Dupont. Soltanto un paese dove perfino la satira sovente è organica – pensate all’Italia, pensate al caso dei “virtuosi” Staino ed  ElleKappa o l’insignificante Giannelli – può provare meraviglia per la sconfinata capacità di iconoclastia di “Charlie”.

    copertina di charlie hebdo copertina di charlie hebdo

     

    Quando il giornale scelse di sostenere la candidatura di Coluche alle presidenziali del 1981, ecco che accluse una bustina di plastica contenente una sostanza gelatinosa: “Vero sperma di Coluche, per avere dei figli stupidi e cattivi”. Ciò si accompagnava all’appello pro Coluche: “Tutti insieme per incularli. Con Coluche”.

     

    In quell’occasione “Hara Kiri” fece davvero la parte del leone. E poi il titolo sulla “tassa per i cazzi grossi”? E quell’altro dedicato, nel 1980, al tricolore italiano nel clima delle Brigate rosse: “Verde di paura, bianco di rabbia, rosso di sangue”, e ancora Wolinski che apre sulla giornata della memoria “Io rapo la mia donna ogni 8 maggio”.

     

    E ancora, nel 2002, “Dio, premio Nobel per la guerra”. E per festeggiare il Natale 1978: “E’ nato Gesù, un disoccupato in più”. Oppure nel 1975, a guerra del Vietnam appena conclusa: “Adottate una prostituta di Saigon”.

    copertina di charlie habdo copertina di charlie habdo

     

    Ricondurre la storia di “Charlie Hebdo”, l’ho già detto, alle ultime sue settimane, ai suoi poveri morti innocenti, alla pressione psicologia che subiscono i suoi sopravvissuti, Luz per primo, dopo l’assassinio di Wolinski, Charb, Cabu, Tignous, Honoré, Bernard Maris e di tutti gli altri,  significa dimenticare il pescaggio di memoria che il giornale ha consegnato nel tempo a chi non ha atteso il 7 gennaio del 2015 per scoprirne l’esistenza.

     

    Una felicità laica che innalza la gioia di chi è certo di non avere né Dio né padroni. Quanto a Wolinski non avrò mai sufficienti parole d’affetto e di amicizia per chi mi ha fatto dono del simbolo di Situazionismo e Libertà, per la sua gentilezza poetica che brilla ancora adesso per intero nel manifesto del mio movimento: “Lo senti il canto degli uomini?”, così chiede la madre, e l’uccellino: “Sì, mi piace”.   

     

     

     

    les lettres francaises stalin les lettres francaises stalin

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