Fulvio Abbate per Dagospia
fulvio abbate
Claudio Lolli è morto nel pomeriggio di un 17 agosto nella sua Bologna, al Policlinico Sant'Orsola-Malpighi, Claudio è stato, e resta la voce di molti, resta, come ho scritto non molti mesi fa, "il Leopardi della canzone italiana", gli dobbiamo un canto, e gli dobbiamo alcune tra le parole più lucenti che le canzoni del nostro viaggio nell'incanto e nella rivolta potessero custodire, è stato nostro amico, è stato nostro compagno, insieme abbiamo immaginato che si potesse cambiare la vita, si potessero innalzare le bandiere rosse e le bandiere nere della poesia, dell'amore, di un tempo eternamente festivo, dispiace che alcuni associno la sua voce a un dettaglio storico temporale come la sua città nel 1977, Claudio ci ha fatto dono della sua rivolta e della sua ironia, sarebbe stato bello restare ancora insieme.
Dispiace che si debba perfino provare a spiegare chi sia stato Claudio Lolli. Se non fosse retorico, andrebbe detto, con le sue parole, che prima o poi ci riprenderemo la terra, la luna e l'abbondanza. Dimenticavo: basta la grana della sua voce a cancellare il desolante deserto nel quale si è infine concluso il nostro viaggio di non riconciliati con l'ingiustizia, l'ovvio e l'ottuso.
CLAUDIO LOLLI
Ora l’ho detto: Claudio Lolli è il Leopardi della canzone italiana. D'autore, o meno, fa lo stesso. Un poeta, un cantautore (uso questo termine in senso strettamente tecnico, denotativo, come fosse un adesivo) l'unico ad aver detto in anticipo, perfino sui sociologi, che le nostre strade sarebbero state disoccupate. Dai sogni, ovviamente. Lolli aveva visto bene, lui per tutti noi, ed era soltanto il 1978. Claudio Lolli tuttavia ci aveva già fatto in precedenza sognare, con la sua parola, la sua parola cantata, facendoci dono del suo canto generale e insieme inerme, smarrito, come un povero soldatino nella neve dell’adolescenza.
Ma andiamo al punto. Come fai però adesso a spiegare ai ragazzi che tutto ignorano della storia e dell’incanto poetici, se non i luoghi comuni sulle colpe dei genitori già "rivoluzionari", “comunisti” o "contestatori", poveri illusi che volevano fare appunto la rivoluzione, chi è davvero Lolli?
CLAUDIO LOLLI
Esatto, come gli restituisci il suo canto, il suo recitar cantando la rivolta e perfino la malinconia, l’Adriatico? Basterà dirgli che è un poeta come già Pascoli o Pavese o Corazzini o Neruda o Rilke o Brecht che sogna di arrampicarsi sugli alberi? Mio Dio, com'è difficile riavvolgere il nastro spezzato di questa storia dall'inizio, il suo esordio, cioè l'arrivo di un'elegia dolente e insieme politica, canzoni di rivolta e insieme d'amore, distanze siderali dagli inni con grancassa e ottoni come “Figli dell’officina” o anche le stesse “Bandiera rossa” o “Bella ciao”, assai oltre gli Ivan Della Mea, i Paolo Pietrangeli, le Giovanna Marini, sia detto senza nulla togliere alla grazia militante e certamente portatile di questi ultimi.
C'è di mezzo l'incanto della grana della sua voce, del suo discorso poetico. Ogniqualvolta abbiamo la sensazione che la poesia - nel senso dell'emozione che sospende il tempo del quotidiano - manchi alla canzone, manchi all'Italia "civile", manchi al mondo della rivolta, facciamo infatti puntualmente ritorno al suo album che mostrava il volto di una banconota, le antiche 5000 lire di Colombo, lì dentro c'erano gemme come "Aspettando Godot" e "Michel"...
CLAUDIO LOLLI
Il resto del suo canto si frastaglia tra cinema e storia, tra l’immagine sbilenca di Keaton e i “turnisti” di Piero Ciampi, sullo sfondo, su tutto, almeno ai miei occhi, l’immagine dell’Adriatico, che sembra quasi una metafora, il racconto dell’inverno che rende possibile la verità del canto, l’emozione intirizzita. Rimini, come un duomo, un mausoleo, una cattedrale di ghiaccio a forma di cabina.
La voce di Lolli, in questi anni, anche nei suoi momenti più appartati e segreti, ha continuato a darci calore, ci bastava raggiungerla nel purgatorio dei vinili finiti ai piani bassi delle scansie o nelle scatole colme di musicassette, molto aldilà delle battute degli sciocchi che lo associano alla tristezza, alla malinconia, al dolore inaccettabile, al lutto, anzi, al suo rifiuto.
L'ho già detto: per comprendere cosa sia mai divenuto il mondo in questi nostri anni, basterebbe tornare ad ascoltare "Disoccupate le strade dai sogni", un ellepì che vale dieci cento mille diecimila editoriali di Umberto Eco o di Eugenio Scalfari o di Franco Ferrarotti, li vale per lucidità chirurgica. Lolli, cantando nel 1978, spiegava verso cosa saremmo, appunto, andati, da quale piano inclinato saremmo precipitati: "Disoccupate le strade dei sogni ed arruolatevi nella polizia, ci sarà bisogno di voi per un nuovo progetto il socialdemocrazia...".
CLAUDIO LOLLI
La malinconia, certo, ma anche la consapevolezza della parola che si fa canzone, davvero sarebbe bastato ascoltare quel disco per capire dove siamo adesso, in quale tana della povertà materiale e del fantastico. Ma facciamo macchina indietro. C'è poi un altro suo pezzo che prova a raccontare la pasta umana della nostra borghesia, quasi un sinonimo di Lolli: "Vecchia piccola borghesia, vecchia gente di casa, non so dire se fai più rabbia, pena, schifo o malinconia..." E ancora: "... vecchia piccola borghesia, il tempo un giorno ti spazzerà via...".
A proposito di ironia, da molti anni già, ai suoi concerti, un istante dopo quell'"un giorno...", Lolli sospende la musica, apre un inciso doveroso, la parentesi della coscienza del limite, Lolli, insomma, aggiunge un "forse", un "chissà", un "non è escluso", un "tuttavia", un "tu che dici?", segno che c'è perfino modo di virare la denuncia nella sua sorella siamese, il sarcasmo, già, l' ironia. E non c'è rabbia in tutto ciò, soltanto coscienza del Dopo.
CLAUDIO LOLLI
Riportiamo adesso il nastro più avanti: "Ho visto anche degli zingari felici", del 1976, è forse il suo disco-carta di credito, una piccola sinfonia, un canto generale generazionale che un po' si fa anche inno, soprattutto dove afferma così: "… riprendiamoci la vita la terra la luna e l'abbondanza". Chi l'ha mai più vista quell'abbondanza? Quell'abbondanza poetica che Claudio Lolli ci ha donato, lui che nella canzone "Anna di Francia" abbatte perfino, e per sempre, ogni retorica musicale "colta": "... e Luigi Nono è un coglione".
Come fai a spiegare Claudio Lolli nel tempo del capitale commerciale che sembra avere perso ogni bandolo del capitale poetico, facendo proprie le merci del consumo indistinto spettacolare? Come fai a spiegare versi di canzoni come " Potrò mai perdonare a te ragazza piccola il bacio che hai preferito gettare dal balcone, quel bacio che non mi hai voluto regalare nemmeno il giorno prima della rivoluzione " a chi è arrivato adesso?
Così, quando vado ai suoi concerti, prima che Claudio salga sul palco, lo prendo da parte, e gli dico: Mi raccomando, canta, donaci il crescendo, fino a "Borghesia" che tutti pretendono per sollevare perfino il pugno chiuso nonostante tutto, malgrado le cose che sappiamo, canta, non parlare tra un brano e l’altro, ti prego, facci sognare, ci siamo capiti, siamo d'accordo?
CLAUDIO LOLLI
Ma forse, per davvero raccontare Claudio Lolli dovrei partire dal dato personale, dal vissuto, affinché tutti capiscano e provino a immedesimarsi. E' il 1971, quando la canzone politica, d'improvviso, trova un piede di porco poetico pronto lì, in pugno, a scardinare le grate della retorica militante, portandoci tutti oltre, è proprio Lolli a rompere quel lucchetto, con il suo album, appunto, il suo volto sulla banconota al posto di Cristoforo Colombo. In quegli anni, quando un amico me lo fa scoprire, in quegli anni, io, giovane militante comunista, sono ancora convinto che si pronunci Pink Freud, giuro...
Poi, improvvisamente, tutto si illumina, e la luce viene da Claudio. Nel mondo, in quei giorni, c'è ancora la guerra del Vietnam e tuttavia, intanto, nei palazzi di fronte a casa mia, i ragazzi del quartiere festeggiano, ballano, dentro i loro mangiadischi c'è Lucio Battisti, c’è "Emozioni", c’è "La canzone del sole", da sotto, dalla strada, sento il rumore dei bicchieri di plastica accartocciati, li vedo che si baciano lassù in terrazza, e anch'io vorrei una ragazza da baciare, vorrei essere accarezzato, baciato, “che mi gettassero un bacio – appunto - dal balcone”, ma vorrei anche una canzone che mi restituisse il bisogno di rivolta, ed è allora proprio allora che mi viene incontro la voce di Lolli, il suo canto, la sua emozione, la sua grazia poetica.
CLAUDIO LOLLI
Certo, c’è di mezzo la Bologna del ‘77, con la memoria di Francesco Lorusso, ucciso dai carabinieri l’11 marzo di quell’anno, le ultime voci di Radio Alice un istante prima che la polizia irrompa e strappi i fili del mixer e, già che stanno lì, sfasci tutto con autentico senso del sorvegliare e punire: “Sono entrati, sono entrati, siamo tutti con le mani alzate...” Nel nostro elenco, c’è perfino il prima e il dopo: piazza Maggiore nel bianco e nero della tempesta mao-dadaista e subito accanto la stessa piazza oggi.
Nel cuore del suo duomo di ghiaccio che s’affaccia sull’Adriatico, ecco che ora trovo “Le rose di Pantani”, un omaggio che merita d’essere ascoltato in religioso silenzio: “il papavero rosso del campione/ fiore del sole, poesia del corridore/ l’umiltà della strada e del sudore”. Oppure, facendo ritorno alla propria vena, diciamo pure “intimistica”, quell’altro pezzo che fa così: “Pensa se fosse davvero il mare/ Quella sembianza d’infinito/ e se avessimo appena cominciato/ Invece di avere quasi finito”. Che meraviglia, che vanto, essere amico di chi ha messo al mondo un simile canto. E anche la rima, qui, è voluta.
2 - IL MARCHESE FULVIO ABBATE IN LODE DI CLAUDIO LOLLI: “E’ IL LEOPARDI DELLA CANZONE ITALIANO D'AUTORE, UN POETA, L'UNICO AD AVER DETTO IN ANTICIPO CHE LE NOSTRE STRADE SAREBBERO STATE "DISOCCUPATE DAI SOGNI" - LUI E’ ALDILÀ DELLE BATTUTE DEI CAZZARI ANALFABETI CHE LO ASSOCIANO ALLA "SFIGA", BATTUTE DEGNE DI CHI NON SA ANDARE OLTRE UN "DAJE!" E UN "ANVEDI", OLTRE IL CIPSTER-SOUND DEI ROVAZZI E DEI GABBANI” - VIDEO!