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    “IL CAPITANO DELL'ALTRA SQUADRA MI HA GRIDATO ‘NEGRO DI MERDA TORNA AL PAESE TUO’. COSÌ GLI HO DATO UNO SCHIAFFO. POI SONO ESPLOSO A PIANGERE” – ABDOULLAYE FOFANA RACCONTA L’EPISODIO DI RAZZISMO DURANTE UNA PARTITA DI PRIMA CATEGORIA, DOVE L'ARBITRO L'HA ESPULSO E HA SOSPESO LA PARTITA (MA PER LA RISSA, NON PER LE OFFESE RAZZISTE) – EPISODIO ANALOGO IN LEGA PRO, DOVE L’ALLENATORE DELLA PRO VERCELLI HA URLATO A MOHAMMED CHAKIR, NATO IN ITALIA DA GENITORI MAROCCHINI: “AFRICA, ALZATI!”


     
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    1. INSULTI RAZZISTI DAGLI AVVERSARI IL 21ENNE ABDOULLAYE HA REAGITO ED È STATO ESPULSO

    Luca Pernice per il Corriere della Sera

     

    abdoulaye fofana abdoulaye fofana

    Stava sedando gli animi dopo un normale scontro di gioco quando il capitano della squadra avversaria gli ha gridato contro: «Negro di ma, tornatene al paese tuo». Vittima dell'offesa razzista Abdoullaye Fofana, 21 anni originario della Guinea francese, calciatore dell'Heraclea dei Monti Dauni, squadra di Rocchetta Sant' Antonio, piccolo centro del foggiano. I fatti domenica pomeriggio, quando il giovane stava disputando una partita del campionato di prima categoria contro l'Altavilla Irpina, squadra di Avellino. 

     

    abdoulaye fofana abdoulaye fofana

    «C'è stato uno scontro di gioco - racconta il 21enne - e ho cercato di calmare i miei compagni e gli avversari perché il clima si stava surriscaldando. Il capitano dell'altra squadra mi ha preso per la maglia e mi ha gridato "negro di ma torna al paese tuo". Per tutta la partita avevo ricevuto insulti pesanti. Così gli ho dato uno schiaffo. Non doveva dire quelle parole. Poi sono esploso a piangere». 

     

    L'arbitro l'ha espulso e ha sospeso la partita: ma per la rissa, non per le offese razziste, nonostante le parole che in molti hanno sentito. Il dirigente della squadra del calciatore, offeso, ha annunciato ricorso alla giustizia sportiva. Quattro anni fa, ancora minorenne, Abdoullaye Fofana, è partito dalla Libia su un barcone, attraversando il Mediterraneo fino alle coste della Sardegna. Dopo sette mesi di stenti e di incertezze è stato ospitato in un centro a Lacedonia, in provincia di Avellino. 

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    Dopo aver raggiunto la maggiore età si è trasferito poco distante, a Calitri, dove lavora in una impresa edile. Il calcio è la sua grande passione. Dal 2019 gioca, come esterno sinistro, nella squadra di Rocchetta Sant' Antonio, che dista pochi chilometri da dove vive. Tifoso dell'Inter e della Nazionale Italiana, i suoi idoli sono Andrea Pirlo e Ronaldo. Ma sui campi di calcio il colore della sua pelle è stato oggetto, spesso, di insulti razzisti. 

     

    «Anche durante la partita di andata con l'Altavilla Irpina - continua - avevo ricevuto offese razziste dai tifosi avversari e da alcuni giocatori che mi avevano chiamato "scimmia" dicendomi che dovevo "tornare nella giungla". Il giorno dopo quella partita il presidente dell'Altavilla si era scusato con un messaggio. Per me era tutto passato. Invece domenica scorsa nuovi insulti, nuove offese. E questa volta nessuno si è scusato». 

     

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    Alcuni mesi fa, durante una partita a Foggia, un avversario, prendendolo in giro per il colore della pelle, gli ha sputato in faccia. «Ho pianto - confessa Abdoullaye - anche quella volta». Dura la condanna dell'ultimo episodio da parte del sindaco di Rocchetta Sant' Antonio, Pompeo Circiello, che ha telefonato al giovane calciatore esprimendo la sua vicinanza e quella di tutta la città. «Non è possibile - ribadisce il primo cittadino - nel 2022 assistere ad episodi come questi. Offese come quelle subite dal calciatore non sono giustificabili e devono essere condannate». 

    anti razzismo anti razzismo

     

    E dopo l'ennesimo episodio di intolleranza razzista, Abdoullaye non è sicuro di voler tornare a giocare. «Mi piace giocare a calcio - dice - perché mi diverte e mi piace stare con gli altri. Lo sport però dovrebbe insegnare anche il rispetto. Invece questi episodi ti tolgono il piacere di giocare. Ho paura di tornare sui campi di calcio, perché temo di essere preso nuovamente in giro. Ho paura di piangere ancora. Ho già pianto tanto durante gli ultimi anni. Non voglio più piangere e non voglio più farlo per il colore della mia pelle».

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    2. IL BABY CALCIATORE E GLI INSULTI RAZZISTI 

    Monica Serra per “La Stampa”

     

    «Una parola di troppo nei momenti concitati di una partita capita e si può anche accettare. Una parola di troppo razzista, no». Così succede che nel bel mezzo di una partita di Lega Pro, neanche tanto tesa, nel corso di una rimessa laterale, un allenatore, Franco Lerda della Pro Vercelli, urli «Africa, alzati!» a un giovane attaccante della squadra avversaria, la brianzola Renate. «Nel 2022 è inaccettabile: questa è ignoranza pura e non merita di essere commentata», dice a due giorni dai fatti Mohammed Chakir, il calciatore preso di mira. 

     

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    Ventuno anni, cittadino italiano, Chakir è nato a Guastalla, in provincia di Reggio Emilia, da genitori di origine marocchina: «Mio padre è qui da oltre quarant' anni, è impiegato come capo reparto in un'azienda, dove lavorano anche i miei fratelli più grandi. In paese i Chakir sono considerati da tutti una famiglia italiana. Mai abbiamo subito atti di razzismo», racconta il giovane, che ha studiato in Italia e gioca a calcio da quando aveva sei anni. All'inizio si era molto arrabbiato, ma ora è soddisfatto dal provvedimento preso dal giudice sportivo: una squalifica per undici giornate, fino al 28 aprile, e quindi fino alla fine del campionato, a Lerda. 

     

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    «Quando l'ho sentito urlare quella frase in campo, non ho detto nulla, non ho risposto - racconta -. Subito ho rivolto gli occhi alla mia panchina e ai procuratori federali che erano lì, a tre metri, e avevano sentito tutto». È successo al trentacinquesimo. La Pro Vercelli aveva segnato, la Renate aveva già pareggiato. Un difensore del Renate stava per battere una rimessa laterale. «Ho chiesto alla procura federale, che sovrintende la sicurezza in campo se avesse sentito. Perché episodi di questo tipo non devono succedere». 

     

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    Ed effettivamente, i due inquirenti che avevano assistito alla scena, hanno stilato un rapporto dettagliato che ha portato il giudice Stefano Palazzi - lo stesso che, all'epoca da procuratore, diede il via a Calciopoli - a usare il pugno duro. «Non è la prima volta che succede, ma forse è anche grazie a questo genere di provvedimenti che gli episodi di razzismo in campo si stanno riducendo. Prima erano molto più frequenti», riflette Chakir.

     

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     Che ai suoi genitori, alla sua famiglia non ha neanche raccontato ciò che è capitato: «Sono persone serene che mi avrebbero detto di ridere su un gesto così ignorante. Ancora più assurdo perché a compierlo è stato un allenatore non un tifoso qualsiasi. Proprio lui che, invece, dovrebbe dare il buon esempio». Non basta ora a mister Lerda mettere le mani avanti: «Non sono un razzista e mai lo sarò: mi spiace molto che una parola detta senza alcun obiettivo discriminatorio sia stata strumentalizzata così, dipingendomi per ciò che non sono». 

     

    Per la verità il tecnico cuneese, con un passato anche al Torino, in serie A, era già stato squalificato per ben sette mesi, ma non per vicende che hanno a che fare con discriminazioni e razzismo. Quando era al Lecce, nel 2014, al termine di una burrascosa partita di serie C contro il Frosinone, Lerda aveva preso parte a una rissa esplosa in campo, con una manata in faccia a un calciatore ciociaro e due pugni a un tifoso. 

     

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    A difenderlo ora è anche la Pro Vercelli che, in una nota ufficiale, sottolinea che mister Lerda «ha tra i propri valori quello del rispetto del prossimo, a prescindere dalla nazionalità, religione o sesso di appartenenza». Detto questo, la società con i suoi tesserati «condanna ogni comportamento di natura razzista», promuove «i valori di uguaglianza, rispetto e inclusione che la contraddistinguono» e tiene a porgere le sue scuse a Chakir «se qualsiasi terminologia utilizzata dovesse essere stata mal interpretata». 

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    Per il momento la squadra ha chiesto gli atti al giudice sportivo. Solo dopo, deciderà se presentare ricorso contro il provvedimento. La speranza di Chakir, intanto, è che l'allenatore «prima di insultare qualcun altro ora ci pensi dieci volte. Ai ragazzini più giovani che si affacciano nel mondo del calcio - conclude l'attaccante - dico solo di provare a viverla come me, di non rispondere alle provocazioni. Non devono sentirsi sbagliati, non devono sentirsi diversi. Perché ci sarà sempre qualcuno che sente, che vede. Devono credere nella giustizia: come è accaduto a me la giustizia, alla fine, arriva sempre».

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